Il contratto d’opera intellettuale

21.11.2022

1. Cosa si intende per contratto d'opera intellettuale?

Il contratto d'opera intellettuale è un vero e proprio contratto che vincola il professionista abilitato all'esercizio della professione forense, ossia l'avvocato e il cliente che decide di rivolgersi al primo per ottenere assistenza giuridica.

È un contratto a prestazioni corrispettive in quanto l'avvocato si impegna ad offrire per l'appunto l'opportuna e richiesta prestazione intellettuale, mentre il cliente è tenuto a versare un corrispettivo, spesso inteso in termini monetari, nei confronti del professionista a cui si rivolge.

L'obbligazione assunta da un avvocato nei confronti del suo cliente ha natura di obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna ad espletare la sua attività, volta a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie a consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito, ma non si impegna con la propria opera professionale al conseguimento del risultato sperato.

L'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio. Invece, nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave.

La diligenza richiesta nell'esecuzione non è sempre uguale, quindi il criterio deve essere interpretato in funzione della tipologia di attività che l'esecutore sta svolgendo.

Nel caso di attività professionali che implicano la "soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà" si richiede una diligenza maggiore rispetto a quella dell'uomo medio.

Per via della complessità ed il maggior rischio di errore che le caratterizzano, a tutela di chi le esegue, si giustifica una forma di responsabilità attenuata. L'art. 2236 c.c. prevede, infatti, che l'esecutore "risponde dei danni solo in caso di dolo e colpa grave".

2. Sul mancato rispetto dei termini processuali

"Sebbene l'obbligazione contratta dall'avvocato nell'esercizio della propria attività sia un'obbligazione di mezzi e non di risultato, l'accertamento di un'eventuale prescrizione è da considerare dall'esercente la professione legale adempimento rutinario, preliminare già all'iniziale sommaria disamina degli elementi essenziali della questione affidatagli.

Ne consegue che la mancata percezione di una situazione di prescrizione costituisce un'ipotesi di ignoranza di istituti elementari ovvero di incuria o di imperizia, suscettibile di configurare la responsabilità del professionista per inadempimento dell'obbligazione assunta. (Cass. 1997, n. 7618).

Nei casi aventi ad oggetto la prescrizione non rilevata dal professionista o non adeguatamente trattata con il cliente, la Cassazione ha ritenuto che "il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all'attività richiesta al professionista medesimo" cfr. Cass. 2004, 14597)"[1].

Fattispecie tipica, dunque, è quella rappresentata dall'omesso compimento di atti processuali o notifiche in termini utili; in questo caso la colpa professionale è infatti in re ipsa perché è costituita dal solo fatto di aver lasciato decorrere inutilmente i termini. Nell'ambito di alcuni casi pratici, è stato considerato responsabile l'avvocato che, ad esempio, abbia lasciato trascorrere i termini entro i quali doveva compiere gli atti per i quali aveva ricevuto mandato. Pertanto, qualora il professionista abbia, inutilmente, fatto decorrere il termine -perentorio- per la rinnovazione dell'atto di citazione e qualora egli non abbia offerto prova alcuna che suddetto ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, egli è professionalmente responsabile[2].

3. Sugli obblighi di informazione del professionista

"Per quanto riguarda l'adempimento degli obblighi informativi gravanti sul professionista, la giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato che l'evidenziata natura della obbligazione assunta dal professionista come obbligazione di mezzi, (ipotizzabili in virtù di quella preparazione tecnica e di quell'esperienza medie caratterizzanti l'attività professionale alla luce degli evidenziati parametri normativi) per i quali, nonostante il regolare svolgimento di tale attività, gli effetti a questa conseguenti possano essere inferiori a quelli previsti, oppure in concreto nulli o persino sfavorevoli, determinando in tal modo un pregiudizio rispetto alla situazione antecedente.

Il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all'attività richiesta al professionista medesimo".

"Il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all'attività richiesta al professionista medesimo"[3].

4. La ripartizione dell'onere probatorio in caso di responsabilità del professionista

"La responsabilità dell'avvocato si configura nei casi di colpa, commisurata alla natura della prestazione: il legale è dunque responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Quanto all'onere probatorio, esso va ripartito in questi termini: il cliente che sostiene di aver subito un danno a causa della condotta dell'avvocato deve provare: 1) l'avvenuto conferimento del mandato; 2) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; 3) l'esistenza del danno; 4) il nesso di causalità tra questa ed il danno subito. Il professionista, invece, può liberarsi dalla responsabilità se dimostri l'impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 c.c.), o di aver agito con diligenza".[4]

5. Sulla prescrizione dell'azione per agire nei confronti del professionista inadempiente

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per inadempimento al mandato difensivo in ambito giudiziario, secondo l'orientamento più recente della Corte di Cassazione, "il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l'evento dannoso, bensì da quello nel quale essa è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla formazione del giudicato; al contrario, tale decorrenza non è prospettabile nel diverso caso di inadempimento del mandato professionale in ambito stragiudiziale".[5]

Il rapporto tra cliente ed avvocato è di tipo contrattuale e il termine di prescrizione del diritto del cliente a chiedere il risarcimento dei danni è di dieci anni.

6. Cosa posso chiedere con l'azione di inadempimento?

Il danneggiato deve dimostrare di aver patito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale. Con riferimento al primo, una forma di danno che viene in rilievo è il danno da perdita di chance, inteso come la perdita dell'occasione favorevole, difficilmente dimostrabile dal cliente anche in virtù del fatto che la responsabilità dell'avvocato viene valutata su criteri probabilistici.

Dott.ssa Federica Bontempi


[1] Tribunale Roma, Sez. XIII, Sent., 21/03/2018, n. 6026.

[2] "Va, infatti, rammentato che dalla lettura dell'art. 1176 c.c., secondo comma, si evince come nell'adempimento delle obbligazioni inerenti l'esercizio dell'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

Conseguentemente la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività" (Tribunale Ancona, Sez. II, Sent., 12/02/2021, n. 210)Inizio moduloFine modulo

[3]Corte appello Milano sez. II, 24/11/2021, n. 3438. si legge anche nella sentenza in esame che: "La Suprema Corte ha poi avuto modo di affermare che anche oggi, la norma deontologica non si spinge ad enunciare un obbligo dell'avvocato che accetta il mandato alle liti di formulare un pronostico sull'esito della lite, se non richiesto, bensì un onere di valutare l'interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite e di prospettare la prevedibile durata del processo e gli oneri di spesa ipotizzabili, informando il cliente dello svolgimento del mandato a lui affidato (v. Cass. n. 30169/2018)".

Vedi anche G. CIAN e A. TRABUCCHI, commentario breve al codice civile, Cedam, Milano, 2020, pg. 2236: "Del resto, la giurisprudenza di legittimità nel sottolineare il dovere dell'avvocato di informare il cliente in merito ai rischi del processo fa riferimento a casi in cui la causa promossa è chiaramente avventata o in cui il professionista omette di informare il cliente di elementi ostativi all'accoglimento della domanda, quali la decadenza dall'azione o la prescrizione del diritto)".

La Suprema Corte "ha statuito che la responsabilità dell'avvocato per omessa proposizione di un'impugnazione non può affermarsi per il solo fatto di un suo non corretto inadempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente (se danno effettivamente v i è stato) sia riconducibile alla condotta del legale, commissiva o omissiva, ed il risultato derivatone

[4] Tribunale Milano sez. I, 30/09/2021, n.7899.

[5] Cass. Civ. Sez. 3 Ord. n. 24270/2020.