Consenso dell’avente diritto e reati colposi: un dubbio rimasto irrisolto

15.11.2023

Il consenso dell'avente diritto configura una delle ipotesi paradigmatiche di causa di giustificazione, la cui sussistenza esclude l'antigiuridicità del fatto[1]. Sebbene l'art. 50 c.p. non sia mai stato oggetto di riforma normativa, tale disposizione ha avuto nel passato una portata applicativa più ampia rispetto a quella attuale, cambiamento dovuto per lo più agli ultimi arresti giurisprudenziali in tema di attività chirurgica e sportiva[2].

Da sempre granitica è stata la giurisprudenza[3] nel negare la possibilità di applicare il consenso dell'avente diritto ai reati colposi, in ragione di un'asserita incompatibilità[4] tra la specificità e attualità del consenso rispetto all'evento, quale elemento strutturale dell'art. 50 c.p., e la non volontarietà della lesione del bene giuridico, che caratterizza invece i reati colposi.

Si contrappone a tale ricostruzione una tesi dottrinaria, sostenuta da taluni Autori ben cinquant'anni fa[5], secondo la quale tale inconciliabilità non sussisterebbe affatto, essendo possibile individuare dei margini di operatività, più o meno ampi, del consenso rispetto a queste tipologie di reati.

In particolare, tale impostazione afferma che andrebbe scisso il piano del consenso da quello della non volontarietà dell'evento[6]: l'art. 50 c.p. non richiede, infatti, che si abbia la certezza della verificazione di un evento di lesione. Infatti, è la stessa norma ad ammettere la possibilità che il consenso scrimini anche solo un pericolo, e non una effettiva lesione. In altri termini, sarebbe possibile acconsentire alla realizzazione di un'attività rischiosa da parte di terzi – e, perciò, una esposizione acconsentita al pericolo – da cui derivi un effettivo nocumento non voluto dal terzo.

La ritenuta compatibilità tra il consenso dell'avente diritto e la categoria dei reati colposi non andrebbe nemmeno a snaturare la ratio della causa di giustificazione. Infatti, anche in tali ipotesi di illeciti penali si andrebbe a verificare una rinuncia da parte del singolo alla tutela di un proprio diritto, con conseguente disinteresse da parte dell'ordinamento alla punizione di una sua lesione.

In altri termini, si andrebbe ad attribuire al consenso dell'avente diritto una nuova e ulteriore funzione: rappresentare il fondamento del principio di autoresponsabilità nel diritto penale[7]. Andrebbero perciò esenti da pena le conseguenze dovute a una volontaria esposizione del titolare del bene giuridico a un pericolo dovuto all'attività di terzi soggetti.

È sempre nell'ottica dell'autoresponsabilità che si potrebbe aggirare la condizione che, secondo l'ottica di molti Autori, comporterebbe margini ristretti di operatività del consenso dell'avente diritto nei reati colposi: la disponibilità del bene giuridico[8].

Andrebbe infatti distinto ciò che integra a tutti gli effetti una disposizione del diritto, che si verifica solamente nel caso in cui si acconsente alla sua lesione, dal diverso caso di una mera esposizione a un'attività pericolosa, che atto dispositivo non è[9].

La soluzione prospettata implica, però, che alla natura meramente probabilistica della verificazione dell'evento faccia da contraltare un potenziamento degli ulteriori requisiti dell'art. 50 c.p.

È noto che il consenso debba essere libero, informato e attuale, e il suo oggetto specifico e pieno. Nel caso in cui ci si riferisca ai reati colposi, sarà altresì necessario che: sussista un'approfondita conoscenza dei rischi connessi all'attività pericolosa; siano oggetto di consenso attività e comportamenti rischiosi specificamente e puntualmente individuati; la scelta del titolare del bene giuridico sia frutto di un'adeguata ponderazione, dovendo sussistere una effettiva e piena volontà.

Per comprendere la teoria ora in esame, si può ricorrere a un esempio. Si pensi al caso di un soggetto alla guida di un'automobile sportiva che, incitato dal passeggero, effettui manovre spericolate, da cui derivi un incidente e una lesione al passeggero. Se si aderisse alla incompatibilità assoluta dell'art. 50 c.p. con i reati colposi, la condotta del guidatore dovrebbe essere considerata penalmente rilevante come lesioni colpose stradali. Se invece si ammettesse la capacità del consenso dell'avente diritto ad eliminare l'antigiuridicità delle condotte colpose, la lesione del passeggero potrebbe essere considerata scriminata.

Quanto finora esposto non è una mera dissertazione poiché, abbracciando tale tesi, il consenso dell'avente diritto potrebbe trovare nella società moderna nuovi ambiti di applicazione. Si pensi al settore delle nuove tecnologie, oppure a prodotti farmaceutici in via di sperimentazione, o anche a settori già regolamentati, in cui sia la stessa persona nel cui interesse siano fissate le regole ad acconsentire al superamento del rischio accettabile individuato dal legislatore.

