Macellazione rituale e art. 544-bis c.p.: tra tutela del sentimento per gli animali e libertà religiosa

24.09.2025

Cass. pen., Sez. III, 13 giugno 2025, n. 22294

Massima: La libertà religiosa non scrimina condotte che, pur motivate da precetti rituali, si pongono in contrasto con norme poste a tutela del benessere animale; la macellazione rituale senza stordimento ed in luogo non qualificabile come "macello" integra il reato di cui all'art. 544-bis c.p."

A cura di Dott.ssa Lisa Martini

La sentenza n. 22294/2025 della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione affronta nuovamente il delicato bilanciamento tra libertà religiosa e tutela del sentimento per gli animali.

Il caso riguarda la condanna per uccisione di animali ex art. 544-bis c.p., sia consumato che tentato, inflitta ad alcuni soggetti di religione islamica, sorpresi a macellare montoni in occasione di una festività religiosa islamica all'interno di un'autorimessa privata, senza previo stordimento e in assenza dei requisiti strutturali richiesti dalla normativa europea per i macelli.

Brevemente, l'art. 544-bis c.p., introdotto con la legge n. 189/2004, incrimina la condotta di chi, "per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale", prevedendo la pena della reclusione da quattro mesi a due anni.

La disposizione si colloca all'interno del titolo IX-bis del codice penale, dedicato ai delitti contro il sentimento per gli animali, e rappresenta una delle principali espressioni del riconoscimento, da parte dell'ordinamento, della loro natura di esseri senzienti. L'elemento soggettivo richiesto è il dolo, anche nella forma eventuale, e la condotta si distingue nettamente da quella prevista dall'art. 544-ter c.p., atteso che in quest'ultima l'evento morte dell'animale non è voluto né previsto, ma solo eventualmente verificatosi a seguito di atti di maltrattamento.

La Corte di Appello di Torino, adita da tre degli originari imputati, aveva confermato la loro responsabilità penale, pur riconoscendo la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nei certificati penali, tenuto conto dell'incensuratezza degli stessi e della circostanza che la condotta delittuosa era stata determinata dall'esigenza di rispettare un precetto religioso previsto dalla fede musulmana in materia di macellazione di animali commestibili.
La difesa di uno dei coimputati proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando tre motivi di impugnazione:

  • Violazione di legge per aver interpretato l'art. 544-bis c.p. senza aver tenuto in debita considerazione le norme integrative del precetto (di derivazione europea) di cui agli artt. 4 del Regolamento UE n. 1009/2009 e 1 del Regolamento UE n. 853/2004 in materia di macellazione di animali (che consente deroghe allo stordimento negli abbattimenti rituali purché svolti in un macello);
  • vizio di motivazione in merito alla prova sull'integrazione del reato, in particolare relativamente all'elemento dell'assenza di necessità;
  • assenza di prova sul concorso dell'imputato. La difesa del prevenuto, difatti, denunciava la mancata dimostrazione di un apporto causale, materiale o morale, dell'imputato alla commissione del reato in contestazione.

La Suprema Corte, richiamando l'art. 19 Cost. (per il quale "tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume") e la giurisprudenza in materia, ribadisce un principio cardine: la libertà religiosa non può scriminare condotte penalmente rilevanti se queste si pongono in contrasto con norme poste a tutela di interessi primari, quali il rispetto per il benessere animale.

Fatta questa precisazione, rileva il Collegio che non valgono a dimostrare la sussistenza del preteso

vizio di violazione di legge né quello di motivazione i richiami alla normativa sovranazionale disciplinante le modalità di macellazione delle bestie.

La normativa europea rilevante in materia di macellazione rituale integra l'interpretazione dell'art. 544-bis c.p., contribuendo a definire il concetto di "necessità". In particolare, il Regolamento CE n. 1099/2009 impone che l'uccisione degli animali avvenga nel rispetto del loro benessere, all'interno di strutture autorizzate e conformi a standard tecnici e igienico-sanitari. L'abbattimento, salvo specifiche eccezioni, deve avvenire previo stordimento, con perdita di coscienza mantenuta fino alla morte dell'animale.

È prevista una deroga per i riti religiosi, ma solo a condizione che la macellazione sia effettuata in un impianto qualificabile come "macello". Nel caso di specie, invece, gli ovini erano stati abbattuti (o si stava per abbatterli) senza stordimento, in un ambiente privo di requisiti normativi – un'autorimessa – escludendo così la possibilità di invocare la deroga prevista.

La Corte, tuttavia, accoglie il ricorso limitatamente al profilo soggettivo della responsabilità del ricorrente.

Secondo i giudici di legittimità, la sola presenza fisica dell'imputato sul luogo del fatto non è sufficiente a fondare un suo concorso nel reato, in mancanza di elementi idonei a dimostrare un contributo causale, morale o materiale, consapevole e volontario.

Va, infatti, rilevato che, sulla base di granitica giurisprudenza di legittimità il criterio distintivo fra le due ipotesi - quella di partecipazione, sia pure atipica, alla condotta costituente reato e quella di

connivenza (non punibile) con gli autori di esso - non è ricavabile sulla base della mera presenza del soggetto di cui si tratta sul luogo ove il reato viene perpetrato, a meno che questa non sia accompagnata da atti idonei, quanto meno, a determinare un rafforzamento del proposito dell'autore materiale del reato ed ad agevolare la sua opera, sempre che il concorrente si sia rappresentato l'evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell'autore materiale (Corte di cassazione, Sezione II penale, 8 luglio 2013, n. 28855).

La Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio la sentenza impugnata, demandando al giudice del rinvio l'esame puntuale del motivo di impugnazione relativo all'apporto causale del ricorrente alla condotta delittuosa.