Affettività in carcere ed evoluzione giurisprudenziale alla luce della recentissima pronuncia della Cassazione n. 8/2025

11.01.2025

Con il presente commento si ripercorre brevemente l'evoluzione giurisprudenziale in materia di affettività in carcere, riservando particolare attenzione alla Sentenza n. 8/2025 emessa dalla I Sez. della Corte di Cassazione, dando seguito al monito della Corte Costituzionale (Sentenza n. 10/2024). 

Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione del Magistrato di Sorveglianza che aveva dichiarato inammissibile il reclamo avverso il rigetto emesso dalla Casa di Reclusione di Asti dell'istanza di colloquio intimo con la moglie avanzata da un detenuto, ritenendo che si trattasse non di un diritto, ma di una "mera aspettativa non tutelabile in via giurisdizionale".

Il detenuto proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione ex art. 606, co. I, lett. b) ed e) c.p.p.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando preliminarmente come l'impugnazione promossa dal detenuto dovesse essere correttamente qualificata come reclamo giurisdizionale ex art. 35-bis O.P., essendo stato il diniego opposto dall'Istituto Penitenziario alla richiesta di esercitare un diritto; erroneamente, invece, il Magistrato di Sorveglianza dichiarava inammissibile il gravame, stante il contenuto della richiesta.

Sulla scorta della pronuncia n. 10 della Corte Costituzionale del 26/01/2024, con cui veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 O.P. nella parte in cui "non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia", i Giudici hanno ritenuto, condividendo le valutazioni già esposte nella precedente Sentenza n. 301/2012, che "la libertà di godimento delle relazioni affettive costituisce un diritto costituzionalmente tutelato, diritto che lo stato di detenzione può comprimere quanto alle modalità di esercizio, ma non può totalmente annullare, con una previsione astratta e generalizzata, che non tenga conto delle condizioni individuali del detenuto e delle sue prospettive di risocializzazioni, in quanto ciò si tradurrebbe in una lesione della dignità della persona. (…) L'impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus dei suoi rapporti familiari e in un pregiudizio nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità che, se non giustificato da ragioni di sicurezza o di mantenimento dell'ordine e della disciplina, ovvero dalla pericolosità sociale del detenuto o da ragioni giudiziarie per l'imputato, viola gli artt. 27 Cost. e 117 Cost., in relazione all'art. 8 CEDU".

Secondo i Giudici di Legittimità, quindi, "non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari e possono essere negati, secondo l'esplicito dettato della sentenza della Corte costituzionale, solo per ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie (in caso di soggetto ancora imputato)".

Dott.ssa Simona Ciaffone