La distinzione tra la presa in consegna dell’opera e la sua accettazione da parte del committente
Cass. civ. Sez. II, 22 gennaio 2025, n. 1576
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A cura di Dott. Gennaro Ferraioli
Massima: In tema di appalto, la presa in consegna dell'opera da parte del committente non va confusa con l'accettazione della stessa, e non implica di per sé la rinunzia a far valere la garanzia per i difetti conosciuti o conoscibili quando sia seguita dalla denunzia delle difformità e dei vizi dell'opera.
La questione oggetto della sentenza in esame origina dalla stipula di un contratto di appalto avente a oggetto la realizzazione di lavori di pavimentazione presso i locali della società committente.
La vicenda si caratterizza per il fatto che, nel corso dell'esecuzione dell'opera, la stessa parte appaltante aveva sollecitato quella appaltatrice affinché rimediasse a dei vizi occorsi già nel corso dei lavori, qualificabili, dunque, come palesi; una volta completata la prestazione, l'opera ultimata veniva consegnata alla società committente, la quale non sollevava alcuna riserva.
Dopo il trascorso di un periodo di oltre un anno dalla consegna dell'opera, la società appaltante denunciava l'esistenza dei vizi.
In primo grado, la società appaltatrice si opponeva a un decreto ingiuntivo concesso dal Tribunale per il pagamento dei lavori, precisando come i lavori non fossero stati eseguiti a regola d'arte e proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti.
Il giudice di prime cure accoglieva l'opposizione, la quale veniva successivamente impugnata innanzi alla Corte d'Appello.
In secondo grado, veniva riformata la pronuncia con rigetto dell'opposizione al provvedimento monitorio opposto.
La questione, a questo punto, giunge innanzi alla Corte di Cassazione, la quale decide con ordinanza nel senso di confermare la pronuncia della Corte d'Appello e di rigettare il ricorso.
La Corte di legittimità adotta tale decisione e nega la spettanza della garanzia per i vizi in ragione della loro natura palese e della mancanza di qualsiasi contestazione da parte della società appaltante, in applicazione del combinato disposto degli artt. 1667, 1° comma e 1665, 4° comma c.c.
Da tali norme si ricava, innanzitutto, che la garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché l'appaltatore non li abbia taciuti in mala fede; in secondo luogo, che la garanzia non è neppure dovuta se il committente abbia ricevuto l'opera "senza riserve".
Nel caso di specie, per quanto i vizi fossero palesi, la ricezione della consegna dell'opera senza riserve ha fatto si che questa si ritenesse accettata ancorché non si fosse proceduto alla sua verifica.
La Suprema Corte, inoltre, si sofferma in tema di interpretazione del dettato dell'art. 1665 c.c., e precisa le differenze tra atto di "consegna" e atto di "accettazione".
L'accettazione viene qualificata come espressione di gradimento (anche per facta concludentia) dell'opera, dal valore negoziale, rectius di negozio unilaterale recettizio, in quanto comporta effetti ben determinati, tra cui lo stesso esonero di responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera in capo all'appaltatore.
Nello specifico, l'accettazione caratterizza l'appalto, essendo atto non rinvenibile nella disciplina generale sull'adempimento delle obbligazioni (in cui il creditore può limitarsi a un contegno passivo). Con l'accettazione, l'appaltante "dichiara di voler accogliere nella sua sfera giuridica il frutto della prestazione eseguita, avendola trovata immune da difformità o vizi o avendo rinunciato a farli valere".
La consegna, invece, è atto puramente materiale, il quale si compie con la messa a disposizione del bene a favore del committente; la messa a disposizione è essenziale poiché funzionale alla verifica dell'opera stessa.
Da tale distinzione è pacifico come, in assenza di una specifica espressione di volontà, consegna e accettazione non possono coincidere, salvo che non si sia realizzata la fattispecie della "accettazione tacita".
Tale istituto, per espressa previsione giurisprudenziale, necessita di un quid pluris, un surplus ulteriore alla consegna che permetta l'attribuzione di un preciso significato giuridico.
Questo è dato da una consegna a cui possa, in concreto, ricollegarsi la mancata espressione di qualsiasi riserva, come nel caso in cui il vizio palese venga in un primo momento fatto notare, ma non sia opposto al momento della ricezione.
In particolare, l'accettazione tacita è ritenuta forma di manifestazione dal pari valore rispetto a quella espressa; in base ai principi generali, essa si realizza "laddove il committente compia un atto incompatibile con la volontà di rifiutare l'opera. Sicché essa si sostanzia nei comportamenti concludenti che […] che dimostrino in modo inequivocabile il gradimento del committente rispetto all'opera realizzata".
L'unico presupposto che l'ordinamento prevede per l'accettazione tacita è la traditio al committente, che, come visto è semplice atto materiale. A tale ricevimento si deve accompagnare quel comportamento concludente che può assumere diverse forme, la cui presenza "costituisce una quaestio facti rimessa all'apprezzamento del giudice di merito".