ASSOCIAZIONE CULTURALE GIURIDICAMENTE

Anonimato materno: tra tutela della riservatezza del genitore e diritto del figlio a conoscere le proprie origini

05.05.2025

A cura di Avv. Michele Zabeo

L'anonimato materno è un istituto trasversalmente disciplinato dal nostro ordinamento che rappresenta il più forte e idoneo strumento per garantire l'anonimato, appunto, della madre al momento del parto.

Le ragioni che possono portare la partoriente a questo tipo di scelta sono svariate e il nostro sistema legislativo storicamente ha sempre dato la massima tutela possibile a questa scelta.

Nella legislazione dell'Ordinamento di Stato Civile si legge infatti che nella dichiarazione di nascita va sempre rispettato il diritto della madre a non essere menzionata[1]. 

La non indicazione del nome da parte della partoriente ha, evidentemente, una serie di ricadute di tipo giuridico sia sulla sua sfera giuridica che su quella dell'altro genitore. 

Da un lato, infatti, la madre che rifiuti di comparire nell'atto di nascita non assume il ruolo di titolare della responsabilità genitoriale. Inoltre, laddove fosse sposata, di fatto la sua scelta finirebbe per neutralizzare la presunzione di paternità così come disciplinata dal Codice civile[2]; viceversa se non fosse sposata l'anonimato potrebbe far sì, alternativamente, o che solo il padre effettui il riconoscimento ovvero nel caso di disinteresse o mancato riconoscimento anche da parte di quest'ultimo che si apra la strada dell'adozione del minore.

L'espansività della scelta nei termini sinteticamente ora descritti e le sue ricadute sulla sfera giuridica altrui (in particolare dell'altro genitore) hanno spesso portato a dubitare della legittimità di una norma che riconosce un diritto di tal portata alla madre. 

Tutte le osservazioni critiche, tuttavia, sono sempre state assorbite dall'argomentazione metagiuridica secondo cui il "potere" associato all'anonimato è legittimato dal ruolo naturale che la madre assume e che la legittima dunque a far prevalere la sua decisione sul volere altrui.

Ben più significativo è, sopratutto in tempi più recenti, il rapporto tra l'anonimato e il diritto alla conoscenza delle proprie origini del figlio.

Tendenzialmente nella legislazione nazionale si è da sempre manifestato un favor per il diritto materno alla riservatezza e una pressoché totale protezione di esso. 

Lo si capisce chiaramente dall'art. 28 della l. 184/1983 che, nel riconoscere il diritto dell'adottato al raggiungimento dei 25 anni di avviare un procedimento volto a permettergli di conoscere le informazioni relative ai genitori biologici, poneva un limite invalicabile nell'ipotesi di parto anonimo[3]. 

Lo si percepisce ancora di più dall'art. 93 del d.lgs 196/2003 laddove prevede che l'accesso alla cartella clinica con i dati della madre anonima può essere concesso solo decorsi 100 anni dalla formazione dell'atto.

Occorre a questo punto sottolineare come questo tipo di approccio legislativo non si ritrova in ordinamenti affini. In Francia, ad esempio, la prevalenza del diritto all'anonimato è caduta con una legge del 2002 con la quale si è costituito un apposito organismo attraverso cui i figli "anonimi" possono chiedere di venire a conoscenza dell'identità delle loro madri le quali, però, dovranno essere interpellate e ben potranno rivedere la loro precedente decisione revocandola ovvero confermarla.

Ebbene tale tipo di approccio alla questione ha anche superato il vaglio della CEDU[4] la quale non ha riscontrato una violazione dell'art. 8 in quanto la legge francese opera un adeguato bilanciamento dei diritti in rilievo.

Contrariamente a quanto anzidetto sulla normativa francese, quella italiana è stata invece censurata dalla CEDU. Nella sentenza Godelli contro Italia[5] si è infatti stabilito che l'art. 28 co. VII l. 184/1983 mirando a tutelare solo il diritto materno e non anche quello del figlio, viola l'art. 8 CEDU non operando un adeguato bilanciamento tra gli interessi che vengono in rilievo. 

Questa sentenza ha avuto un impatto rilevantissimo dal momento che ha posto le basi per un cambiamento radicale nel rapporto tra diritto all'anonimato materno e diritto del figlio a conoscere le proprie origini.

