La Polonia, l’aborto e l’anacronistica vicenda anti-CEDU

13.02.2022

La Polonia, da sempre, rappresenta una delle frontiere più controverse circa l'aborto dell'intera Europa. A causa della successione governativa, la questione dell'aborto rimane sicuramente una delle più controverse pagine nella storia del Paese e non solo.

In quale modo le decisioni del legislatore polacco ha influenzato la giurisprudenza della CEDU?

I casi sono stati, storicamente, molteplici. Partiamo dall'inizio. In seguito alla storica sentenza A.B. & C. v. Ireland (decisa il 26 maggio del 2011), la quarta sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è pronunciata sul tema dell'aborto e la compatibilità di questo con la CEDU e con regolamentazioni nazionali che restringono, de jure, la libertà della donna di abortire, soprattutto nel caso in cui la gravidanza derivi da una violenza sessuale oppure comporti gravi danni per la salute della gestante.

Con il ricorso n. 27617/04, la CEDU torna a pronunciarsi, stavolta sul fronte controverso della Polonia. Di fatti, il caso R.R. v. Poland, tratta di una vicenda di una donna polacca la quale (seppure informata fin dai primi mesi delle gravi e potenziali malformazioni del feto) non fosse riuscita de facto ad accedere al trattamento abortivo e per questo partorito un nascituro con gravi malformazioni.

In questo momento, è opportuno fare delle considerazioni di diritto comparato. La legislazione polacca, infatti, permette l'aborto entro la ventiquattresima settimana di gravidanza. A differenza della L. 194/1978, che prevede un'interruzione della gravidanza volontaria (nel nostro ordinamento giuridico) fino alla dodicesima settimana e successivamente in caso di gravi malformazioni del feto oppure di rischio per la salute della madre, il legislatore polacco prevede un termine raddoppiato solo in caso di malformazione del feto. La ricorrente, però, lamentava ostruzionismo da parte del personale medico, che avvisava la stessa di come non si potesse effettuare la procedura in termini utili e legali.

Come evincibile, la vicenda risulta particolarmente complessa poiché non si tratta di obiezione di coscienza, ma la condotta posta in essere intralcia in egual modo la volontà della ricorrente di abortire.

A riguardo, la Corte ha richiamato gli artt. 3 e 8 della CEDU. La Polonia, secondo il ragionamento della Corte, ha violato entrambi gli articoli sopracitati. Nello specifico, per ciò che concerne il primo articolo, viene violato nel momento in cui lo stato stesso, rappresentato dal proprio sistema sanitario, ha impedito le cure necessarie alla ricorrente al fine di portare avanti il trattamento medico. Veniva rilevato come le angherie subite dalla ricorrente da parte del sistema sanitario ammontavano ad una violazione dell'art. 3, che proibisce i trattamenti disumani e le torture. Secondo l'art. 8 CEDU, invece, la Corte riconosce la violazione in capo alla resistente un'obbligazione positiva di rendere sostanzialmente fruibile un diritto all'aborto che sia formalmente riconosciuto da parte della legislazione (come nel caso di specie, l'interruzione di gravidanza).

La decisione sopracitata della Corte, dunque, rappresenta un punto di svolta per la legislazione polacca, oltre che per le donne che vogliono interrompere la propria gravidanza, confermando il bilanciamento tra sovranità e discrezionalità dei legislatori con la libertà/dignità della donna in procinto di interrompere la propria gravidanza in caso di grave malformazione del feto o pericolo di vita per la stessa.

Questa linea giurisprudenziale è stata rispettata fino a quando, nel novembre 2021, il Parlamento polacco ha proposto un disegno di legge che, sostanzialmente, criminalizzava l'aborto come reato. La legge in oggetto, avrebbe introdotto 25 anni di detenzione carceraria come pena per l'interruzione di gravidanza in ogni stato e grado di quest'ultima, a prescindere dal fatto che questa comporti una malformazione del feto o un pericolo di salute per la gestante. Oltretutto, vi era l'istituzione di una nuova figura giudiziaria, denominata "Superprocuratore", atta a sorvegliare le condotte criminose concernenti l'interruzione di gravidanza.

"Questa legge" spiega Milosz Hodun, politologo del progetto Projekt Polska "è un'altra invenzione spaventosa di questo governo liberticida".

La svolta è arrivata, a favore della libertà di interruzione di gravidanza, solo il 1 Dicembre, in cui la Camera Bassa del Parlamento polacco ha cassato la proposta di legge oggetto del presente articolo.

Sicuramente, non si esclude l'avanzamento di proposte di legge "liberticide", con conseguenti giudizi e cause portate avanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Ad oggi, la linea della politica polacca sembra conforme a quella della giurisprudenza CEDU: libertà di aborto incondizionata, anche se incondizionata non risulta, permanendo comunque gli standard della ventiquattresima settimana e solo in caso di malformazione del feto. Che questo caso, congiunto con gli altri precedenti giurisprudenziali europei, sia l'inizio di una svolta liberale? Solo le nuove proposte del legislatore del Paese, ed eventualmente precedenti giurisprudenziali, potranno dircelo.

Dott. Vincenzo Stella