Il collocamento paritetico dei figli

24.11.2025

A cura di Avv. Martina Carosi

L'affidamento e il collocamento paritetico rappresentano oggi strumenti centrali del diritto di famiglia, finalizzati a garantire il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, anche in situazioni di separazione o divorzio.

Tutto, naturalmente, parte dal c.d. "principio di bigenitorialità" ad oggi caposaldo del diritto di famiglia, ma la cui applicabilità è sempre complessa e fonte di perplessità, soprattutto nei casi più delicati.

Il suo obiettivo non è solo riconoscere ad entrambi i genitori il ruolo decisionale sulla crescita dei figli, ma garantire che i minori possano continuare a coltivare un legame significativo e bilanciato con ciascun genitore anche dopo la separazione o il divorzio.

Esso non si limita all'assunzione di responsabilità formali, ma richiede una concreta partecipazione alla vita quotidiana dei figli, condividendo tempi, spazi e momenti affettivi. Da qui deriva l'attenzione crescente verso soluzioni alternative in grado di distribuire equamente il tempo di presenza del minore, evitando che uno dei genitori venga marginalizzato. In questo quadro, il collocamento paritetico e l'affidamento condiviso emergono come strumenti fondamentali nel diritto di famiglia contemporaneo.

Si ritiene necessario, a tal proposito, precisare quanto segue.

Affidamento e collocamento sono due concetti distinti nel diritto di famiglia, sebbene spesso vengano confusi. Se l'affidamento, infatti, riguarda la titolarità delle decisioni fondamentali sulla vita del minore, quali salute, istruzione, ecc., il collocamento disciplina la residenza abituale del minore e la distribuzione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore, incidendo in maniera più diretta sulla quotidianità del bambino.

Il primo, nella maggior parte dei casi, anche dopo la separazione, esso resta condiviso tra entrambi i genitori, salvo casi molto gravi in cui viene disposto l'affidamento esclusivo.

Nonostante questa distinzione, nella prassi, nei media e talvolta nella giurisprudenza, i due termini vengono spesso usati come sinonimi, soprattutto quando si fa riferimento a soluzioni "paritarie" o "paritetiche", intendendo, in realtà, la gestione concreta dei tempi di vita del figlio.

La norma centrale sull'affidamento e il collocamento dei figli è l'art. 337-ter c.c., che regola i rapporti tra genitori e minori dopo la separazione. Essa riconosce al figlio il diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e a ricevere cura, educazione e assistenza morale da ciascuno. Pur privilegiando l'affidamento condiviso, la legge consente al giudice di stabilire la collocazione del minore e di definire tempi, modalità di permanenza e contributo dei genitori al suo mantenimento e alla sua educazione. Le scelte giudiziarie, pertanto, devono sempre basarsi su una valutazione concreta, volta a garantire il benessere del figlio e il suo diritto a un rapporto significativo con entrambi i genitori.

Il collocamento paritario, che prevede una ripartizione equilibrata dei tempi tra madre e padre, è sempre più richiesto dai genitori desiderosi di mantenere un ruolo pieno nella vita dei figli.

Tuttavia, non esiste una norma che lo imponga automaticamente: la sua applicazione dipende da una valutazione caso per caso, centrata sull'interesse del minore. I giudici considerano fattori come distanza tra le abitazioni, disponibilità dei genitori, abitudini del bambino, presenza di fratelli, cooperazione tra i genitori, età e capacità di adattamento del figlio. In alcune situazioni, anche per bambini molto piccoli, il regime paritario è stato ritenuto possibile, soprattutto quando i genitori vivono vicini e sono entrambi in grado di occuparsi direttamente del minore.

Nonostante il dibattito piuttosto acceso sull'età del minore, con l'ordinanza n. 1486/2025, la Corte di Cassazione ha confermato la possibilità di adottare un modello paritetico anche in età prescolare, segnando un punto di riferimento importante.

Per anni, infatti, la giurisprudenza italiana ha privilegiato la cosiddetta "maternal preference", limitando spesso la presenza dei padri nella vita dei figli piccoli. Questo ha generato una genitorialità squilibrata, con diritti di visita ridotti e senza pernottamenti. La predetta sentenza segna una svolta, riconoscendo il diritto alla bigenitorialità effettiva anche per i padri, fondamento essenziale per la crescita equilibrata dei minori.

Ma in caso di collocamento paritetico, cosa accade all'assegno di mantenimento? Se i figli trascorrono lo stesso tempo con entrambi i genitori, l'assegno di mantenimento non è automatico. Quando il collocamento è paritetico e i redditi sono simili, ciascun genitore può farsi carico delle spese ordinarie durante la propria permanenza, suddividendo quelle straordinarie proporzionalmente. Se invece le capacità economiche sono diverse, l'assegno può servire a garantire ai figli un livello di vita uniforme, mantenendo stabilità e continuità. La regola fondamentale resta sempre l'interesse del minore.

Il collocamento paritario, soprattutto quando redditi e impegno genitoriale sono equilibrati, ridefinisce il mantenimento come partecipazione concreta e quotidiana anziché obbligo unilaterale.

Questo modello, sempre più presente nelle decisioni dei tribunali e confermato dalla giurisprudenza di legittimità, valorizza la cooperazione tra genitori, favorendo un ambiente equilibrato in cui i figli crescono con entrambi presenti e riconosciuti nel loro ruolo.