Concorrenza sleale e tutela del marchio sul web: quando si configura un illecito di “cybersquatting”?
Per turbativa del marchio si intende quell'insieme di condotte volte a
ledere più o meno direttamente i diritti di uso esclusivo attribuiti al
titolare di un determinato marchio.
Non esiste una normativa che tuteli direttamente il
nome dominio, tuttavia esistono dei regolamenti nazionali e sovranazionali.
In alcuni
casi le condotte poste in essere realizzano fattispecie di illecito regolate
dal diritto speciale D.Lgs. 30/2005 s.m.i., Codice della Proprietà Industriale
("C.p.i."), dal Codice civile e, nei casi più gravi, dal Codice penale.
L'individuazione di condotte lesive non è sempre agevole quando si realizzano in forma indiretta ed è ancora più difficoltosa quando il fatto avviene nell'immaterialità del web, stante l'atipicità dei fatti illeciti che connota il campo del diritto civile.
La giurisprudenza si è recentemente concentrata sulle
condotte cd. di cybersquatting.
Il cybersquatting consiste
nella registrazione di nomi dominio in modo da "occupare" fraudolentemente il
territorio web potenzialmente libero e vicino al marchio base.
Si tratta della
registrazione di parole identiche o simili a marchi registrati, della aggiunta
al nome dominio contenente il marchio di altre parole di uso comune oppure della
registrazione di nomi dominio con marchi noti contenenti errori ortografici.
Questi comportamenti attribuiscono diversi vantaggi illeciti al registrante,
che vanno dal posizionamento del proprio sito alla possibilità di compiere veri
e propri atti di concorrenza sleale.
Il web è articolato per parole chiave, la
restituzione e posizionamento dei risultati è data proprio in base ad esse:
l'utilizzo di una parola chiave che è anche un marchio, consente al nome
dominio di posizionarsi ai primi posti in una ricerca sul web.
Registrare un
dominio ad es come "www.fendi-borse.it"
dà accesso a un posizionamento collocato almeno nella prima pagina insieme al
sito ufficiale del famoso marchio; se poi il registrante vende anche borse, è
evidente che si crea quel fenomeno di confusione che lede anche la capacità
distintiva del marchio.
Non solo viene violata la normativa di riferimento nel C.p.i. ma è necessario
prendere in considerazione anche la disciplina della concorrenza sleale
contenuta nel Codice civile, oltre ai reati di contraffazione puniti dal Codice
penale.
Il principio di unitarietà dei segni distintivi espresso dall'art 22
C.p.i. vieta l'adozione di un nome dominio con una parola uguale o simile a un
marchio, laddove possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico e
di influenza e interferenza sulle decisioni del consumatore.
Le sanzioni
previste dal C.p.i. sono drastiche e hanno un forte carattere anticipatorio: l'art.
118, comma 6 permette all'ufficio registrante di revocare e trasferire
all'avente diritto il nome dominio registrato in mala fede, compiendo una sorta
di espropriazione a favore di un altro privato, il titolare del marchio
antecedente; l'art. 133 C.p.i. prevede l'inibitoria dell'uso nell'attività
economica del nome dominio illegittimamente registrato e anche il suo
trasferimento in via cautelare al titolare del marchio antecedente.
Il risarcimento
del danno, secondo le previsioni del C.p.i., prevede la restituzione dei
profitti dall'autore della violazione ex art. 125, puntando ad azzerare
totalmente il vantaggio competitivo ottenuto, realizzando un enorme effetto
deterrente.
Quanto al Codice civile, il cybersquatting viene comunemente ricondotto da dottrina e giurisprudenza nelle condotte di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c. che tutela il titolare del marchio dal rischio di confusione, dallo sviamento della clientela e in generale da forme di parassitismo. Nei casi più gravi vengono in rilievo anche gli artt. 473, 474, 517-ter e 517-quater c.p. quando le attività di cybersquatting integrano fattispecie di reato, nello specifico in presenza di vera e propria contraffazione di marchi o di fabbricazione e commercio di beni realizzati in violazione dei titoli di proprietà industriale altrui.
Poco più di dieci anni fa l'acquisto dei nomi dominio era
completamente libera e non regolata: chiunque poteva acquistare un dominio se
questo era libero. Oggi, i gestori che vendono i domini sul web effettuano
sempre un controllo sul richiedente e sul nome dominio richiesto, possono
negare la registrazione e seguono una regolamentazione privata solitamente
uniforme a livello nazionale e anche internazionale[1].
In caso di diniego alla registrazione o di registrazioni ritenute abusive
solitamente si ricorre a strumenti di risoluzione alternativa delle dispute, in
particolare l'arbitrato.
