Le figure speciali dell’omicidio doloso

16.03.2022

1. Le tre forme di omicidio previste dal codice penale italiano (omicidio doloso, colposo e preterintenzionale)

È oramai insito nel patrimonio conoscitivo di ciascun individuo la conoscenza e comprensione di ciò che si intende con la locuzione "omicidio", ossia in poche e semplici parole il reato consistente nel cagionare la morte di uno o più individui, privandoli dunque del bene più rilevante che ciascuno di noi possiede: la vita. È opportuno però precisare che non tutte le ipotesi criminose destinate a produrre l'evento mortale sono trattate con le stesse modalità.

Difatti, il nostro ordinamento contempla ben tre diverse forme di omicidio in relazione all'elemento soggettivo che guida la condotta dell'omicida, identificando in tal senso la tripartizione in colpa, preterintenzione e dolo.

L'omicidio colposo di cui all'art. 589 c.p. si sostanzia nel delitto provocato in mancanza della specifica volontà rivolta alla privazione della vita altrui, ragione per cui l'evento fatale si realizza per negligenza, imprudenza e imperizia, ovvero per violazione delle norme giuridiche aventi finalità cautelare.

L'omicidio colposo è un reato cosiddetto a forma libera, in quanto incrimina le condotte colpose che con qualsiasi modalità hanno provocato la morte di uno o più soggetti.

Per quanto concerne l'ipotesi dell'omicidio preterintenzionale occorre specificare che quest'ultimo si concretizza qualora l'evento-morte sia una conseguenza non voluta, derivante da atti diretti a percuotere (art. 581 c.p.) o a procurare una lesione personale (art.582 c.p.). Tale condotta è punita con la reclusione da dieci a diciotto anni.

In ultima analisi, è bene focalizzare l'attenzione sulla terza ipotesi delittuosa che qui interessa, ovverosia il caso dell'omicidio doloso.

Quest'ultimo pone accanto all'evento- morte anche un ulteriore elemento, ossia la condotta dolosa, rappresentata dall'intenzione specificatamente diretta a provocare la morte altrui.

Il soggetto agisce adottando una condotta (omissiva o commissiva) con la consapevolezza che quest'ultima comporterà la realizzazione dell'evento fatale.

È chiaro dunque come l'omicidio doloso rappresenti, proprio in virtù dell'elemento soggettivo che lo caratterizza - il dolo -, la fattispecie delittuosa più spietata.

Tuttavia, il codice penale prevede delle ipotesi di omicidio doloso contraddistinte da forme attenuate, tali da individuare delle tipologie autonome del delitto.

Nello specifico, si fa riferimento all'infanticidio in condizione di abbandono morale e materiale (art. 578 c.p.), all'omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) nonché all'istigazione o aiuto al suicidio (art.580 c.p.).

2. Il reato di infanticidio (art. 578 c.p.)

Procedendo per ordine, per infanticidio si intende l'uccisione di un neonato immediatamente dopo il parto o l'uccisione del feto durante il parto (feticidio).

In quest'ultimo caso il momento che determina la distinzione tra il reato di omicidio e quello di feticidio è l'inizio del travaglio, che coincide con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina e quindi il raggiungimento dell'autonomia vitale del feto.

In entrambe le ipotesi delineate il soggetto attivo è sempre la madre, ragione per cui si suole parlare di reato proprio.

Altra condizione imprescindibile affinché possa delinearsi tale fattispecie riguarda la condizione della madre: la giurisprudenza è concorde nell'affermare che la condotta infanticida debba realizzarsi durante una situazione di abbandono materiale e morale, ossia un momento temporaneo di turbamento emotivo connesso al parto.

Ciò è estremamente rilevante ai fini della tipizzazione dell'ipotesi delittuosa, in quanto qualora il reato si dovesse realizzare al di fuori di tale stato emotivo, si applicherebbero le norme comuni sull'omicidio doloso.

Delineare quando effettivamente vi siano i presupposti per parlare di abbandono materiale e morale non è analisi semplice.

A tal proposito, il più recente (e prevalente) orientamento di legittimità ha affermato che "l'integrazione della fattispecie criminosa di infanticidio non richiede che la situazione di abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi di un elemento oggettivo da leggere in chiave soggettiva, in quanto è sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell'ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale, quale quella che accompagna la gravidanza e poi il parto"[1].

