Rapporti tra le differenti formule di assoluzione ai fini della immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p.
Cass. pen., sez. VI, 8 agosto 2025, n. 29184
Massima: ai sensi dell'art. 129, comma 1, c.p.p., nel caso in ricorre una ipotesi di assoluzione, il giudice deve immediatamente dichiararla senza dover proseguire il giudizio al solo fine di emettere una sentenza con formula assolutoria più favorevole, salvo che la stessa non richieda una mera constatazione.
A cura di Dott. Marco Misiti
Con sentenza dell'8 agosto 2025, n. 29184, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata sui rapporti tra le diverse formule di assoluzione ai fini dell'obbligo in capo al giudice dell'immediata declaratoria di una causa di non punibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.[1]
Il caso sottoposto all'attenzione del giudice di legittimità atteneva a una sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di un'imputata a seguito dell'abrogazione, avvenuta con l'approvazione della legge del 9 agosto 2024, n. 114, del reato di abuso di ufficio[2] di cui al precedente art. 323 c.p. Il giudice di appello aveva pertanto emesso una sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Avverso tale sentenza ricorreva la difesa dell'imputata innanzitutto evidenziando di avere un interesse a impugnare[3]. Invero, l'impugnazione aveva come fine quello di ottenere una formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» di cui potersi avvalere nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 653 c.p.p. Inoltre, la ricorrente deduceva plurimi elementi che avrebbero comprovato l'insussistenza del reato.
Secondo la difesa, la sentenza impugnata sarebbe viziata poiché la Corte di appello si sarebbe limitata a prendere atto dell'abrogazione del reato di abuso di ufficio e, pertanto, che il fatto non era più previsto dalla legge come reato, senza invece motivare circa la sussistenza del fatto. Tuttavia, la Sesta Sezione penale, qualificato come ammissibile il ricorso, lo ha ritenuto infondato.
Decidendo sulla questione sottoposta alla sua attenzione, la Suprema Corte ha individuato il perimetro della differenza esistente tra i due commi di cui all'art. 129 c.p.p.: il secondo, che regola i rapporti tra cause di estinzione del reato e le altre cause di proscioglimento del reato, impone di dare prevalenza a quest'ultima solo in caso di evidenza dell'innocenza; il primo, che norma le ipotesi di concorso di più cause di proscioglimento, si limita esclusivamente a specificare l'obbligo di immediata dichiarazione.
Pur in assenza di ulteriori esplicitazioni, la Sesta Sezione penale ha ritenuto implicita nel sistema la regola che pone il divieto di proseguire il giudizio al solo fine di pervenire a una formula assolutoria più favorevole qualora ne risulti integrata una ulteriore, seppur recante minori benefici. Richiamando precedenti risalenti sul punto, nel caso in esame la Suprema Corte ha precisato che, qualora il fatto non risulti più previsto dalla legge come reato, il giudice non è tenuto ad un preventivo accertamento per verificare l'insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso all'imputato, fattasi eccezione per la ipotesi in cui tali ipotesi non richiedano una mera constatazione.
Alla luce di tale
principio, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso per cassazione,
condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
[1] Per una disamina approfondita dell'art. 129 c.p.p. si rinvia a G. P. Voena, Capitolo II. Atti, pp. 198 ss., in Compendio di procedura penale, (a cura di) M. Bargis e M. Ceresa-Gastaldo, 2023, Milano.
[2] Si rinvia per commenti sul punto a G. L. Gatta, Abuso d'ufficio e traffico di influenze dopo la l. n. 114/2024: il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, in Sistema penale, n. 7-8/2024.
[3] Sul punto si veda M. Bargis, Capitolo IX. Impugnazioni, 848 ss., in Compendio, cit.
