La dichiarazione o elezione di domicilio ex art. 581, comma 1-ter, c.p.p. Non è doverosa per l’appello cautelare
Cass. Pen., sez. IV, 23 maggio 2023, n. 22140
Con la sentenza n. 22140 del 23 maggio 2023 la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha stabilito che la novella normativa di cui all'art. 581, comma 1-ter, c.p.p., sulla obbligatorietà della dichiarazione o elezione di domicilio contestuale alla proposizione di un atto di impugnazione, non trova applicazione per quanto concerne l'appello cautelare.
La disposizione citata è stata introdotta con la recente Riforma Cartabia che, con il d.lgs. 150 del 2022, ha novellato diversi articoli del Codice di procedura penale. In particolare, alcune di queste modifiche hanno interessato la disciplina delle notificazioni alle parti. Ciò, in particolare, è avvenuto sia con riferimento agli articoli 157-bis e 157-ter c.p.p., sia con l'introduzione di disposizioni peculiari in tema di impugnazioni, di cui all'art. 581, commi 1-ter e 1-quater c.p.p.
In particolare, in un'ottica di lealtà processuale e di prevenzione della maturazione dei termini di improcedibilità[1], è stato previsto che con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori si deve depositare, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l'elezione di domicilio «ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio». Nel caso di procedimento in assenza, è richiesto altresì il deposito di uno specifico mandato che sia rilasciato in data successiva alla emissione della sentenza da impugnare.
Il quesito affrontato dalla sentenza ora in esame era il seguente: la disposizione di cui all'art. 581, comma 1-ter, c.p.p., trova applicazione anche per l'appello cautelare? Di conseguenza, se quest'ultimo difetti della dichiarazione ed elezione di domicilio, l'atto di impugnazione deve essere dichiarato inammissibile?
Aveva concluso in senso affermativo il Tribunale del Riesame di Venezia rilevando, per un verso, che l'appello cautelare è a tutti gli effetti un mezzo di impugnazione, assimilabile all'ordinario appello; per altro verso, che il decreto di fissazione dell'udienza camerale avanti al Tribunale del Riesame configura una ipotesi di vocatio in jus.
Di diverso avviso il ricorrente, che evidenziava la natura incidentale dell'appello cautelare rispetto a quello di cognizione. Nella visione del ricorrente, perciò, la novella normativa non troverebbe applicazione per questa ipotesi di impugnazione.
Con la sentenza ora in esame la Corte di cassazione ha dichiarato fondato il ricorso, sconfessando la rilevanza degli argomenti addotti dal giudice del riesame e ponendo in evidenza la formulazione letterale dell'art. 581, comma 1-ter, c.p.p. rispetto a quanto previsto nella legge delega. Si è perciò deciso per l'inapplicabilità all'appello cautelare della citata disposizione.
Secondo il giudice di legittimità, la novella normativa non troverebbe il proprio fondamento nella natura dell'atto di impugnazione, quanto piuttosto nella volontà di garantire la regolare celebrazione del processo di secondo grado nonché la ragionevole durata del processo, così da impedire la maturazione della improcedibilità.
Inoltre, la sentenza in esame prende atto della scelta lessicale adottata dal legislatore delegato: infatti, sebbene la legge delega facesse riferimento alla «notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione», nel d.lgs. si indica uno specifico atto, ossia il decreto di citazione a giudizio. Quest'ultimo, presente nel giudizio di cognizione di secondo grado, non è invece previsto in sede di appello cautelare, nel corso del quale viene adottato un avviso di celebrazione dell'udienza.
Conferma il tutto, secondo quanto ritenuto dalla Quarta Sezione, la disciplina transitoria di cui all'art. 89 del d.lgs. n. 150 del 2022, in cui si prevede che la novella normativa trova applicazione per le sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore della Riforma Cartabia. Perciò, la novella si applicherebbe alle sole ipotesi di impugnazione di sentenze, non anche di ordinanze.
Alla luce di quanto esposto, la Corte di cassazione ha ritenuto che l'eventuale applicazione dell'art. 583, comma 1-ter, c.p.p., all'appello cautelare comporterebbe l'individuazione di un caso di inammissibilità non espressamente stabilito, con conseguente violazione del principio di tassatività delle ipotesi di invalidità degli atti processuali.
La sentenza afferma principi del tutto condivisibili: adotta una interpretazione aderente al dato testuale; è rispettosa del principio di tassatività delle cause di invalidità; è coerente con la ratio della Riforma; infine, evita di gravare la difesa di ulteriori adempimenti non espressamente previsti dalla legge.
[1] Sul punto si veda quanto ritenuto dall'Ufficio del Massimario, Relazione su novità normative, La "Riforma Cartabia", pagina 163, nota 354