Rapporto tra il reato di cui all’art. 497-ter c.p. e l’art. 28 t.u.l.p.s.

16.11.2022

Il diritto penale complementare rappresenta spesso per i penalisti un ostacolo insormontabile. 

Al di fuori del Codice penale, le leggi speciali contenenti norme incriminatrici si accumulano, si moltiplicano, si sovrappongono fra loro.

Il giurista che si dedica allo studio del diritto penale si imbatte spesso in reati di cui ignorava perfino l'esistenza. 

Ciononostante, il giurista deve essere in grado di applicare ­ per così dire ­ gli strumenti del mestiere per individuare i tratti essenziali e le principali caratteristiche di tali illeciti penali.

Come poc'anzi precisato, l'affastellarsi di nuove e vecchie norme incriminatrici implica il rischio di creare fattispecie penali totalmente o parzialmente sovrapponibili. Ciò avviene anche nei rapporti tra il reato di cui all'art. 497-ter c.p. e quello di cui all'art. 28 T.U.L.P.S.

Il primo, rubricato «possesso di segni distintivi contraffatti», attribuisce rilevanza penale alle condotte di illecita detenzione, fabbricazione, formazione o utilizzo di segni distintivi, contrassegni, documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia o comunque di oggetto o documenti che ne simulano la funzione. La cornice edittale viene fissata mediante rinvio all'art. 497-bis c.p., il quale prevede a sua volta la pena della reclusione, determinabile in una forbice edittale compresa tra i due e i cinque anni, con l'aumento da un terzo alla metà per le condotte di illecita fabbricazione o formazione.

Più complessa è la descrizione del reato di cui all'art. 28 T.U.L.P.S. Quest'ultima punisce una pluralità di condotte particolarmente varie, che si differenziano anche per l'oggetto dell'azione, tutte caratterizzate per essere realizzate in assenza di una apposita licenza.

Si va dalla detenzione di armi da guerra alla loro importazione o esportazione; dalla detenzione alla importazione di strumenti di autodifesa destinati all'armamento di Corpi armati o di polizia; dalla detenzione, fabbricazione o vendita di uniformi militari alla fabbricazione o detenzione delle tessere di riconoscimento e degli altri contrassegni di identificazione degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria.

Il reato di cui all'art. 28 T.U.L.P.S. è punito, qualora il fatto non costituisca più grave reato, con la pena della reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 3.000,00 a 30.000,00[1].

Da una prima e spassionata lettura delle due norme incriminatrici emerge una possibile sovrapposizione tra la portata delle due norme incriminatrici: entrambe puniscono condotte (solo parzialmente per quanto concerne l'art. 28 T.U.L.P.S.) aventi ad oggetto segni distintivi o comunque documenti di identificazione[2].

Sempre a un primo sguardo si può essere tentati a elaborare la seguente considerazione: in tutti i casi in cui la condotta abbia a che fare con segni distintivi e documenti di identificazione, troverà applicazione la sola fattispecie di cui all'art. 497-ter c.p., stante la clausola di salvaguardia di cui all'art. 28, comma 4, T.U.L.P.S.

In altre parole, quest'ultima disposizione rimane assorbita nel reato di possesso di segni distintivi contraffatti poiché reato più grave, stante la più elevata cornice edittale.

Tuttavia, è possibile elaborare una diversa e alternativa soluzione che valorizzi il dato testuale e sistematico, e che riservi un ­ seppur ristretto ­ margine di applicazione anche al reato di cui all'art. 28 T.U.L.P.S.

L'art. 497-ter c.p. richiama espressamente i Corpi di polizia; l'art. 28 T.U.L.P.S. si riferisce a ufficiali e agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria.

È necessario, perciò, ricercare nell'ordinamento giuridico norme definitorie di questi due concetti e, di conseguenza, verificare se gli stessi abbiano una medesima o una diversa portata di significato.

Per quanto concerne i Corpi di polizia, viene in gioco quanto previsto dall'art. 16 della legge n. 121 del 1981. In particolare, tale disposizione definisce come forze di polizia: la polizia di Stato; l'Arma dei Carabinieri; il Corpo della Guardia di finanza; il Corpo degli agenti di custodia; infine, il Corpo forestale dello Stato.

I soggetti appartenenti alla categoria degli agenti di pubblica sicurezza vengono identificati dagli artt. 17, 18 e 43 del Regio decreto n. 690 del 1907 nei seguenti soggetti: la Polizia di Stato nonché quella locale; i Carabinieri; la Guardia di finanza; le Guardie forestali; le Guardie carcerarie; le Guardie daziarie, boschive ed altre dei Comuni. Ai sensi del d.l. n. 92 del 2008, convertito dalla legge n. 125 del 2008, sono agenti di pubblica sicurezza anche le forze armate italiane, qualora siano impiegate in attività di mantenimento dell'ordine pubblico.

Le precisazioni appena svolte permettono di giungere alla seguente considerazione: non tutti gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza di cui all'art. 28 T.U.L.P.S. sono appartenenti ai Corpi di polizia ai sensi dell'art. 497-ter c.p.

La citata constatazione implica che un reale ed effettivo problema di concorso di norme si pone solamente nei casi in cui i segni distintivi e i documenti di identificazione siano relativi ai soggetti appartenenti ai Corpi di polizia. Questi ultimi, infatti, rientrano contemporaneamente anche nella categoria degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza.

In questa particolare ipotesi, si ha a che fare con un concorso apparente di norme, in quanto la clausola di salvaguardia di cui all'art. 28, comma 4, T.U.L.P.S. comporta l'automatica sussunzione del fatto nel reato di cui all'art. 497-ter c.p., in quanto fatto che costituisce più grave reato.

Nel diverso caso in cui le condotte penalmente rilevanti attengano ad oggetti relativi ad ufficiali e agenti di pubblica sicurezza che però non coincidano con i Corpi di polizia (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla polizia locale) troverà applicazione la norma di cui all'art. 28 T.U.L.P.S.

Per quanto possa apparire una dissertazione del tutto astratta, la soluzione indicata permette di garantire una seppur marginale operatività al reato di cui all'art. 28 T.U.L.P.S. che, altrimenti argomentando, finirebbe per rimanere priva di applicazione.

Dott. Marco Misiti


[1] Originariamente il reato rientrava nella categoria delle contravvenzioni, in quanto punito con l'arresto da un mese a tre anni e con l'ammenda da lire 200.000,00 a 800.000,00. Con il d.l. n. 272 del 2005, il reato è stato trasformato in delitto poiché le pene sono state modificate in quella della reclusione e in quella della multa. L'attuale minimo e massimo edittale relativamente alla pena pecuniaria sono stati fissati con il d,lgs. 204 del 2010.

[2] Si deve però precisare che l'art. 28 T.U.L.P.S. non prevede tra le condotte punite anche quelle di illecito utilizzo.