La natura del contratto di lavoro sportivo

15.04.2022

In materia sportiva si riscontrano rapporti di lavoro che, pur essendo sicuramente di natura "subordinata", presentano deviazioni più o meno accentuate rispetto alla fattispecie tipizzata dall' articolo 2094 del Codice Civile[1], quantomeno nel senso di una maggiore complessità del sinallagma ad esso sotteso degli interessi implicati.

In tali casi, quasi sempre, è il legislatore stesso che correda le relative tipologie e con un nucleo di disciplina speciale.

Si parla comunemente di rapporti di lavoro speciali o a disciplina speciale.

Numerose e diverse sono, tuttavia, le ragioni della specialità e, dunque, i criteri di classificazione dei rapporti sociali.

In alcune ipotesi, è proprio la "causa" del rapporto che si arricchisce, per volontà legislativa, di profili ulteriori rispetto al tipico scambio lavoro-retribuzione. Si pensi all'apprendistato, ove l'elemento formativo acquisisce un ruolo decisivo nell'economia del contratto, o, in una prospettiva diversa, al lavoro in prova ove rilevante è il profilo della verifica datoriale.

In altre fattispecie, è l'incidenza di un "interesse pubblico" o della collettività a plasmare diversamente le condizioni normative dello scambio tipico del lavoro subordinato. Si pensi, in questo caso, al rapporto di pubblico impiego, ove malgrado i processi di privatizzazione resta evidente l'esigenza di una qualche tutela degli interessi pubblici implicati. Analogo esempio è il rapporto di lavoro dei marittimi o della gente dell'aria, ove l'interesse dell'utenza e quello alla sicurezza dei trasporti esige un' articolazione della disciplina tipica.

Altre volte, è la peculiarità "dell'oggetto" della prestazione, come avviene per il lavoro degli atleti professionisti nello sport, o la specificità del "contesto" in cui la prestazione viene resa (si pensi al lavoro domestico che si inserisce in una organizzazione familiare), a reclamare una "speciale" attenzione del legislatore in chiave derogatoria della disciplina generale.

Il rapporto di lavoro sportivo viene, quindi, definito quale rapporto speciale, ovvero quale rapporto che, pur essendo normalmente di natura subordinata, si distingue dallo schema tipico del lavoro subordinato in ragione della particolare prestazione alla cui esecuzione è chiamato lo sportivo.

Il contratto di lavoro sportivo, in quanto speciale, presenta notevoli differenze rispetto al lavoro subordinato ordinario.

Tali differenze attengono al piano della disciplina (la L. n. 91/1981 espressamente dichiara inapplicabile alcune norme fondamentali che vigono per i lavoratori dipendenti), ma anche al piano della configurazione dello stesso contratto.

Nel lavoro sportivo, infatti, sono riscontrabili due elementi che non trovano corrispondenza in nessun altro tipo di lavoro subordinato, sia privato che pubblico.

In primis, il rapporto trilaterale tra società, Federazione e lavoratore, sino alla riforma attuata con la L. n. 586/1996; in secondo luogo, il vincolo sportivo, conseguente al tesseramento, che è l'atto prodromico al contratto di lavoro sportivo.

La principale peculiarità, però, del rapporto di lavoro sportivo subordinato viene, tuttavia, pacificamente individuata nell'impossibilità di applicarvi determinate norme: l'art. 4 della L. n. 91/1981 esclude infatti - attraverso i commi 8 e 9 - che possano operare le previsioni ex artt. 4, 5, 7, 13, 18, 33, 34 della L. 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), gli artt. 1, 2, 3, 6, 7, 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604 e la L. 18 aprile 1962, n. 230 nella sua totalità.

Il lavoro sportivo è provvisto di un nucleo robusto di disciplina specifica che ora vedremo.

Il rapporto di lavoro intercorrente tra atleti professionisti e società sportive, oggetto nel passato di contrastanti qualificazioni in termini di lavoro autonomo o subordinato, è stato regolamentato con la L. 23 marzo 1981, n. 91.

Suddetta legge ha rivolto l'attenzione soprattutto al mondo del calcio, perché da esso provenivano le maggiori istanze di un intervento normativo volto ad eliminare la costante incertezza sulla qualificazione del rapporto di lavoro tra atleta e società sportiva.

