Assegno divorzile: “assicurazione a vita?”

22.10.2022

Cass. Civ. Sez. I, 17 febbraio 2021, n. 4215  

Cass., Sez. Unite, 5 novembre 2021, n. 32198 

Il divorzio nel nostro ordinamento è stato introdotto con la L. 898 del 1970, anche se il legislatore non utilizza specificatamente questo termine, ma "scioglimento" con riferimento al matrimonio civile e "cessazione degli effetti civili" per il matrimonio concordatario.

L'art. 1 della legge sul divorzio prevede che il giudice possa pronunciare lo scioglimento del matrimonio se "accerta che è venuta meno la comunione materiale e spirituale tra i coniugi e questa non può essere mantenuta o ricostruita per la presenza di sentenze penali di condanna passate in giudicato a carico di uno dei coniugi o parte dell'unione civile, per sentenza di rettificazione del sesso di uno dei due coniugi o parte dell'unione civile o ancora per annullamento del matrimonio o dell'unione civile all'estero o un nuovo matrimonio o unione civile dallo stesso contratto sempre all'estero."

Le cause anzidette sono comuni sia al matrimonio che alle unioni civili.

Costituiscono, invece, ipotesi di scioglimento del solo matrimonio e delle unioni civili, la mancata consumazione e la protrazione per 12 mesi dalla separazione giudiziale e per 6 mesi dalla separazione consensuale.

È causa di scioglimento delle sole unioni civili, invece, la volontà delle parti proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà dello scioglimento dell'unione.

Il divorzio produce sia effetti personali che patrimoniali.

Quanto ai primi è ovvio che vengono meno i diritti e i doveri dei coniugi, quali l'obbligo di fedeltà reciproca (non prevista per l'unione civile), obbligo di assistenza morale e materiale, collaborazione ed interesse per la famiglia, viene meno l'impedimento a nuove nozze e la moglie perde il cognome del marito.

Gli effetti patrimoniali del divorzio riguardano, invece, la perdita dei diritti successori nel momento in cui passa in giudicato la sentenza di divorzio. Tuttavia, la legge riconosce numerosi diritti patrimoniali al coniuge o alla parte dell'unione civile divorziata, primo tra tutti quello di conseguire un assegno divorzile, quando la stessa non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive.

Si osserva che presupposto essenziale dell'assegno divorzile è la situazione di necessità del coniuge beneficiario, il quale deve essere nella condizione di non avere mezzi adeguati di sostentamento e di non poter procurarseli per ragioni oggettive (per. es. inabilità fisica che non gli consente di lavorare). Ai fini della corresponsione dell'assegno divorzile, infatti, non basta che il coniuge beneficiario sia privo di mezzi adeguati, ma anche che egli sia oggettivamente nella condizione di non poterseli procurare. A tale proposito, la giurisprudenza ha abbandonato il concetto, ormai obsoleto, di "mantenimento" visto in passato come misura assistenziale perpetua, per stabilirne uno nuovo che tenga conto della parità dei sessi.

La donna è a tutti gli effetti un soggetto che può svolgere un'attività dipendente o autonoma, quindi non vi è motivo di affidarsi all'uomo dal punto di vista economico ed a tempo indeterminato.

È ormai pacifico, quindi, come l'assegno divorzile riconosciuto all'ex coniuge non debba tradursi in una forma di "assicurazione a vita". Ove, infatti, quest'ultimo si mostri poco intraprendente nel ricercare opportunità lavorative, in assenza di patologie impeditive e/o di condizioni di salute ostative allo svolgimento di attività lavorativa, non vi è ragione per continuare a godere del beneficio, tenuto conto della sua età e delle sue condizioni economiche.

Il criterio dell'autosufficienza economica necessaria per escludere il diritto alla percezione dell'assegno divorzile è stato introdotto dalla Cassazione con la sentenza n. 11504/2017, applicabile anche ai procedimenti per la modifica delle condizioni di divorzio, sempre che si sia in presenza di "giustificati motivi" che innovino il quadro economico patrimoniale di riferimento, ossia solamente se vi sia "in concreto" una modificazione che giustifichi il ricorso all'autorità giudiziaria.

La giurisprudenza è più volte, nel corso degli anni, ritornata sul punto.

Con la Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 17 febbraio 2021, n. 4215 la Corte ha stabilito che " l'assegno divorzile deve assicurare all'ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i parametri e mediante complessiva ponderazione dell'intera storia coniugale e della prognosi futura, tenendo conto anche delle eventuali attribuzioni o degli introiti che abbiano realizzato l'esigenza perequativa"

Ed ancora, la Sentenza Cass., Sez. Un., 5 novembre 2021, n. 32198 ha previsto che "L'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri si assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente la perdita automatica ed integrale all'assegno. Qualora sia giudizialmente accertata l'instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole, questi, se privo anche all'attualità dei mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell'ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa. [...]. Tale assegno non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell'ex coniuge, ma deve essere quantificato tenendo conto della durata del matrimonio."

Concludendo, l'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze stante che, in tal caso, acquista il diritto all'assistenza economica nei confronti del nuovo coniuge.

Dott.ssa Veronica Riggi