Dapprima, infatti, la Corte Costituzionale[6] ha affermato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 co. VII nella parte in cui non prevede una procedura che, pur garantendo la riservatezza della madre, le permetta di essere interpellata e eventualmente rivedere la sua scelta iniziale sull'anonimato. La Corte Costituzionale, in altri termini, riconosce nel rapporto genitori-figli un rapporto diacronico: in un primo momento alla nascita prevale sempre il diritto della madre a restare anonima, mentre in un secondo momento (ovvero dal 25esimo anno d'età del figlio) il diritto materno dev'essere bilanciato con quello del figlio.

Tanto basta a far percepire l'inadeguatezza normativa nel non prevedere strumenti di tutela per il figlio rimandando quindi ad un intervento legislativo che colmi la lacuna.

Questa pronuncia unitamente all'inerzia del Legislatore ha, a sua volta, creato una spaccatura giurisprudenziale: mancando una procedura positivizzata che permetta al figlio di richiedere e alla madre di manifestare la sua volontà di revocare la scelta sull'anonimato o meno, come procedere? Occorre attendere un intervento del Legislatore o ci si può rifare analogicamente ai procedimenti già previsti nelle norme processuali? Sulla questione sono intervenute le SS.UU. con la sentenza n. 1946/2017 con la quale, pur non dando una risposta netta al quesito, sembra essersi optato per un ricorso agli strumenti già previsti dal Legislatore.

Rimanevano, tuttavia, altre problematiche legate a casi particolari come il caso in cui la madre fosse premorta alla richiesta di figlio o fosse viva, ma non in grado di esprimere il suo consenso alla revoca della sua precedente scelta. Sul punto ha provveduto ancora una volta la giurisprudenza: riguardo alla prima ipotesi la Cassazione[7] ha affermato che la morte della madre, impedendo il suo interpello, non può altresì impedire al figlio di avere accesso alle informazioni relative alle sue origini con ciò ammettendosi il suo diritto ad accedere all'identità della madre.

Viceversa nel secondo caso, ovvero nell'ipotesi in cui la madre sia viva ma incapace di esprimere una volontà sempre la Corte di Cassazione ha negato il diritto del figlio a conoscere delle proprie origini[8].

Alla luce di quanto finora descritto, quindi, si può ritenere che l'iniziale rigida posizione legislativa di tutela dell'anonimato materno sia stata via via erosa a favore del riconoscimento di un diritto del figlio a conoscere l'identità del proprio genitore.

Resta, tuttavia, traccia di alcuni limiti: il primo è che la richiesta di interpello va sempre bilanciata con gli interessi che vengono in rilievo anche con riguardo a soggetti terzi (per esempio il marito della madre o gli altri suoi figli). Inoltre resta il dato normativo: la fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale ha inciso solo su una delle norme in materia di parto anonimo che, dunque, rimane una scelta ancora oggi possibile ex art. 30, c. I d.lgs 396/2000 e per la quale viene tutelata la riservatezza della madre quantomeno in forza dell'art. 93 d.lgs 196/2003.


[1] Art. 30, c. I d.lgs 396/2000: "La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata";

[2] Art. 232 c.c., c. I: "Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio";

[3] Art. 28, c. VII, l. 184/1983: "L'accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, 396";

[4] Corte EDU, sentenza n. 42326/2003, Odièvre contro Francia;

[5] Corte EDU, sentenza n. 33783/2012, Godelli contro Italia;

[6] Sentenza Corte Costituzionale n. 278/2013;

[7] Corte di Cassazione, sentenza n. 15024/2016;

[8] 

Utilizziamo i cookie per consentire il corretto funzionamento e la sicurezza del nostro sito web e per offrirti la migliore esperienza utente possibile.

Impostazioni avanzate

Qui puoi personalizzare le preferenze sui cookie. Abilita o disabilita le seguenti categorie e salva la tua selezione.

I cookie essenziali sono fondamentali per un sicuro e corretto funzionamento del nostro sito web e del processo di registrazione.
I cookie funzionali ricordano le tue preferenze per il nostro sito web e ne consentono la personalizzazione.
I cookie per le prestazioni monitorano le prestazioni del nostro sito web.
I cookie di marketing ci consentono di misurare e analizzare le prestazioni del nostro sito web.