Il principio di offensività

06.04.2022

Il principio di offensività, sebbene non sancito in modo espresso a livello costituzionale, ricopre un ruolo fondamentale all'interno dell'intera materia penale.

Esso presuppone che un fatto, per essere penalmente rilevante, debba necessariamente comportare una lesione a beni giuridici fondamentali: pertanto il reato, quale fatto tipico, antigiuridico e colpevole, è tale solo ove determini una lesione a beni giuridici costituzionalmente contemplati.

La nostra Carta fondamentale, assurgendo al ruolo di guarentigia dei valori più alti, circoscrive i limiti della stessa offensività sia in negativo che in positivo. Sono tipiche e antigiuridiche solo quelle offese che ledono ovvero mettono in pericolo - in modo diretto o indiretto - quei beni tutelati dalla stessa Costituzione; viceversa non possono essere penalmente rilevanti quelle condotte che offendono valori non presieduti in alcun modo della nostra Carta.

La Costituzione, pertanto, non contiene un elenco aprioristico e statico di valori che devono necessariamente essere soddisfatti e garantiti unicamente attraverso lo strumento penale.

In primo luogo, il diritto, quale fatto di creazione umana, è posto a garanzia di valori in continuo mutamento, ancorati ad un sentire sociale per sua natura mutevole.

In secondo luogo i valori presieduti dalla nostra Carta fondamentale e i diritti meritevoli di tutela ad essi connessi possono essere dedotti anche in via indiretta e implicita, proprio per adeguarli con maggiore facilità al contesto sociale nell'epoca di riferimento.

Infine, per ragioni di opportunità e di politica criminale, non tutti i valori presieduti dalla Costituzione possono e devono essere tutelati per mezzo della sanzione penale, le cui conseguenze sono tra le più afflittive dell'intero ordinamento. Non grava, infatti, in capo al legislatore alcun obbligo di tutela dei beni giuridici fondamentali attraverso le norme di tipo penale, posto che sarà sua competenza scegliere a quale tipo di sanzione, tra quelle civili, penali e amministrative, risponderà una tutela maggiormente effettiva.

Nel caso in cui la pena sia stata scelta quale mezzo di repressione degli illeciti, il legislatore è obbligato ad ancorarla a fatti che siano concretamente offensivi, cioè a fatti che ledono o mettono in pericolo beni tutelati dalla norma di riferimento, anche in ragione della funzione rieducativa che assume la pena.

E invero, proprio dal principio sancito ex art. 27, co. 3, Cost., inerente al finalismo rieducativo della pena, può desumersi implicitamente il fondamento costituzionale del principio di offensività: soltanto quella pena ricondotta a un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, lesivo di un bene posto a tutela dalla stessa norma penale di riferimento, e commisurata all'entità e alla gravità del fatto, può essere volta all'effettiva rieducazione del reo.

La finalità rieducativa della pena può esplicarsi solo quando il fatto commesso abbia effettivamente leso o messo in pericolo beni posti a presidio della materia penale. La pena, diversamente, non risultando "giusta" ma fine a sé stessa, quale mera conseguenza automatica dell'inosservanza delle regole - e utilizzata, quindi, in chiave meramente paternalistica - non esplicherà alcuna funzione rieducativa e deterrente.

Il fondamento del principio di offensività.

Secondo autorevole e ormai consolidata dottrina, il principio di offensività troverebbe riconoscimento nell'articolo 49 cod. pen., disposizione recante disciplina sul reato impossibile e sul reato supposto erroneamente.

Secondo tale norma, l'inidoneità dell'azione o l'inesistenza dell'oggetto di quest'ultima, comportando la non realizzazione dell'evento dannoso o pericoloso, configura il cosiddetto reato impossibile. Sostanzialmente, dunque, ogniqualvolta la condotta del soggetto, pur sussumibile astrattamente al fatto tipico, non risulti lesiva del bene giuridico tutelato dalla norma in quanto inoffensiva, si determina la non punibilità del fatto di reato, definito "impossibile".

In tal caso è proprio l'inoffensività del fatto che determina la sua mancata punibilità: l'azione, pur realizzando un fatto tipico e antigiuridico, poiché inoffensiva, non è sintomatica di alcun disvalore sociale e, pertanto, non merita di essere punita.

