Il silenzio assenso e la consumazione del potere anche alla luce del Decreto Legge n.77 del 31 maggio 2021 

Premessa: i tipi di silenzio

Il silenzio serbato da una pubblica amministrazione in relazione all'istanza di un privato è un comportamento amministrativo cui l'ordinamento può ricollegare diversi significati in base agli ambiti, individuati normativamente, cui la spettanza del bene della vita si riferisce, ovvero può non ricollegarne alcuno.

Può assumere la valenza di un silenzio non significativo, detto appunto silenzio inadempimento, ai sensi dell'art. 20, co. 4 L.241/90, nei casi di atti e procedimenti che riguardano il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, il rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, il diritto d'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ma anche nel caso di procedimenti amministrativi cui la normativa comunitaria imponga l'adozione di provvedimenti formali.

In tutti questi casi il comportamento inerte dell'amministrazione non spiega nessun effetto giuridico, anzi, si può certamente dire che la PA decide di non decidere, abbandonando l'istante alla totale impossibilità di ottenere il bene della vita cui questo aspira, violando così il generale principio di leale collaborazione, ricompreso nella più ampia garanzia costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, .

Focus D.L. 77/2021, convertito in L. 108/2021

Il recentissimo D.L. 77/2021 ha modificato l'art. 2 L 241/90, che sancisce la doverosità dell'agire amministrativo e la sua tendenziale definizione attraverso un provvedimento espresso e adeguatamente motivato, adottato in tempi certi.

Nello specifico l'art. 61, co. 1 lett. a) nn. 1 e 2 L. 108/2021 modifica l'art. 2, co. 9 bis (primo e terzo periodo) L. 241/90 prescrivendo che è fatto obbligo per le PA di individuare, in alternativa ad un soggetto apicale - come già previsto dal precedente art. 1, co. 1 del D.L. 5/2012 e successivamente modificato dall'art. 13, co. 1 del D.L. 83/2012 - una unità organizzativa, cui viene attribuito un potere sostitutivo in caso di inerzia. Invece la lett. b) del citato articolo riscrive interamente il co. 9 ter L. 241/90 con una significativa differenza rispetto al passato: non sarà più solo il privato a potersi rivolgere alla PA - o meglio, al responsabile di cui al co. 9 bis - affinché il procedimento venga chiuso in un termine dimidiato, ma sarà lo stesso responsabile o l'unità organizzativa a esercitare, anche d'ufficio, il potere sostitutivo per concludere il procedimento, o attraverso gli stessi organi dell'amministrazione o attraverso il già previsto intervento di un commissario ad acta (D.L. 5/2012).

La necessità di provvedere in modo esplicito nelle materie individuate dall'art. 20 co. 4 costituisce non soltanto garanzia per il privato istante, ma soprattutto rappresenta la tutela di quegli stessi interessi pubblici sensibili che trovano ospitalità nella Carta costituzionale.

Il rimedio, oggi scontato, è rappresentato dall'azione avverso il silenzio inadempimento, esperibile sulla base del combinato disposto egli artt. 31 e 117 c.p.a.

Quando invece l'interesse cui il privato aspira esula dalla materie elencate, il comportamento inerte della PA si colora di significato negativo o positivo e va, cioè, interpretato come silenzio diniego o come silenzio assenso.

Il silenzio diniego si qualifica solo qualora l'inerzia assuma tale significato per disposizione di legge, come nel caso dell'art. 36, DPR n. 380/2001 in materia di permessi a costruire, nel caso di silenzio serbato su una istanza di accesso agli atti ex art. 25 l.241/90, oppure nel caso dell'art. 53, co. 10, D.lgs. 165/2001, in materia di conferimento di incarichi retribuiti a dipendenti di altre pubbliche amministrazioni, quando sia necessaria la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza del dipendente.

Il rimedio è quello impugnatorio davanti al Giudice Amministrativo.

In ordine al silenzio assenso, l'art. 20 L. 241/90, così come modificato dalla L. 15/2005, dal D.L. 35/2015 e successiva legge di conversione e dal D.lgs. 126/2016, assume una portata generale, infatti, al co. 1 è previsto che nei procedimenti ad istanza di parte, per l'ottenimento di provvedimenti amministrativi, ad esclusione di tutti gli altri casi previsti al co. 4, il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento.

