Il limite tra regolamentazione e soppressione dell’uso della cosa comune: la Cassazione sul divieto di parcheggio in condominio
Cass. civ., sez. II, 15 settembre 2025, n. 25227
Massima: In tema di condominio, la facoltà di parcheggiare in un'area comune non integra un diritto autonomo del singolo, ma costituisce una modalità d'uso del bene comune, soggetta alla disciplina dell'assemblea. Quest'ultima può legittimamente vietare la sosta, purché non sopprima il godimento del bene e persegua un uso ordinato e paritario (artt. 1102, 1108 e 1135 c.c.). Solo un titolo unanime può attribuire un diritto reale esclusivo di parcheggio
A cura di Dott.ssa Linda Vallardi
La decisione ha ad oggetto la legittimità di una delibera assembleare con la quale un condominio aveva vietato ai condomini di parcheggiare i propri veicoli in un'area comune, destinata al solo transito verso i garage.
Un condomino impugnava tale delibera, sostenendo di essere titolare di un vero e proprio diritto di parcheggio su quella porzione di suolo condominiale. Tale diritto, a suo dire, trovava fondamento in diversi titoli: nel proprio atto di acquisto, in un precedente rogito, nel regolamento condominiale e in una scrittura privata stipulata con altri comproprietari.
La ricorrente lamentava che il divieto imposto dall'assemblea avesse illegittimamente compresso il suo diritto di godimento della cosa comune, in violazione dell'art. 1102 c.c., che consente a ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso.
La controversia sollevava due questioni centrali, di grande rilievo pratico nella gestione condominiale:
La
Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, conferma la correttezza della
decisione della Corte d'Appello, che aveva escluso la sussistenza di un diritto
di parcheggio autonomo in capo alla ricorrente.
Il nucleo della pronuncia si concentra sulla presunta violazione dell'art. 1102
c.c.
La Suprema Corte sottolinea che la delibera assembleare impugnata non
introduceva un "divieto assoluto di utilizzo" dell'area comune, ma ne
disciplinava le modalità d'uso. L'area, infatti, restava fruibile da tutti per
il transito dei veicoli, modalità ritenuta dall'assemblea più coerente con
l'interesse collettivo e con la destinazione del bene.
La Corte coglie l'occasione per ribadire un principio ormai consolidato, cioè che il parcheggio in area condominiale non è un diritto autonomo, ma una semplice forma di uso della cosa comune, soggetta alle decisioni assembleari. L'assemblea può quindi vietare la sosta se ciò assicura un utilizzo ordinato e paritario del bene, senza escluderne del tutto il godimento.
Perché possa configurarsi un vero e proprio diritto di parcheggio esclusivo e intangibile, esso deve essere costituito in forma di servitù reale, con titolo idoneo e consenso unanime di tutti i condomini (art. 1108, comma 3, c.c.).
Non è quindi sufficiente una delibera approvata a maggioranza né un atto unilaterale o di tolleranza.
La
Cassazione conferma che l'assemblea condominiale può legittimamente imporre un divieto
di parcheggio generalizzato negli spazi comuni, purché tale decisione
non equivalga a un'esclusione totale dall'uso del bene e risponda a finalità di
gestione ordinata e razionale.
Il principio di fondo è chiaro: regolare non significa sopprimere,
e la regolamentazione dell'uso comune, se ispirata all'interesse collettivo,
costituisce espressione fisiologica dell'autonomia condominiale.