La ratio dell'art 49, co. 2, cod. pen., fondata sul finalismo rieducativo su cui verte l'intera materia penale, è confermata anche dal primo comma, recante disciplina per il cosiddetto reato putativo.

Secondo tale disposizione non è, altresì, punibile colui il quale, nell'erronea convinzione di commettere un reato, non realizza alcun fatto penalmente rilevante.

In totale armonia con i principi cardine della materia - tra i quali è ricompreso il principio di offensività e di materialità - il diritto penale, quale diritto che verte sul fatto, esclude la rilevanza di mere intenzioni che non si concretizzino in una lesione o in una messa in pericolo di beni oggetto di tutela penale.

Il diritto del fatto non può e non deve essere diritto della morale e delle intenzioni interiori non effettivamente lesive di un bene giuridicamente tutelato. A fortiori, al di fuori dei casi previsti dal comma 1 e dal comma 2 ex art. 49 cod. pen., qualora i fatti commessi siano sussumibili all'interno di una fattispecie di reato diversa, sarà comminata la pena per il fatto di reato effettivamente commesso.

Il principio di offensività nel delitto tentato.

Attraverso la previsione dell'istituto del tentativo, disciplinato dall'articolo 56 cod. pen., il legislatore ha inteso anticipare la tutela ad uno stadio antecedente alla lesione effettiva del bene giuridico protetto dalla materia penale. Nel tentativo, infatti, l'offensività dell'azione è connaturata alla messa in pericolo del bene salvaguardato dalla norma di parte speciale in quanto tale circostanza rappresenta per l'ordinamento un tipo di offesa da reprimere in ragione della necessità di proteggere beni o interessi ritenuti dal legislatore di rilevante importanza.

L'istituto ex art. 56 cod. pen. si configura infatti nel caso in cui, pur realizzandosi degli "atti idonei e diretti in modo non equivoco" a commettere un delitto, l'azione non si compie o l'evento, ad essa connesso, non si verifica.

Si tratta di azioni che manifestano un'intenzione criminosa senza che alla stessa segua la realizzazione di un illecito. Il delitto tentato, dunque, rientra nella categoria dei reati di pericolo astratto: il soggetto viene punito in quanto ha messo in pericolo il bene giuridico tutelato e non perché ha realizzato un'offesa al bene. Attraverso l'istituto de quo non si punisce un danno effettivo al bene protetto, bensì un danno potenziale.

L'istituto del tentativo è applicabile esclusivamente in combinato disposto con i delitti di parte speciale e non anche con le contravvenzioni - gran parte delle quali sono di fatto reati di pericolo - al fine evitare di anticipare la soglia di punibilità in maniera estremamente irragionevole.

Principio di offensività e discrezionalità del legislatore.

Il principio di offensività rappresenta un limite fondamentale per le scelte discrezionali di politica criminale del legislatore. Costui, secondo quanto predetto, non è obbligato alla tutela di beni costituzionalmente rilevanti unicamente attraverso la sanzione penale poiché, posta l'extrema ratio dello strumento penale in ragione della sua afflittività, le sue conseguenze non sempre risultano soddisfacenti in termini di efficacia deterrente. Invero, sussistono diversi casi in cui le sanzioni amministrative, più incisive in ambito patrimoniale, risultano maggiormente efficaci in chiave repressiva rispetto a quelle penali.

Nell'ipotesi in cui il legislatore opti per la sanzione penale, tuttavia, egli è tenuto a rispettare i principi vigenti in materia, tra i quali spicca quello di offensività. Sulla base delle considerazioni che precedono, quindi, soltanto quei fatti che si concretizzano in reali offese a beni giuridici oggetto di diritti garantiti dalla Costituzione possono comportare l'irrogazione della sanzione penale, rivolta sempre alla finalità rieducativa del reo.

La soglia della punibilità, comunque, può essere anticipata sino alla messa in pericolo di alcuni beni ritenuti di fondamentale importanza, tra i quali spiccano l'ordine pubblico, la salute pubblica, la sicurezza pubblica, l'ambiente etc.

Sulla scorta di quanto affermato, la discrezionalità del legislatore non soltanto è limitata, in positivo e in negativo dalla Costituzione rispetto alla scelta dei beni oggetto di tutela della materia penale, ma essa è vincolata altresì al principio di necessaria lesività, sul presupposto del nullum crimen sine iniura.

Dott.ssa Angela Merlini