L'art. 20 L. 241/90 è stato pensato dal Legislatore come strumento di semplificazione "in cui l'attribuzione del bene della vita discende comunque dall'esercizio del potere amministrativo, con la caratteristica che quest'ultimo può manifestarsi anche con un provvedimento tacito, allo scadere di un tempo determinato e normalmente breve, anziché con un provvedimento espresso, che potrebbe scontare i ritardi dell'azione amministrativa"[1].

La puntualizzazione del Consiglio di Stato non consente di interpretare il silenzio assenso come una liberalizzazione, infatti "non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l'attribuzione del bene della vita richiesto, di modo che esso non si configura, ad esempio, in difetto di completezza della documentazione occorrente (Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2020, n. 569, e 7 gennaio 2019, n. 113)"[2].

Focus D.L. 77/2021, convertito in L. 108/2021

Il D.L. 77 del 31 maggio 2021ha inserito il nuovo comma 2 bis, per il quale "Nei casi in cui il silenzio dell'mministrazion eequivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazone è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.".

Limiti all'applicazione del silenzio assenso

Rispetto ai casi in cui l'amministrazione è chiamata a svolgere attività discrezionale, la dottrina e la giurisprudenza più risalente (Corte cost. n.169/1995 e n. 408/1995) ritienevano che lo strumento del silenzio assenso potesse essere utilizzato solo nei casi di attività vincolata della PA, con conseguente esclusione di tutte le attività che comportassero una valutazione anche latamente discrezionale.

Altra autorevole parte della dottrina si è diversamente schierata a favore della applicabilità del silenzio assenso anche per la definizione dei procedimenti nei quali vi sia comunque un certo grado di discrezionalità. A rafforzare questo assunto è intervenuta la L. 124/2015 (Legge Madia) che con il suo art. 3 ha introdotto il nuovo art. 17 bis L. 241/90.

La norma ha esteso il raggio d'azione del silenzio assenso, in modo specifico per quanto riguarda l'acquisizione di atti endoprocedimentali, anche nell'ambito della tutela di interessi sensibili, confermando così l'applicazione dell'istituto ad un grandissimo numero di procedimenti pure a carattere discrezionale.

Tuttavia affermare che l'applicazione del meccanismo del silenzio assenso riguardi anche le attività che comportino valutazioni tout court discrezionali, conduce ad una sorta di fictio iuris, quella cioè di considerare come certamente espletata una valutazione della quale non si ha nessun riscontro (provvedimento adeguatamente motivato), con la possibilità che nessuna istruttoria venga realmente effettuata, e con la conseguenza che "l'amministrazione abdica al proprio ruolo di cura dell'interesse pubblico"[3] pregiudicando la certezza dell'azione amministrativa[4].

La soluzione non può che essere di compromesso affinché il silenzio assenso possa avere quel risultato di semplificazione burocratica, senza che ciò si traduca in un "mezzo tramite il quale ottenere surrettiziamente la pretermissione delle superiori previsioni normative"[5].

La sua applicazione funzionale viene, infatti, diffusamente estesa in dottrina e giurisprudenza ai casi di procedimenti amministrativi che comportino una valutazione discrezionale, a due condizioni: la prima, che si intenda comunque espletato il bilanciamento di interessi derivante da una qualche attività istruttoria[6]; la seconda, che, per quanto ciò sia ulteriore terreno di dibattito, siano esclusi da questo meccanismo i procedimenti che prevedono una discrezionalità ampia, per l'esistenza di una inderogabile riserva di esercizio, espressa dalla funzione amministrativa, posta a tutela dell'interesse pubblico e privato[7].

Infatti, nei provvedimenti ad ampio grado di discrezionalità, come nel caso dei permessi di costruire "in deroga" alla strumentazione urbanistica vigente: "l'amministrazione è chiamata a svolgere valutazioni innovative di carattere latamente politico in ordine all'opportunità, o meno, di modificare la pianificazione urbanistica nella prospettiva di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente e di riqualificare aree urbane degradate: valutazioni connotate da amplissima discrezionalità e che nessuna norma consente di pretermettere sul solo presupposto del tempo trascorso dalla data di presentazione dell'istanza del privato"[8].

