Diritti edificatori e cessione di cubatura: la nuova previsione dell’articolo 2643 c. 2 bis c.c.

18.03.2024

Punto di partenza della nostra trattazione attinente ai diritti edificatori, nonché alla correlata cessione di cubatura o volumetria, non può che essere l'art. 869 c.c. in virtù del quale " i proprietari di immobili nei comuni dove sussistono piani regolatori, devono osservare le norme di quest'ultimi nelle costruzioni, riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti".

Siffatta disposizione non può prescindere da una chiara e precipua individuazione della definizione stessa di cubatura, da intendersi qui come quella capacità edificatoria propria di un determinato bene e cioè, più precisamente, l'indice di sfruttabilità edificatoria secondo le norme individuate dal Piano Regolatore Generale.

La cubatura quindi esprime quella "formula ingegneristica" in virtù della quale è possibile individuare le dimensioni future di un bene immobile "in punto di metri cubi edificabili in base agli strumenti urbanistici"[1], che consenta al proprietario di aumentare la volumetria del proprio bene.

Sorge quindi in capo al titolare un vero e proprio diritto che, in quanto tale, potrebbe essere in astratto oggetto di alienazione. Ed è proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto che, al fine di rendere certa la circolazione dei diritti edificatori, il nostro legislatore ha modificato l'art. 2643 c.c., introducendo il n. 2 bis, con il quale si stabilisce che i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale devono essere soggetti a trascrizione.

In virtù di tale modifica, si è riproposto quell'acceso e peculiare dibattito inerente ai profili civili e fiscali del contratto di cessione di cubatura.

Un confronto, questo, che seppur ha visto la presenza di innumerevoli e divergenti posizioni in letteratura, fino alla sentenza del 9 giugno 2021 n. 16080 della Suprema Corte di Cassazione non ha trovato concretamente quell'auspicata continuità richiesta più volte a gran voce dalla stessa giurisprudenza amministrativa.

Com'è noto, la disciplina attinente alla proprietà edilizia non trova all'interno del nostro ordinamento una trattazione unitaria ma al contrario, è caratterizzata da una serie di disposizioni normative rinvenibili sia all'interno del codice civile, sia all'interno di leggi speciali, piani regolatori, regolamenti edilizi, predisposti dai comuni ove i beni immobili o i fondi insistono.

Ebbene, l'istituto in esame, qualificato talvolta come "asseverimento di terreno per scopi edificatori", costituisce un vero e proprio accordo tra proprietari di beni immobili contigui, aventi logicamente la stessa destinazione urbanistica, in virtù del quale uno dei due proprietari aliena in tutto o in parte la potenzialità edificatoria della propria res, al fine di consentire all'acquirente di poter sfruttare una cubatura superiore rispetto a quella attribuita sul proprio fondo[2].

Al fine di meglio comprendere l'istituto di cui stiamo discorrendo, diviene necessario, seppur brevemente, ripercorrere le diverse posizioni dottrinali che si sono susseguite prima della novellata riforma.

Ciò posto, secondo una prima impostazione, definita pubblicistica[3], siffatta alienazione costituiva un "contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura sia di atto preparatorio sia procedimentale, privo di qualsivoglia onere tanto di forma quanto di trascrizione[4]".

In forza di tale corrente di pensiero, non era indispensabile un atto di cessione essendo sufficiente la mera adesione da parte del cedente, la quale veniva concretizzata attraverso la sottoscrizione, da parte di quest'ultimo, della relativa istanza o progetto presentato dall'acquirente[5]. Da ciò, come specificato dai Giudici della Suprema Corte di Cassazione, discendeva quale naturale corollario l'insorgere del vincolo di asservimento solo ed esclusivamente a seguito del rilascio del relativo titolo edilizio legittimante il diritto edificatorio dell'acquirente sul proprio bene immobile[6].

Alla suddetta interpretazione si è contrapposta la cosiddetta teoria privatistica[7], la quale, contrariamente a quella precedente, avvertiva l'esigenza di regolare il siffatto rapporto mediante i diversi istituti del diritto privato, riconducendo la cessione di cubatura ad un vero e proprio "trasferimento di un diritto reale immobiliare[8]" e per tanto ritenevano assolutamente essenziale tanto "un atto d'obbligo" quanto la sua trascrivibilità[9].

Proprio quest'ultima teoria, come rilevato da più parti in dottrina, è stata accolta pienamente dal nostro legislatore mediante l'introduzione del su richiamato n. 2 bis, dell'art. 2643 c.c., attraverso il quale si sono definitivamente resi opponibili ai terzi acquirenti i diritti derivanti dalla cessione di volumetria[10].

Ebbene, dalle considerazioni appena svolte è possibile rilevare agevolmente come, grazie alla su richiamata modifica, sia possibile oggi considerare il diritto edificatorio come un vero e proprio "diritto immobiliare" da intendersi però come "diritto inerente all'immobile" suscettibile di cessione, come previsto ex art. 2645 c.c.[11]

Sebbene sussista in concreto una forma di riconoscimento per tali diritti, non si può tuttavia esimersi dal sottolineare, come questa impostazione non risulti essere del tutto priva di aspetti critici, attinenti sia agli interessi sottesi a queste operazioni, sia al trasferimento del cosiddetto spazio areo.