La legge n. 91/1981 è stata emanata a seguito di un decreto emesso in via d'urgenza dall'allora Pretore di Milano, dott. Costagliola, il 7 luglio 1978.

Con questo decreto veniva bloccato il calciomercato in corso di svolgimento e dichiarata illegittima la relativa procedura, poiché si riteneva che il trasferimento di un atleta da un sodalizio sportivo ad un altro, dietro pagamento di un indennizzo, fosse in contrasto con la L. 29 aprile 1949 n. 264 in materia di collocamento dei lavoratori, la quale attribuisce alla competenza esclusiva dell'autorità pubblica individuata "ex lege" la gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro e vieta ogni forma di intermediazione privata nella stipulazione del contratto di lavoro subordinato.

Il pretore si basava sulla tesi giurisprudenziale secondo la quale il rapporto di lavoro sportivo era qualificabile come lavoro subordinato, di conseguenza assoggettato alla disciplina sul collocamento dei lavoratori.

Così facendo il pretore, però, si poneva in contrasto con una pronuncia della Corte di Cassazione del 1963, la quale aveva escluso che al trasferimento dei calciatori si applicasse detta normativa.

Per ovviare al conseguente blocco del mercato calcistico nel luglio del 1978, veniva emanato il D.L. n. 367, convertito in legge il 4 agosto dello stesso anno, con il quale si prevedeva, in via generale, che la costituzione, lo svolgimento l'estinzione dei rapporti tra le società e le associazioni sportive e i propri atleti e tecnici, anche se professionisti, tenuto conto delle caratteristiche di specialità e autonomia dei rapporti stessi, continuassero ad essere regolati, in via esclusiva, dagli statuti dei regolamenti delle Federazioni riconosciute dal C.O.N.I., alle quali gli atleti i tecnici stessi risultano iscritti.

Tale previsione normativa stabiliva, quindi, in maniera netta che il rapporto, anche se riguardava professionisti, non era di lavoro subordinato e che la sua regolamentazione sostanziale dovesse essere affidata all' ordinamento sportivo, nel rispetto della cui autonomia doveva essere emanata una disciplina organica che tutelasse adeguatamente gli interessi sociali, economici e professionali degli atleti.

Per risolvere le questioni più immediate, veniva esclusa l'applicazione delle norme sul collegamento per gli atti relativi all'acquisto del trasferimento del titolo sportivo dei giocatori di calcio e degli atleti praticanti altri sport, nonché alle assunzioni dei tecnici da parte di società o associazioni sportive, rimanendo così impregiudicata la questione della natura giuridica del rapporto.

Successivamente, il 26 ottobre 1978, veniva presentato un disegno di legge di iniziativa governativa che prevedeva espressamente la qualifica in termini di "lavoro autonomo" della prestazione dello sportivo professionista, svolta poi mediante una collaborazione coordinata e continuativa fra le parti.

Il provvedimento - nonostante alcune contraddizioni in merito alla nozione di collaborazione, che così testualmente definita, sembrava più attinente al rapporto di lavoro subordinato - veniva approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri nella sua impostazione iniziale, soddisfacendo, pertanto, la necessità di certezza giuridica circa lo "status" dello sportivo professionista.

Per contro, la Camera dei Deputati modificava l'impostazione giuridica originaria senza, peraltro, che il processo di adeguamento al nuovo regime giuridico fosse compiuto fino in fondo, comportando quindi una disarmonizzazione tra il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e talune soluzioni largamente ispirate all'idea di base del lavoro autonomo.

La scelta definitivamente operata suscitava perplessità tra gli addetti ai lavori, avendo tra l'altro provocato disagi nella gestione concreta dell'attività sportiva, soprattutto per le difficoltà di conciliare determinate peculiarità del settore con la normativa inderogabile del diritto del lavoro.

La normativa inquadra espressamente tale fattispecie nell'ambito del lavoro subordinato, dettando una particolare disciplina ispirata al contemperamento con le peculiarità dell'ordinamento sportivo.