Tale orientamento è stato adottato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. V, n. 3796/2014; Cons. Stato, sez. VI, n. 5144/2011).

Formazione del provvedimento tacito di accoglimento e la sua natura

In merito alla formazione del silenzio assenso si sono contrapposti due diversi orientamenti, derivanti proprio dalle discordi posizioni sull'applicabilità dell'istituto anche alle attività discrezionali della PA.

Per una parte, il silenzio si forma per il semplice decorso del termine fissato dalla norma, unitamente all'istanza presentata dall'interessato; chiaramente in questo caso è escluso ogni riferimento alla valutazione e ponderazione degli interessi pubblici e privati. In questo modo, dando rilievo alla sola attività vincolata, viene completamente meno la centralità che l'ordinamento pone in capo all'istruttoria e il suo rapporto naturalmente teso al bilanciamento di interessi volto alla decisione finale.

Altra parte, coerentemente con l'estensione dell'applicabilità anche alle attività discrezionali, afferma che non sia sufficiente, in nessun caso, la sola istanza e il decorso del termine per provvedere: devono essere presenti anche tutte le circostanze, i presupposti e i requisiti previsti dalla legge affinché l'istanza possa essere accolta (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1767/2014)[9].

La citata sentenza riprende un consolidato orientamento per il quale: "una fattispecie di tacito accoglimento può aver luogo in presenza di istanze assistite da requisiti minimali (afferenti alla legittimazione del richiedente, alla corretta individuazione dell'oggetto del provvedere, alla competenza dell'ente chiamato a pronunciarsi, ecc.), tali da poter ricondurre al dato obiettivo della loro presentazione, unitamente al decorso del termine assegnato per provvedere, l'accoglimento per silentium"[10]e pertanto "non può formarsi il silenzio assenso sull'istanza [...] quando non è accompagnata ab initio da tutti i requisiti previsti dalla legge (in primis la perizia giurata di un tecnico qualificato), necessari perché il silenzio possa essere equiparato a rilascio[...]"del provvedimento[11].

La conseguenza che la dottrina dominante ha tratto dall'espansione degli ambiti operativi dell'art. 20 L. 241/90 e dalla necessaria sussistenza dei requisiti minimali è che il silenzio assenso, pur essendo mero comportamento di una pubblica amministrazione, produce gli stessi effetti del provvedimento finale anche se non è a questo equiparabile.

Pertanto, il silenzio assenso non produce un atto implicito, ma una "fattispecie legale permissiva", che legittima l'amministrazione ad esercitare l'autotutela[12].

Instabilità dell'istituto e rimedi previsti dal nuovo comma 2 bis, art. 20, L. 241/90, introdotto dall'art. 62 D.L. 77/2021.

Che l'istituto del silenzio assenso sia connotato da instabilità appare ormai un dato di fatto, assodato che non vi può essere alcuna equiparazione con un provvedimento espresso, se non quanto agli effetti. Il problema al quale il D.L. 77 ha voluto dare risposta era già stato affrontato, e riconosciuto come rilevante, a ridosso dell'attuazione della L. 241/90, riguardo quei privati che, nei rapporti con altre Amministrazioni, necessitassero di atti espressi, certificati, atti di assenso, che detenevano solo astrattamente ma non materialmente.

In tale ottica, dunque, il citato Decreto tenta di dare senso all'istituto, rendendolo un vero e proprio strumento di semplificazione, attribuendo quel grado di certezza che oggettivamente mancava.

Va dunque considerata meritevole, la disposizione legislativa che impone all'Amministrazione di rilasciare telematicamente al privato richiedente un'attestazione relativa al decorso del termine utile alla formazione del silenzio e all'accoglimento dell'istanza, rendendo obbligatorio un rimedio stragiudiziale, già peraltro utilizzato nella prassi, ma fino ad oggi considerato facoltativo (anche se un orientamento giurisprudenziale non trascurabile riteneva già dal 2017 che l'amministrazione fosse obbligata al rilascio di un atto scritto con carattere ricognitivo).

Qualora il termine dei dieci giorni entro il quale la PA "è tenuta" a rilasciare l'attestazione non venga rispettato, la norma prevede che sia il privato a sostituire l'attestazione con una dichiarazione ex art. 47 D.P.R. 445/2000.

