Cosa si intende per “atto amministrativo invalido”?

19.04.2022

Con il concetto di invalidità amministrativa si suole riferirsi all'ipotesi in cui l'atto emanato dalla PA risulti viziato e come tale difforme dal modello astratto previsto dalla legge.

Nell'ambito della patologia degli atti amministrativi si possono distinguere diversi livelli di gravità che vanno dalla mera irregolarità dell'atto alla radicale inefficacia dello stesso.

Mentre il provvedimento irregolare, infatti, presenta una difformità rispetto al modello normativo talmente minimale da non giustificarne il suo venir meno, l'atto invalido presenta, a contrario, vizi tali da renderlo illegittimo e, di conseguenza, annullabile o nullo.

Sia l'annullabilità che la nullità costituiscono forme di inosservanza di norme giuridiche, con la differenza che il provvedimento nullo è inefficace di diritto e viene considerato tamquam non esset, mentre quello annullabile produce i suoi effetti fino alla dichiarazione giudiziale dell'illegittimità dell'atto stesso.

Nel diritto amministrativo la disciplina generale dell'invalidità del provvedimento è stata coniata per la prima volta dalla L. 15/2005, intervenuta a riformare la legge sul procedimento amministrativo varata nel 1990, allo scopo di introdurre una disciplina ad hoc che si discostasse da quella del diritto civile, stante la particolarità dell'attività svolta dalla PA.

La prima differenza rilevante tra le due discipline risiede nel ruolo dato alla categoria della nullità che, a differenza di quanto sancito in ambito privatistico, è prevista solo per i casi tassativamente indicati dall'art. 21 septies della legge sul procedimento amministrativo, mentre l'annullabilità risulta essere la figura generale di invalidità del provvedimento.

L'inversione della regola generale si giustifica proprio per la peculiarità dell'agire amministrativo che, in quanto teso al soddisfacimento dell'interesse pubblico, richiede un regime meno severo rispetto a quello civile.

La scelta del legislatore, infatti, risponde alla necessità di garantire la certezza del diritto e la stabilità dell'atto emanato dai pubblici poteri, il quale, per la sua particolarità, è idoneo ad ingenerare affidamento in capo ai privati.

Prevedere l'annullabilità come regola generale ha proprio la finalità di rendere il provvedimento stabile, nonostante il vizio che lo renderebbe illegittimo, laddove non impugnato nei termini brevi di decadenza di 60 giorni come previsto dall'art. 29 c.p.a.

Avv. Giulia Solenni