Ci si chiede, a questo punto, se sarà proprio il rapido evolversi della società moderna a imporre un ripensamento sulle posizioni sulla compatibilità dell'art. 50 c.p. ai reati colposi.

Dott. Marco Misiti

[1] Per un'analisi approfondita di tale istituto si rinvia a E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, Bologna, 2020, 289 ss.; D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2023, 192 ss.; C. F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale di diritto penale, Milano, 2023, 318 ss.; C. Pedrazzi, Consenso dell'avente diritto, voce in Enciclopedia del diritto, Volume IX, 1961, 140 ss.

[2] Per quanto concerne l'attività sportiva si veda da ultimo Cass. pen., Sez. IV, 19/05/2023, n. 21425. Per quanto concerne l'attività medico-chirurgica, si veda Cass. pen., Sez. U, n. 2437 del 21/01/2009. In particolare, la giurisprudenza sostiene che, in questi casi, difetterebbe la tipicità delle singole fattispecie di reato.

[3] Si vedano sul punto le sentenze della cassazione nn. 4743 del 1977 e 671 del 1979. Di contrario avviso una precedente sentenza della Corte di cassazione, Sez. II del 10 gennaio 1959.

[4] In alcuni casi si è altresì affermato che l'incompatibilità sussisterebbe tra la manifestazione di volontà che sorregge il consenso e la volontà dell'agente diretta a ledere o a porre in pericolo un bene disponibile. Tale affermazione sembra rievocare una visione del consenso quale accordo, secondo una impostazione ormai desueta in dottrina.

[5] Ex multis, si veda B. Licitra, Orientamenti giurisprudenziali in tema di consenso dell'avente diritto, in Cass. pen., 1985, 513 ss., ma anche C. Pedrazzi, Consenso, cit., 148, F. Bricola, Aspetti problematici del c.d. rischio consentito nei reati colposi, in F. Bricola, Scritti di diritto penale, Vol. I, a cura di Canestrari - Melchionda, Milano, 1997, il quale Autore si riferisce al consenso dell'avente diritto come "rischio consentito". Nello stesso senso si sono espressi più di recente D. Pulitanò, Diritto, cit., 201 ss.; C. F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale, cit., 324 s.

[6] In termini pressoché analoghi si esprime anche S. T. Cagli, Principio di autodeterminazione e consenso dell'avente diritto, Bologna, 2008, 208 ss., la quale Autrice espone le varie teorie in tema di einverständliche Fremdgefährdung, ossia «consenso ad una situazione di pericolo posta in essere da un terzo», per poi condividere quella secondo la quale il soggetto non solo deve assentire alla condotta pericolosa ma altresì accettare il rischio di verificazione dell'evento.

[7] Si veda sul punto M. Helfer, Paternalismo e diritto penale. Riflessioni sull'autoresponsabilità quale possibile criterio di limitazione della responsabilità penale, in La legislazione penale, 9 dicembre 2020. L'Autrice, in particolare, distingue tra esposizione al danno ed esposizione al pericolo, ed effettua un confronto tra la situazione dottrinaria presente in Germania, Austria e Italia. Critico rispetto a questa ricostruzione S. Pugliatti, Autoresponsabilità, voce in Enciclopedia del diritto, Volume IV, 1959, 459 s., il quale, per un verso, esclude che si possa ricollegare al concetto di autoresponsabilità il consenso dell'offeso; per altro verso, collega quest'ultimo ai diritti disponibili. Per un'analisi delle prospettive di un'autoresponsabilità della vittima del reato si rinvia altresì a O. Di Giovine, L'autoresponsabilità della vittima come limite alla responsabilità penale?, in La legislazione penale, 13 maggio 2019

[8] Per un'analisi circa la disponibilità/indisponibilità di diritti si veda anche F. Negro, I diritti indisponibili nel sistema dell'ordinamento giuridico, in Il Foro Italiano, 79/1956, Parte IV, 209 ss., con alcuni riferimenti anche alla causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto.

[9] Si veda sul punto A. Preve, Autoresponsabilità e diritto penale: la condotta della vittima come limite alla responsabilità penale, Roma, 2023, 10, il quale afferma che «non sussisterebbe tale limite quando il titolare del bene giuridico acconsenta alla sola messa in pericolo del bene giuridico, anche se indisponibile». Si rinvia altresì a Cagli S., Condotta della vittima e analisi del reato, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 3/2000, 1148 ss., la quale Autrice, in relazione a una lettura "moderna" dell'art. 50 c.p., affermava che i «nodi» più importanti da sciogliere attengano ad un ripensamento della disponibilità del diritto e all'oggetto del consenso.