L'obiezione principale che si può muovere all'ultimo periodo del nuovo comma 2 bis è che, così disponendo, invece di imporre definitivamente all'amministrazione di adottare il provvedimento o la certificazione, si attribuisce al privato l'onere di darsi quel riconoscimento stabile la cui emanazione era ed è sempre stata di competenza della PA, e questo a maggior ragione qualora l'attività amministrativa presupponga una certa valutazione discrezionale.

In questo modo poi si renderebbe più complesso l'onere di controllo sulle autodichiarazioni posto in capo alla PA, mancando la possibilità di assicurare la veridicità dell'atto sostitutivo di notorietà.

Annullamento in autotutela e tipo di illegittimità del provvedimento di diniego tacito

Quando l'amministrazione lascia decorrere il termine utile a provvedere, consuma anche il suo potere attivo, come ricordano più sentenze, e pertanto l'istanza non potrà essere rigettata con un provvedimento di diniego, solo perché l'amministrazione non ha esercitato la sua funzione[13].

In relazione a quanto esposto sulla natura del silenzio assenso, per parte della giurisprudenza, in mancanza dei requisiti minimi per la sua formazione, il potere dell'amministrazione non sarebbe mai consumato, potendo questa emettere legittimamente un provvedimento di diniego anche tardivo in ogni tempo e il privato sarebbe quindi soggetto ad una perenne situazione di incertezza.

Questa dinamica è ancora ritenuta valida in dottrina e giurisprudenza e si fonda sulla permanenza del dovere di provvedere anche dopo la scadenza fissata dalla norma[14].

In questo modo però l'art. 20 L. 241/90, da rappresentare uno strumento di semplificazione si ritorcerebbe proprio contro chi dovrebbe tutelare.

Inoltre ciò apparirebbe in contrasto con l'interpretazione letterale della norma, perché viene esplicitamente attribuito un termine all'amministrazione per provvedere.

Infine, va tenuto conto dell'affidamento legittimo del privato, perché, qualora si ammettesse quanto prospettato, questi dovrebbe superare un provvedimento di diniego impugnandolo entro i termini previsti per l'annullamento[15], proponendo contestualmente domanda di accertamento sulla sussistenza dei requisiti minimi e della scadenza del termine per provvedere.

Non solo, la lesione dell'affidamento legittimo del privato determinerebbe un grave ed insanabile contrasto col principio di buona fede[16]e farebbe scaturire un'ventuale domanda di risarcimento dei danni cagionati dalla PA.

In ogni caso, se è vero che il provvedimento di diniego tardivo, emanato dopo la formazione del silenzio assenso, va sicuramente ritento illegittimo, è necessario analizzare il tipo di illegittimità da cui è affetto, cioè se può essere riconducibile a nullità o all'annullabilità.

Per la giurisprudenza del Consiglio di Stato, l'adozione del provvedimento tardivo è inquadrabile come violazione di legge e pertanto è annullabile, questo perché l'amministrazione resterebbe sempre titolare del potere di provvedere e il suo comportamento tacito non determinerebbe la sua consumazione, con la conseguenza che il provvedimento tardivo, seppur illegittimo, è produttivo di effetti.

Secondo altro orientamento, ci si trova davanti ad un caso di nullità del provvedimento, per il solo fatto di aver consumato il potere di provvedere[17], proprio nel momento in cui è scaduto il termine assegnato alla PA.

Questo orientamento è avvalorato dal combinato disposto dello stesso art. 20 l. 241/90, che parla esplicitamente della equiparazione del silenzio all'accoglimento della domanda, e degli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. 241/90.

Pertanto in capo alla PA residua il solo strumento dell'autotutela, la quale sarà correttamente adottata solo se riguarderà il vaglio delle ragioni di pubblico interesse, effettuando una ponderazione tra queste e l'interesse del privato al mantenimento del bene della vita conseguito per mezzo del silenzio significativo dell'amministrazione, come ben afferma l'Adunanza Plenaria del 17 ottobre 2017, n. 8, secondo cui "la sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione di un atto amministrativo illegittimo (anche a prescindere dal ricorso alla formula dell'interesse in re ipsa) è oggettivamente connaturata alla rilevata sussistenza di una situazione antigiuridica.

Ma ciò non sta a significare che il riconoscimento di un tale interesse (peraltro, espressamente richiamato dal comma 1 del più volte richiamato articolo 21-nonies) comporti di per sé la pretermissione di ogni altra circostanza rilevante (come gli interessi dei destinatari dell'atto, di cui la disposizione chiede espressamente di tener conto) ed esoneri l'amministrazione da qualunque - seppur succintamente motivata - valutazione sul punto.

Una cosa è infatti la tendenziale prevalenza dell'interesse pubblico al ripristino dell'ordine giuridico rispetto agli altri interessi rilevanti; ben altra cosa è la radicale pretermissione, anche ai fini motivazionali, di tali ulteriori circostanze attraverso una loro innaturale espunzione dalla fattispecie".

E' perciò escluso che l'autotutela possa essere basata solo su ragioni di irregolarità che non inficino l'efficacia del provvedimento, e cioè sulla sola esigenza di ripristinare la legalità violata: serve un quid pluris, cioè che l'atto tacito sia stato adottato in violazione di legge, che sia viziato per eccesso di potere o incompetenza.

Anche alla luce dalla L. 124/2015 l'annullamento in autotutela di cui all'art. 21 nonies L. 241/90 non è classificabile come strumento al quale poter ricorrere sempre e comunque (per quanto la giurisprudenza abbia più volte ritenuto ammissibile l'uso dell'autotutela motivata sulla superiore tutela dell'interesse pubblico[18]), e infatti la legge citata ha posto un termine "ragionevole" per il suo esercizio, comunque non superiore a diciotto mesi, entro il quale la PA può annullare i propri provvedimenti, anche taciti.

Focus D.L. 77/2021, convertito in L. 108/2021

L'art. 63 del D.L. ha ulteriormente ridotto il termine entro il quale una PA può esercitare l'autotutela, passando da diciotto mesi (Legge Madia) a dodici.

Azione di accertamento atipica e silenzio assenso

La mancanza di un atto fisico dell'amministrazione può costringere il privato alla necessità di conseguire una posizione più stabile, richiesta in determinate circostanze, analoga a quella garantita dal provvedimento finale.

Proprio per questo motivo il privato potrebbe adire il giudice affinché accerti l'esistenza dei requisiti per la formazione del silenzio assenso.

Gli orientamenti sfavorevoli in merito all'esperibilità dell'azione di accertamento atipica (i quali si basavano essenzialmente sia sul fatto che il giudizio davanti al GA sarebbe stato solo a carattere impugnatorio e, comunque, sempre e soltanto sull'atto amministrativo, sia sul fatto che l'azione di mero accertamento non sarebbe rientrata nell'elenco, considerato tassativo, di cui al D.lgs 104/2010) sono stati fugati dalla giurisprudenza che ha interpretato in via analogica il vuoto normativo lasciato dal Legislatore nel codice del Processo amministrativo, nel quale non è stato mai recepito il progetto della Legge delega 69/2009 di positivizzare[19] le pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa vittoriosa[20].

Ad oggi la soluzione maggioritaria è quella della generale ammissibilità del ricorso per mero accertamento, proposto non solo strumentalmente rispetto ad altre azioni, come ad esempio quella di nullità ex art. 21 septies L. 241/90, che presuppone già di per sé un'attività di accertamento, prodromica alla dichiarazione di nullità dell'atto, o come anche avviene per la dichiarazione di nullità degli atti amministrativi adottati in totale elusione o violazione del giudicato; per le procedure di cui all'art. 25 L. 241/90 sull'accesso agli atti oppure nel procedimento avverso il silenzio-inadempimento della PA.

In definitiva "il processo di accertamento si presenta come una sottospecie del processo dichiarativo, la cui altra sottospecie è il processo di condanna; e a sua volta si distingue in due sottospecie, le quali sono il processo di accertamento costitutivo e il processo di accertamento mero. Con quest'ultimo si accerta, non si modifica lo stato giuridico preesistente"[21].

Una importante apertura è stata fornita dall'Adunanza Plenaria 15/2011 in materia di d.i.a.; a tal proposito il Consiglio di Stato ha affermato, nel solco della Plenaria 3/2011, che l'esigenza costituzionale di tutelare effettivamente l'interesse legittimo non può trovare ostacolo nella mancata previsione nel codice del Processo amministrativo dell'azione di mero accertamento. Ciò è tanto vero se si prendono in esame gli artt. 24, 103 e 113 Cost. e gli artt. 6 e 47 CEDU.

Anche per gli interessi legittimi deve essere riconosciuta quell'esigenza di tutela piena ed effettiva, attraverso tutti gli strumenti posti a disposizione dall'ordinamento, con la possibilità, quindi, di esperire anche un'azione di accertamento atipica, riecheggiando in questo modo la storica sentenza della Corte Costituzionale 204/2004 e attingendo ai principi ispiratori della sentenza Cass. SS.UU. 500/1999.

Quanto detto in ogni caso non sarebbe messo in discussione dal nuovo co. 2 bis l. 241/90, introdotto dall'art. 62 D.L. 77/2021. Infatti, nell'ultimo periodo del co. 2 bis art. 20, viene istituzionalizzato il ricorso ad atti sostitutivi di notorietà, non senza aggravi di responsabilità in capo ai privati, e comunque con bassi tassi di certezza giuridica, quella certezza che in certi casi solo l'azione giudiziale può fornire, e che deve essere considerata un principio generale, costituzionalmente garantito, oltre che un bene giuridico a sé stante[22] .

Avv. Manlio Lisanti


[1] Consiglio di Stato, sez. IV, n. 7442/2019

[2] Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5156/2020

[3] M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2019, pag. 254; G. Tropea, La discrezionalità amministrativa tra semplificazione e liberalizzazioni, anche alla luce della legge n. 124/2015, in Dir.amm., 2016.

[4] N. Paolantonio, in Diritto amministrativo, a cura di F. G. Scoca, pag. 380, Giappichelli-Torino, III edizione;

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8529/2019

[6] M. Calabrò, Silenzio assenso e dovere di provvedere: le perduranti incertezze di una (apparente) semplificazione, in Federalismi.it.; G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2017, pagg. 206 e 207.

[7] M. Calabrò, op. cit.

[8] Tar Piemonte, Sezione II, n. 270 del 27 febbraio 2018

[9] Ex multis: Tar Campania, Napoli, Sezione III n. 17583, del 4 ottobre 2010.

[10] Consiglio di Stato, Sezione VI, 21 settembre 2010 n. 7012

[11] Cons. giust. amm. Sicilia , sez. giurisd., 05 ottobre 2010 n. 1239

[12] N. Paolantonio, in Diritto amministrativo, a cura di F. G. Scoca, pag. 378, Giappichelli-Torino, III edizione.

[13] M. Calabrò, op. cit; A. Travi, Silenzio assenso ed esercizio della funzione amministrativa, pag. 78, CEDAM-Padova, 1985.

[14] A. Cioffi, Dovere di provvedere e silenzio-assenso della pubblica amministrazione dopo la legge 14 maggio 2005 n. 80, in Dir. Amm. 2006.

[15] Cons. di Stato, Sez. V, n. 1566/1995.

[16] L. Giani, Articolo 20. Silenzio assenso, " in La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge 241/90 riformata dalle leggi 15/2005 e 80/2005, a cura di N. Paolantonio, A. Police, A. Zito, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 411-424.

[17] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, pag. 1029, XIII edizione 2020.

[18] Cons. di Stato, sez. IV, n. 4300/2012; Cons. di Stato, sez. V, n. 3037/2013; Cons. di Stato, sez. IV, n. 1605/2013;

[19] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, op. cit. pag. 164.

[20] Art. 44, co. 2, lett. b), n. 4 L. 69/2009.

[21] F. Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, I, Padova, 1936.

[22] S. Castrovinci Zenna, Il lungo cammino verso l'effettività della tutela: l'ammissibilità dell'azione di accertamento nel processo amministrativo, in De Jure, Fonte: Diritto Processuale Amministrativo, Anno 35, N°1, 2017, pag 146; G.Chiovenda, (voce) Azione di mero accertamento, in Nuovo D. I., II, Torino, 1937