Sul cybersquatting si è espresso il WIPO Arbitration and Mediation Center[2]
su richiesta delle aziende che si sono ritenute lese, in diversi casi relativi
a brand famosi della moda di lusso, e normalmente la decisione comporta il
trasferimento coatto del nome dominio fraudolento a favore del ricorrente. La
WIPO analizza tre requisiti: a) se il nome dominio contestato è identico o
simile in modo da ingenerare confusione a un marchio registrato di titolarità
del ricorrente, b) se il resistente non ha diritti o interessi legittimi[3]
in relazione al nome dominio contestato e c) se il nome dominio contestato è stato
registrato e viene utilizzato in malafede. Nei casi "Jacquemus", "Monclear",
"Hoffmann-La Roche"[4] et alt.,
la WIPO ha stabilito che è da ritenersi fatto notorio che il nome dominio che
aggiunge a un marchio noto una parola di uso comune comporta un effetto
confusorio rispetto al marchio. Quanto al legittimo interesse del resistente, è
quest'ultimo a dover provare l'esistenza di tale requisito, poiché la
registrazione del marchio pone una presunzione a favore del registrante per la
quale tutti gli usi sono vietati a meno che non siano espressamente consentiti:
dovrà produrre un contratto di licenza o specificare l'uso descrittivo del
marchio che si è fatto legittimamente. Infine, il requisito dell'uso in
malafede è integrato se il ricorrente dimostra l'uso precedente del marchio,
fornisce un principio di prova rispetto alla confusione ingenerata con il
proprio marchio, il sito sia volto a vendere prodotti uguali o simili facendo
intendere che siano prodotti dal ricorrente senza legittimamente provarne la sponsorizzazione
o la licenza d'uso e fornisca prova dell'invio di diffide a cessare il
comportamento a carico del resistente.
In un caso particolare la WIPO[5],
già nel 2017, ha ricondotto al cybersquatting un fatto illecito che ha
riguardato la famosa azienda svedese Ikea. Era stato registrato un nome dominio
con caratteri con codifica "punycode"[6]
anziché l'usuale codifica ASCII.
Visivamente all'utente appariva questo: ıĸea.com. Sostanzialmente le lettere "I" e "K" corrispondono alle lettere "i" e "k"
dell'alfabeto, ma tecnicamente la diversa codifica fa sì che non si possa dire
che sono la stessa cosa. L'Organo Arbitratore ha stabilito che la codifica
punycode deve essere stata utilizzata in malafede proprio per indurre il
consumatore a credere che si trattasse del famoso marchio. Il fatto che il sito
non vendesse prodotti in concorrenza non è stato rilevante ai fini della
decisione, poiché il sito del resistente induceva a compilare un form con i
propri dati al fine di ricevere un voucher sconto della azienda svedese, dati
che molto probabilmente sono stati utilizzati a fini di attività di phishing.
Questo è bastato per decidere il trasferimento del nome dominio a favore del
ricorrente.
Il riconoscimento
della condotta lesiva di cybersquatting consente al titolare del marchio non
solo di ottenere la proprietà del dominio fraudolento ma gli consente più che
altro di attivare le tutele fornite dalla normativa nazionale richiamata in
incipit e di richiedere in un giudizio ordinario il pagamento dei danni subiti
o, se integrati, è possibile sporgere formale denuncia per ottenere giustizia
anche in sede penale.
Dott.ssa Camilla Ragazzi
[1] Ad es. le policy ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), le regole stabilite dall'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), denominate Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (UDRP) o il Regolamento di assegnazione e gestione dei nomi a dominio nel ccTLD.it
[2] https://www.wipo.int/amc/en/domains/decisionsx/index.html
[3] L'interesse legittimo è relativo all'interesse commerciale o è l'interesse relativo all'immagine aziendale, la cui violazione comporterebbe un grave danno per un soggetto imprenditoriale.
[4] Jacquemus SAS v. wenben zhou Case No. D2020-2073, Moncler S.p.A. v. Trani Johanna, newbeta
Case No. D2017-0547, Hoffmann-La Roche, Inc. v. Wei-Chun Hsia, WIPO Case No. D2008-0923
[5] Inter Ikea Systems B.V. v. Domain Admin, Whois Privacy Corp.Case No. D2017-2211
[6] Punycode è un sistema di codifica definito nella RFC 3492 che serve a rappresentare univocamente una sequenza di caratteri unicode tramite una sequenza di caratteri ASCII, per rendere possibile l'uso di tali sequenze nei nomi di dominio, senza dover modificare infrastrutture e standard esistenti.