Conversazioni Whatsapp: senza autorizzazione del giudice, gli screenshot non valgono come prova

18.04.2025

Cass. Pen., Sez. VI, 13 gennaio 2025,n. 1269

A cura di Dott. Marco Miglietta

Non vale il consenso dell'indagato - per evitare abusi - a ritenere legittima l'acquisizione di chat dallo smartphone in uso al medesimo, stante la necessità inderogabile di un previo provvedimento dell'autorità giudiziaria. Gli screenshot non potevano essere fatti e non si configura una prova atipica: in un sistema ispirato al principio di legalità, non è permesso alla polizia di aggirare espresse previsioni di legge per compiere atti atipici con l'obiettivo di raggiungere lo stesso risultato di quelli tipici.

Il caso. La Corte d'Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, riducendo la pena inflitta ad un imputato a un anno e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 1.800 euro, per il reato previsto dagli articoli 81 c.p. e 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti. Avverso tale provvedimento, l'imputato presentava ricorso in Cassazione chiedendo l'annullamento della decisione per l'inutilizzabilità delle chat estrapolate.

L'analisi della Cassazione. Con il provvedimento in esame, la Cassazione ha ritenuto la questione relativa all'inutilizzabilità delle chat estrapolate dal telefono dell'imputato senza un provvedimento di sequestro giuridicamente fondata. Tuttavia, hanno precisato gli Ermellini, l'argomentazione difensiva non ha dimostrato l'incidenza decisiva di tale elemento probatorio ai fini dell'accertamento della responsabilità penale, in base al principio della "prova di resistenza". Secondo questo criterio, infatti, l'eliminazione della prova illegittima deve essere valutata nel contesto del quadro probatorio complessivo: se gli elementi residui restano sufficienti per sostenere la condanna, l'eccezione di inutilizzabilità perde di rilevanza.

Nella fattispecie in esame, ha sottolineato la Suprema Corte, la sentenza di primo grado aveva già evidenziato che, anche escludendo le chat estrapolate in violazione dei diritti di difesa, la destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio risultava comunque provata attraverso altre evidenze legittimamente acquisite. Tra queste, la mancata dimostrazione dello stato di consumatore da parte dell'imputato, l'assenza di giustificazione per il possesso della droga e altri elementi fattuali (modalità di custodia della sostanza, quantità posseduta, disponibilità economiche incongruenti con i redditi dichiarati). Inoltre, la perquisizione e il sequestro della sostanza stupefacente sono stati ritenuti pienamente legittimi, privando di fondamento l'ulteriore censura difensiva.

Inoltre, con riferimento alla questione dell'inutilizzabilità delle chat, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170 del 2023, ha chiarito che le comunicazioni archiviate su dispositivi elettronici rientrano nella tutela dell'art. 15 Cost., che garantisce la segretezza della corrispondenza. Di conseguenza, la loro acquisizione deve avvenire nel rispetto delle garanzie previste dall'art. 254 c.p.p., con un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Nel caso specifico, la polizia giudiziaria aveva estratto le chat mediante screenshot, senza un previo sequestro autorizzato, rendendo tali prove inutilizzabili. Tuttavia, tale circostanza non ha influito sull'esito del giudizio, poiché gli altri elementi probatori sono stati ritenuti sufficienti a confermare la condanna.

La decisione. Sebbene l'acquisizione delle chat sia stata ritenuta illegittima e quindi inutilizzabile, la condanna dell'imputato è stata confermata in base ad altre prove decisive e pienamente legittime. La Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso con condanna alle spese processuali, evidenziando la necessità per la difesa di articolare in modo più rigoroso le proprie censure per superare il test della "prova di resistenza".