L'art. 2 della L. n. 91 del 1981 fornisce una definizione di sportivo professionista alla quale è vincolato l'ambito di applicazione della legge stessa.

Recita infatti la legge all'art. 2: "Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica".

La norma definisce in modo organico lo sportivo professionista e ne identifica lo "status" giuridico, attribuendo così certezza giuridica all'attività sportiva professionistica.

La definizione di professionismo sportivo è, quindi, legata alla sussistenza di elementi precisi: lo svolgimento di un'attività sportiva agonistica, retribuita e in forma continuativa e la qualificazione federale di tale attività come professionistica.

Esercitare un'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità significa per lo sportivo professionista obbligarsi, nei confronti di una società sportiva e sulla base di un contratto di lavoro stipulato con quest'ultima, a svolgere la propria prestazione sportiva in modo continuativo, in cambio di un compenso economico.

Uno sport, dunque, può essere definito professionistico solo se la Federazione da cui è rappresentato lo ha qualificato come tale.

Di conseguenza, in mancanza di tale qualificazione, non si può parlare di sport professionistico e coloro che praticano sport non qualificato come professionistico sono esclusi dall'ambito applicativo della L. 91 del 1981.

Così facendo, le Federazioni attribuiscono carattere chiuso alla categoria dei professionisti sportivi, la quale è composta solo da coloro che praticano sport qualificati come professionistici dalle rispettive Federazioni.

Secondo l'orientamento dottrinale più convincente - in quanto ancorato al dato testuale della L. 91/1981, che, infatti, disciplina specificatamente i rapporti tra società e sportivi professionisti, costituendo così una normativa speciale - sarebbero esclusi i dilettanti e i cosiddetti "professionisti di fatto".

I primi sono coloro che svolgono l'attività sportiva a carattere amatoriale oppure a carattere agonistico, ma con prestazioni non di alto livello e non traggono sostentamento esclusivamente dalla loro attività sportiva, perché non sono retribuite in modo cospicuo oppure non percepiscono alcun compenso, ma solo un rimborso delle spese sostenute.

I "professionisti di fatto", invece, traggono il loro reddito dall'esercizio di uno sport, perché, come professionisti ex art. 2 L. n. 91/1981, praticano l'attività sportiva di carattere agonistico con prestazioni di alto livello e con continuità e percepiscono un compenso economico, ma sono tesserati con una Federazione che non ha istituito il settore professionistico nell'ambito della disciplina sportiva che rappresenta e che ha riconosciuto solo il settore dilettantistico.

Di tal che, agli sportivi esclusi dall'ambito applicativo della legge si applicherà la disciplina generale sul rapporto di lavoro, tra cui l'art. 2094 e ss. c.c., se sussistono i presupposti del rapporto di lavoro subordinato.

Tuttavia la legge ammette, all'art. 3, che la prestazione a titolo oneroso dell'atleta debba qualificarsi come lavoro autonomo quando ricorra uno dei seguenti presupposti:

  • L'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni sportive tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
  • L'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o di allenamento;
  • La prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi le otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

Tra gli aspetti salienti dell'intervento legislativo vanno segnalati l'assunzione diretta dell'atleta senza il tramite dell'Ufficio di collocamento; l'obbligo di stipulare per iscritto, a pena di nullità, il contratto individuale che dovrà uniformarsi ad un contratto tipo predisposto in conformità all'accordo triennale stipulato dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate, stabilendosi, altresì, che eventuali clausole peggiorative del contratto individuale sono sostituite di diritto da quelle contenute nel contratto tipo; la mancata applicazione di alcune norme dello Statuto dei lavoratori (artt. 4, 5, 13, 33, 34) nonché della disciplina vincolistica concernente i licenziamenti individuali.

In materia disciplinare l'art. 7 Statuto dei lavoratori non risulta operante nei confronti delle sanzioni inflitte dalle Federazioni sportive nazionali mentre è consentito alle parti, attraverso un'apposita clausola compromissoria inserita nel contratto individuale, di deferire ad un Collegio arbitrale la definizione delle controversie riguardanti l'attuazione del contratto stesso.

Dott. Federico Basile


(1) Art. 2094 c.c.: È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.