Per la Cassazione è legittimo l’obbligo al familiare del detenuto al 41 bis di coprire i tatuaggi nel corso dei colloqui

11.01.2025

Cass. pen., Sez. I, 5 novembre 2024, n. 40592

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La sentenza in commento è interessante nella misura in cui la Cassazione ha affermato che non costituisce un pregiudizio alle prerogative irrinunciabili del detenuto sottoposto al regime detentivo di cui all'art. 41bis ord. pen., nel rispetto dell'art. 27, comma 3, Cost., la previsione di limitazioni alle modalità di svolgimento dei colloqui periodici con i familiari, consistenti nell'obbligo di copertura delle parti tatuate del corpo degli stessi congiunti.

Nel caso di specie tale modalità esecutiva dei colloqui veniva prescritta con la circolare datata 4 settembre 2019 dalla Direzione Generale dei Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, la cui adozione era conseguenza delle relazioni trasmesse dalle direzioni delle strutture penitenziarie richiamate, che evidenziavano come, sempre più frequentemente, nel corso dei colloqui periodici, venivano "mostrati dai familiari tatuaggi realizzati su varie parti del corpo". Come espressamente indicato nella nota del 4 settembre 2019, tali "immagini o scritte possono costituire un tentativo di aggirare le limitazioni imposte dal regime speciale e veicolare comunicazioni illecite tra i detenuti 41 bis ed i familiari".

Pertanto, è stata rigettata la tesi difensiva secondo cui tali prescrizioni erano connotate da irragionevolezza, alla luce della brevità degli incontri, che imponeva di escludere pericoli per la sicurezza dall'esibizione di parti tatuate del proprio corpo.

Tali limitazioni, si legge nella motivazione della sentenza, sono infatti giustificate dall'esigenza di controllare l'elevata pericolosità sociale di tali soggetti e di impedire la diffusione di messaggi criptici all'interno o all'esterno della struttura penitenziaria, proprio alla luce della peculiare condizione restrittiva dei detenuti sottoposti al regime detentivo speciale di cui all' art. 41 bis ord. pen.

Del resto, la ratio di tale regime detentivo è proprio "evitare che gli esponenti dell'organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il normale regime penitenziario, possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dal carcere, il controllo sulle attività delittuose dell'organizzazione stessa".

Dunque, l'applicazione delle prescrizioni dipartimentali per i giudici di legittimità è pienamente giustificata dall'esigenza di impedire i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà, in armonia con i principi affermati dalla Corte costituzionale, secondo cui al decremento di tutela di un diritto fondamentale del detenuto, anche quando sottoposto al regime detentivo speciale di cui all' art. 41 bis ord. pen., deve sempre fare riscontro un corrispondente incremento di tutela di un altro interesse, di rango pari o addirittura superiore[1].

Dott.ssa Gemma Colarieti

[1] Cfr. Corte cost., sent. n. 173/2009; Corte cost., sent. n. 297/2008; Corte cost., sent. n. 212/1997.