Può un'obbligazione naturale concretizzarsi anche cessata la convivenza?

30.05.2025

Cass. civ., Sez. I, del 2 gennaio 2025, n. 28 

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A cura di Dott. Gennaro Ferraioli

Massima: Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell'art. 2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, come adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti pure gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l'affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia.

La Suprema Corte, nella pronuncia oggetto di esame, si occupa di precisare le caratteristiche fondamentali dell'istituto della convivenza di fatto, delineandone le analogie con le famiglie formatesi nel matrimonio e specificando quali doveri di natura morale e sociale nascano al loro interno.

In particolare, la Corte sottolinea un elemento di novità nel panorama giurisprudenziale, dato dalla questione di diritto circa la permanenza dei suddetti doveri anche a seguito della cessazione della convivenza.

Nel caso di specie, la convivente more uxorio aveva provveduto a supportare economicamente il precedente compagno, il quale versava in stato di indigenza. Tale forma di assistenza si era protratta fino a quando la stessa era stata in grado, provvedendo, per il periodo successivo, il figlio della coppia.

Per l'assistenza economica prestata, proprio il figlio adiva l'Autorità giudiziaria al fine di ottenere la condanna del fratello consanguineo al rimborso della metà delle spese, comprensive di quelle sostenute dalla madre a seguito della cessazione del periodo di convivenza.

Pronunciatasi sulla richiesta, la Corte osserva come essa ruoti intorno a due questioni, la prima delle quali costituisce il necessario antecedente logico della seconda.

In primo luogo, il Collegio afferma che i doveri di natura morale o sociale caratterizzano non solo le famiglie fondate sul matrimonio, costituzionalmente contemplate in seno all'art. 29 Cost., ma si estendono anche alle unioni di fatto, "quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 Cost."

Nello specifico, la stessa Corte afferma come siano "caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicché le attribuzioni finanziarie a favore del convivente more uxorio, effettuate nel corso del rapporto per far fronte alle esigenze della famiglia configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c."

La convivenza di fatto, dunque, risulta fattispecie pienamente affermata all'interno non solo della realtà sociale, ma anche, a seguito della legge n. 76/2016, dell'ordinamento giuridico.

L'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, unito all'impulso fornito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (vedasi la sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia), hanno portato il legislatore a valorizzare le nuove esigenze sociali attraverso la positivizzazione degli istituti dell'unione civile e della, per l'appunto, convivenza di fatto.

Quest'ultima trova copertura di rango costituzionale in seno all'art. 2, per cui la convivenza implica un "legame affettivo di coppia" funzionale allo sviluppo della personalità; l'importanza e la centralità di tale unione è anche testimoniata dalle plurime disposizioni di legge che, nel tempo, sono intervenute per la disciplina di ulteriori e specifici aspetti.

Conclusa la disamina di tale necessario antecedente logico, il Supremo Collegio giunge alla conclusione che il dovere morale e sociale di assistenza materiale è ammissibile verso il convivente more uxorio anche in un periodo successivo alla conclusione del rapporto.

Attraverso una valutazione condotta secondo i parametri propri della società corrente, la concezione pluralistica della famiglia consente che un legame di affetto tra persone non più conviventi si protragga nel tempo. Tale sentimento giustifica l'adempimento di un obbligo morale, pure nella consapevolezza dell'assenza di un qualsiasi vincolo giuridico.

È, in ogni caso, pacifico che l'adempimento dell'obbligazione per spinte solidaristiche di affectio avvenga alla ricorrenza degli altri requisiti ex art. 2034 c.c.; trattasi dei caratteri della spontaneità, della adeguatezza e della proporzionalità, per la cui valutazione si deve far riferimento alle circostanze fattuali, all'entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens.

In conclusione, viene affermato come il rapporto che lega il solvens a una persona che ha avuto sicuramente un ruolo importante nella sua vita risulta pienamente corrispondente al nuovo contesto valoriale, "poiché è espressione di un vincolo solidaristico derivante dalla pregressa unione di fatto, 'formazione sociale' tutelata dall'art. 2 Cost., e ciò in conformità anche 'alla valutazione corrente nella società', stante l'affermarsi, in misura progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia".