Diritto di abortire: Coscienza o conoscenza?

21.03.2022

L'affermazione del diritto all'aborto come diritto umano fondamentale è stata una dura lotta non priva di ostacoli.

L'incidenza della dottrina cristiana nell'etica e nei principi morali dello ius continentale, infatti, difese l'illegalità dell'aborto nella totalità degli ordinamenti europei dal IV secolo fino alla metà degli anni Cinquanta del XX.

Sin dalle origini del cristianesimo, diversi sono stati i principi ispiratori del diritto canonico incentrati sul valore assoluto della vita umana e sulla piena equiparazione dell'uomo e della donna nella complementarità dei sessi.

Nell'ambito del Diritto Canonico, i primi canoni, equipararono l'aborto all'infanticidio, fino ad incorrere nella scomunica latae sententiae.

La gran parte dei canonisti ritiene ancora oggi, tuttavia, che qualora l'aborto sia involontario non si verifichi il comportamento delittuoso e ciò, certamente, anche nei casi di aborto terapeutico giustificato da motivi di salute della donna.

L'Italia, d'altro canto, nonostante si professi un Paese laico, si contraddistingue per una forte presenza al suo interno del culto cattolico e, proprio per questa ragione, abortire è ancora oggi un diritto che viene solamente a metà.

La legge che riconosce il diritto di abortire è relativamente recente: Legge 194/ 1978. Fino al 1978, l'interruzione volontaria della gravidanza era considerata un reato.

Nel Codice Rocco erano previsti una serie di reati tra cui "l'aborto di donna consenziente", l'aborto di donna "non consenziente", "l'autoprocurato aborto" e la "istigazione all'aborto".

Del tutto in linea con la concezione culturale dell'epoca era, ad esempio, l'attenuante della "causa d'onore" che permetteva la diminuzione delle pene per chi commetteva detti reati per "salvare l'onore proprio o quello di un prossimo congiunto".

Nonostante i suoi 40 anni, la Legge sull'aborto in Italia, presenta alcune questioni problematiche e sostanziali:

- l'aumento, nel corso dei decenni dell'istituto dell'obiezione di coscienza a livelli non tollerabili per il sistema,

- il problema delle donne migranti

- la persistenza di sacche consistenti di aborto clandestino.

Tali premesse non fanno che rendere più delicata la questione aborto che si trova a scontrarsi anche con il campo della bioetica: ossia il diritto all'obiezione di coscienza.

La legge attribuisce il diritto agli operatori sanitari obiettori di coscienza di non praticare l'interruzione volontaria di gravidanza, e quindi di non prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 della l. 194/1978.

Coloro che sono obiettori di coscienza sono autorizzati, quindi, a non praticare l'interruzione di gravidanza, ma devono comunque assistere la donna prima e dopo tale scelta.

Il diritto all'obiezione di coscienza comporta, tuttavia, inevitabili problematiche; la presenza in Italia di molti medici obiettori di coscienza rende spesso difficile per la donna esercitare il suo diritto ad interrompere la gravidanza riconosciuto dalla legge.

Il riconoscimento di tale diritto per la donna è fondamentale per rispettarne la bioetica e questo a prescindere dall'età, dalle condizioni di salute ed economiche della stessa.

La coscienza del diritto di aborto trova il suo aspetto ontologico anche nell'art. 9 CEDU, in materia di libertà di coscienza, pensiero e religione, dichiarando in capo a ciascun Stato l'obbligo in via prioritaria, proteggere la salute e il diritto alla salute delle donne che ricorrono all'aborto.

Avv. Francesca Polimeni