3. L'Omicidio del consenziente (art. 579 c.p.)

Ulteriore figura speciale di omicidio doloso riguarda l'ipotesi di cui all'art. 579 c.p., ossia l'omicidio del consenziente, che si realizza qualora un soggetto cagioni la morte di un uomo con il consenso di quest'ultimo.

La pena prevista per tale reato prevede la reclusione da sei a quindici anni.

La ratio che giustifica la diminutio della pena va rinvenuta nella minor gravità, oggettiva e soggettiva del fatto.

Primo elemento da esaminare riguarda la sussistenza necessaria del consenso prestato dalla vittima, il quale deve risultare serio, esplicito, non ambiguo e perdurante sino al momento della commissione del fatto, "in guisa da esprimere un'evidente volontà della stessa di morire, la cui prova deve essere univoca, chiara e convincente, in considerazione dell'assoluta prevalenza da riconoscersi al diritto personalissimo alla vita, non disponibile ad opera di terzi"[2].

La manifestazione del consenso non necessariamente deve risultare esplicita, ossia scritta o verbale, ma può anche configurarsi tacita purché inequivocabile.

Il suicidio per mano altrui tuttavia non si configura ogniqualvolta, pur sussitendo i requisiti appena elencati, ricorrano determinate condizioni appositamente disposte dall'art. 579, comma 3 c.p., in base al quale non si parla più di omicidio del consenziente ma di omicidio volontario.

Quest'ultimo si realizza qualora sia stata perpetrata la morte:

  • di una persona minore degli anni diciotto;
  • di una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica[3], per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
  • di una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.


4. L'istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.)

L'ultima ipotesi qui analizzata riguarda il caso di istigazione o aiuto al suicidio, delineato dall'art. 580 c.p., ai sensi del quale viene punito "chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione".

Il soggetto agente risponde del reato qualora sussista un nesso eziologico fra la sua condotta "partecipativa" e il risultato concretatasi.

Occorre però distinguere tra due distinte situazioni: se il suicidio avviene, si applica la reclusione da cinque a dodici anni, mentre se il suicidio non si verifica, è prevista la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

Determinare altri al suicidio, equivale a "far sorgere in un individuo il proposito di suicidarsi, prima inesistente; o anche rafforzare l'altrui proposito di suicidio, ossia incentivare colui che ha già l'intenzione di suicidarsi al compimento dell'azione ed infine agevolarne l'esecuzione, nel senso di collaborare, in maniera attiva o omissiva, alla effettiva realizzazione dell'altrui proposito, attraverso un comportamento di ausilio consistente, ad esempio, nella messa a disposizione di mezzi o nella rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del proposito di morte"[4].

Si configura l'ipotesi di omicidio comune qualora l'istigazione o aiuto al suicidio preveda come vittima una persona minore di quattordici anni.

Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata risulta essere minore degli anni diciotto o inferma di mente, o in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti.

Ad ogni modo le fattispecie appena descritte configurano condotte che se poste in essere danno vita a fatti penalmente perseguibili e dunque punibili. Tale punibilità trova fondamento nell'imprescindibile e piena tutela che l'ordinamento assicura alla vita e di conseguenza alla persona umana, quale ratio dell'intero sistema.

Da qui il principio dell'indisponibilità della vita e dell'integrità fisica, degno coronamento del contenuto enunciato all'art. 5 c.c. il quale dispone che "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume".

Dott.ssa Federica Bontempi


[1] Cassazione penale sez. I, 22/01/2021, n.28252.

[2] Cassazione penale sez. I, 19/04/2018, n.747.

[3] Il consenso risulta viziato anche qualora sussista una non totale diminuzione della capacità psichica che renda, sia pure momentaneamente, il soggetto non pienamente consapevole delle conseguenze del suo atto.

L'ipotesi della deficienza psichica è stata ravvisata, pertanto, nel caso del malato inguaribile sottoposto a terapia con analgesici narcotici (Cfr. Giusti, L'eutanasia. Diritto di vivere, diritto di morire, Cedam, 1982, p. 78); nonché, più in generale, nel caso di individui affetti da gravi infermità fisiche (cfr. Iadecola, Eutanasia e sue problematiche giuridiche, in Giust. pen., 1985, I, c. 189).

[4] Cfr. Redazione Giuffrè 2021, nota a sentenza Tribunale Milano, 21/03/2021.