Il limite tra il diritto di critica e la diffamazione nella decisione 9/2021 del Tribunale Federale Nazionale

18.03.2022

La decisione del Tribunale Federale Nazionale del 20 luglio 2021 ci è utile per comprendere in modo chiaro il discrimen tra la portata offensiva di dichiarazioni pubbliche rilevabili dagli ufficiali di gara e l'esercizio di un diritto di critica, costituzionalmente garantito e protetto.

Fin da sempre, in ogni branca del diritto, il limite è sempre stato talmente sottile da generare vulnera risolvibili, soltanto, dalla giurisprudenza di merito.

Oggetto del deferimento da parte del Procuratore Nazionale è stato il comunicato ufficiale di una società militante nel Campionato di Serie C che riportiamo integralmente per chiarezza:

"La società, in relazione al provvedimento disciplinare comminato dopo la gara d'andata del primo turno dei play-off nazionali a carico dell'allenatore S. V. e del giocatore M. C. (una giornata di squalifica), con analoga motivazione (perché durante la gara pronunciava un'espressione blasfema, n.d.r.) in seguito al rapporto del Commissario di campo e del delegato della Procura federale che hanno segnalato le presunte espressioni blasfeme, ritiene curioso e incomprensibile il fatto che nessuno dei componenti della quaterna arbitrale abbia percepito alcunché.

La Società, anche a tutela dei propri tesserati e dei valori sportivi che hanno sempre contraddistinto la propria storia, tiene a rimarcare l'ingiusta e inopportuna adozione del provvedimento.

Preme sottolineare che a fine gara nei colloqui di rito intercorsi con i responsabili della società nessun componente della quaterna arbitrale ha rilevato quanto poi asserito da altri, tanto meno il quarto ufficiale che per l'intera durata della partita ha operato a ridosso della panchina o dell'arbitro che avrebbe potuto carpire la frase di C.

È sorprendente che gli zelanti delegati invece di vigilare sulla corretta organizzazione della gara si preoccupino di fungere da inquirenti aggiunti alterando l'equilibrio tra le funzioni, interessandosi di aspetti strettamente disciplinari. Tale comportamento, oltre ad invadere competenze altrui e prevaricare il ruolo della quaterna arbitrale, interferisce pesantemente sul risultato sportivo.

È altresì assodato che, in circostanze analoghe verificatesi nel recente passato e nel medesimo campionato, si è proceduto ad accertare i fatti disponendo indagini approfondite che, nei casi più gravi, si sono concluse con l'irrogazione di sanzioni pecuniarie. Spiace rilevare che in questo caso i delegati preposti abbiano svestito il proprio ruolo di garanti per incarnare quello dei censori in un momento così delicato e determinante della stagione calcistica. Quanto accaduto è inaccettabile e obbliga la società ad impugnare senza indugio i provvedimenti adottati dal Giudice Sportivo con contestuale istanza di trattazione dell'udienza in via d'urgenza".

La portata di dette affermazioni, inserite all'interno di un comunicato ufficiale, diffuso a mezzo web dalla Società sportiva, a giudizio degli organi inquirenti, avrebbe gravemente minato la credibilità, il decoro e il prestigio delle Istituzioni quali la Lega Pro e la Procura Federale nello specifico.

Nelle osservazioni pervenute al Collegio giudicante, prima della celebrazione del dibattimento, la Società ribadisce che quanto detto rientra nel costituzionalmente garantito diritto di critica, rivendicando la propria libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. e rinunciando alla propria difesa tecnica.

Riaccogliendo dall'accusa quanto chiesto all'atto del deferimento è particolarmente importante la pronuncia del Collegio che di seguito riportiamo integralmente:

"A prescindere dalla clausola generale di rispetto delle norme federali e dei principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva (art. 4, comma 1), l'art. 23 CGS - FIGC vieta specificamente ai soggetti dell'ordinamento federale di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone, società o organismi operanti in ambito CONI, FIGC, UEFA e FIFA. Precisa la norma che la dichiarazione è considerata pubblica quando è resa in pubblico ovvero quando per i destinatari, il mezzo o le modalità della comunicazione è destinata ad essere conosciuta o può essere conosciuta da più persone.

Ai fini della rilevanza delle condotte contestate occorre, dunque, accertare la ricorrenza di due elementi: il "carattere pubblico" dei giudizi o rilievi formulati e la relativa idoneità diffamante la quale non deve essere esclusa da esimenti rilevanti secondo l'ordinamento giuridico. Con riferimento al primo profilo, nel caso di specie, quelle rese da X. Y. possono certamente essere qualificate come dichiarazioni pubbliche in quanto destinate ad essere conosciute da più persone per il mezzo e la modalità di comunicazione. Ciò premesso, e venendo al secondo degli elementi da accertare, alla luce della ricostruzione della Procura Federale, le espressioni utilizzate al fine di manifestare il proprio pensiero sarebbero da ritenere diffamanti in quanto ingiustificatamente sproporzionate rispetto al concetto da esprimere non potendosi rinvenire, nel caso di specie, l'esimente della "verità dei fatti narrati"; e ciò "atteso che la decisione del Giudice Sportivo basata sulle risultanze dei rapporti di gara del Delegato della Lega Pro e del rappresentante della Procura Federale alla quale si fa riferimento nel comunicato pubblicato, ha trovato conferma nella pronuncia della Corte Sportiva d'Appello n. 206 del 31.5.2021 in virtù della quale "i rapporti formati dai collaboratori della Procura Federale e/o dal Commissario di Campo costituiscono, unitamente ed al pari dei referti arbitrali, i documenti ufficiali di gara, e sulla scorta dei quali, ai sensi dell'art. 66 del CGS, sono instaurati d'ufficio e si svolgono i procedimenti innanzi al Giudice sportivo".

Sul punto occorre segnalare che in tema di diffamazione è configurabile l'esimente del diritto di critica, intimamente connessa con la libertà costituzionalmente rilevante di espressione del proprio pensiero, la quale postula l'utilizzo di una forma espositiva corretta, funzionale alla finalità di disapprovazione, che non si risolva in una gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione.

La ricorrenza dell'esimente in parola non comporta, tuttavia, l'esclusione dell'utilizzo di termini che, sebbene in sé astrattamente offensivi, abbiano, nello specifico contesto in cui vengono utilizzati, la funzione di esprimere un mero giudizio critico negativo[1].

Nella fattispecie de qua, le espressioni critiche utilizzate non hanno integrato un'aggressione gratuita alla sfera morale del Commissario di campo e del delegato della Procura federale, ma hanno costituito una mera censura al loro operato, espressa con termini che non risultano trascendere la forma civile dell'esposizione.

Tali espressioni sono state ingenerate, fra l'altro, dall'equivoco circa il ruolo rivestito dal Commissario di Campo e dal delegato della Procura Federale all'interno del terreno di gioco e finalizzate esclusivamente a preannunciare il ricorso innanzi alla Corte Sportiva d'appello.

Deve, pertanto, ritenersi ricorrente l'esimente del diritto di critica, non costituendo tali espressioni un gratuito attacco al Commissario di campo ed al delegato della Procura federale.

Dott. Gianmarco Meo


[1] Cass. pen., sez. V, 19.2.2020, n. 17243; ed in senso conforme Cass. pen., sez. V, 29.11.2019, n. 15089; CFA, sez. IV, n. 49/2020-2021