Legittimità costituzionale dell’art. 4bis comma 1 della L. n. 354/1975

16.03.2023

Corte Costituzionale, Sent. n. 253 del 2019 

La sentenza de quo trae origine dalla sollevata questione di legittimità ad opera della Corte di Cassazione circa la compatibilità dell'art. 4bis co. 1 della legge sull'ordinamento penitenziario con gli artt. 3 e 27 della nostra Carta Costituzionale. Ciò che veniva in rilievo era la criticità del disposto nella parte in cui escludeva che il soggetto sottoposto alla pena dell'ergastolo, il quale non avesse collaborato con la giustizia, per delitti previsti dall'art. 416bis c.p. nonché per quelli commessi avvalendosi delle condizioni di cui al citato articolo, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, potesse essere ammesso alla fruizione di permessi premio.

Nel caso qui in esame il condannato all'ergastolo con isolamento diurno per la durata di un anno, comminatagli per i reati di associazione mafiosa, omicidio, soppressione di cadavere, porto e detenzione illegale di armi si era visto negare, dal Tribunale di sorveglianza dell'Aquila, il beneficio del permesso premio in quanto i delitti da lui commessi rientravano nell'elenco delle fattispecie ostative ex art. 4 co. 1 L. n. 354/2019.

Il condannato aveva allora deciso di presentare ricorso presso la Suprema Corte osservando che tale preclusione si poneva in contrasto sia con la funzione rieducativa della pena, propria del nostro sistema penale, sia con i principi sovranazionali statuiti dalla CEDU all'art. 3.

Dunque, valutata la questione come rilevante e meritevole la Corte di Cassazione sollevava la questione di legittimità costituzionale. Infatti, appariva necessario valutare la compatibilità del suddetto disposto normativo con le disposizioni costituzionali previste dagli artt. 3 e 27 nonché analizzare come la preclusione de quo comportasse una presunzione assoluta di pericolosità che di fatto non ammetteva alcun esame circa l'effettiva pericolosità del condannato; implicante, tra l'altro, il rigetto di qualsiasi beneficio penitenziario, con conseguenze pregiudizievoli per lo stesso sul piano sociale e rieducativo.

La Corte Costituzionale si è allora espressa sul punto dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 4bis co. 1 nella parte in cui non prevedeva che ai detenuti per i delitti ex art. 416bis c.p. nonché per quelli commessi avvalendosi delle condizioni ivi previste, potessero essere concessi permessi premio – anche in assenza di collaborazione con la giustizia – allorchè fossero stati acquisiti elementi volti ad escludere sia l'attuale presenza di collegamenti con la criminalità organizzata sia la reviviscenza di tali rapporti.

Inoltre, in conseguenza di ciò la Corte aveva altresì statuito - ai sensi dell'art. 27 L. n. 87/53 – l'illegittimità costituzionale dell'art. 4bis della L. n. 354/1975 nella parte in cui non estendeva i permessi premio anche a coloro che avessero commesso reati diversi da quelli previsti dall'art. 416bis c.p. e quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo; ciò nel caso in cui fosse stata accertata l'assenza di collegamenti attuali nonchè dell'eventuale ripristino dei legami con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva.

Alla luce di quanto esposto è opportuno precisare che la casistica esulava dall'ergastolo ostativo in quanto non investiva la concessione della liberazione condizionale bensì atteneva ai condannati per i c.d. reati ostativi che - in quanto non collaboranti con la giustizia - non potevano aver accesso ai permessi premio. Pertanto, il punto focale della questione era individuabile, come sopra accennato, sia nella preclusione all'ottenimento di tali benefici sia nella presunzione assoluta in capo al condannato del persistente collegamento con le organizzazioni criminali, in quanto soggetto non collaborante.

Qui ciò che rilevava era dunque l'irragionevolezza circa l'inidoneità di altri elementi, oltre ad una rilevante collaborazione, alla concessione dei suddetti benefici. A tal proposito la Corte chiariva che – in assenza di collaborazione - il venir meno della pericolosità del soggetto non poteva trarre origine solo da una buona condotta, attuata all'interno dell'istituto di reclusione o dalla dichiarazione di non intrattenere più legami con l'associazione stessa o, ancora, dalla partecipazione ad un programma rieducativo.

Infatti, è proprio nel decisum che la stessa Corte sottolineava la necessità di concedere tali permessi solo nei casi in cui fosse stato possibile escludere sia "l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata" sia "il pericolo di un loro ripristino"; trasferendo di fatto al soggetto condannato l'onere di allegare elementi che attestassero il suo cambiamento rispetto alle precedenti abitudini.

Dott.ssa Lucrezia Menotti