Volendo in questa sede tralasciare le diverse teorie che si sono susseguite nel tempo, in ordine sia all'effettiva natura giuridica di tale cessione, sia alle diverse criticità che da essa possono sorgere, pare invece opportuno soffermarsi sull'applicabilità del nuovo 2 bis dell'art. 2643 c.c. mettendo in evidenza le diverse criticità applicative che da tale previsione possono insorgere.

Ciò posto, presupposto indispensabile per procedere alla trascrizione, ad opera del notaio rogante, è la stipulazione di un contratto ex art. 1321 c.c. che costituisca o modifichi un diritto edificatorio[12]. Con riferimento invece, al campo applicativo della disposizione in esame si sono susseguite molteplici perplessità attinenti alla stessa formulazione del n. 2 bis, in virtù del fatto che, come ribadito più volte dalla dottrina, la possibilità di creare o modificare diritti edificatori sarebbe esclusiva potestà della pubblica amministrazione[13], potendo solo quest'ultima procedere all'attribuzione e ripartizione dei diritti edificatori fra i titolari dei suoli fissandone al contempo anche i patti inerenti alla loro circolazione.

Dalle considerazioni appena poste, quindi, la genesi di tali accordi sarebbe da ricondurre principalmente agli strumenti perequativi o in statuizioni tra soggetti privati e uffici territoriali comunali, attraverso accordi con i quali si andrebbe a sostituire i provvedimenti comunali, disciplinando però gli obblighi della fase attuativa già previste ex ante dall'amministrazione[14].

Nonostante alcune voci in dottrina sostengano l'inammissibilità della trascrizione per i su richiamati accordi, altre correnti di pensiero né ammettono invece la loro trascrivibilità sulla base del combinato disposto degli artt. 2645 c.c. e 2643 c.c., in virtù dei quali, ai soli fini della trascrizione risulta essere del tutto indifferente l'atto con il quale si produce l'effetto traslativo, ma è necessario che quello specifico atto produca gli effetti di uno degli atti specificamente individuati dall'art. 2643[15] c.c..

In virtù di tale considerazioni e dell'entrata in vigore della più volte richiamata riforma, si assiste pertanto ad una vera e propria forma di apertura volta a concedere la trascrizione a tutti quegli accordi, ex. art. 1321 c.c., che trasferiscono costituiscono o modificano i diritti di volumetria.

Se da un canto vero è che, il legislatore abbia individuato quale schema negoziale principale per la cessione il contratto di compravendita, dall'altro ci si domanda se e in quale misura possono sussistere altri tipi negoziali idonei non solo al trasferimento di siffatti diritti, ma anche ad essere trascritti.

In particolare, ci si domanda se il contratto preliminare possa essere considerato ammissibile anche in ottica di assolvimento della su menzionata formalità.

Ebbene, secondo una prima impostazione il compromesso, pur costituendo, modificando o estinguendo un diritto edificatorio, non garantirebbe la possibilità di esperire la trascrizione, poiché ai sensi del n. 2 bis dell'art. 2645 c.c., in tema di trascrizione del contratto preliminare, sarebbe possibile assolvere tale obbligo solo per i contratti previsti ai sensi dei numeri 1, 2, 3 e 4 dell'art. 2643 c.c..

Secondo invece un'ulteriore impostazione, assolutamente preferibile, la norma in esame andrebbe letta estensivamente essendo la mancata previsione del contratto preliminare una mera lacuna legis[16].

Con riferimento invece ai diversi tipi contrattuali rientranti nello schema ex art. 1470 c.c., il cui prezzo di vendita non risulta essere determinato, o la cui determinazione verrà fatta successivamente ad opera di un terzo, secondo il disposto degli artt. 1473 e 1474 c.c., o ancora ad opera dell'arbitrio del terzo, parte della dottrina ha sottolineato come sebbene questi risultano essere idonei e soggetti a trascrizione, in virtù dell'imprevedibilità della determinazione non sarebbe possibile procedere alla contestuale trascrizione[17].

La puntuale e immediata trascrizione può essere adempiuta tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, per il trasferimento dei diritti di volumetria futuri, nonché l'alienazione parziale o totale dei richiamati diritti di soggetti terzi, purché l'acquirente sia consapevole della loro altruità, con contestuale posticipazione degli effetti reali nel momento in cui l'alienante procuri all'acquirente la titolarità del diritto[18].

Infine, è altresì ammissibile anche il patto di riservato dominio ex art. 1523 c.c., avente per oggetto i suddetti diritti in virtù, anche in questo caso, di una concreta apertura da parte della dottrina, non riavvisando elementi ostativi in tal senso[19].

Ebbene, posto che per i trasferimenti a titolo oneroso non sussistono particolari profili impeditivi, non ci rimane che chiederci se anche per quelli a titolo gratuito è possibile estendere le considerazioni appena svolte.

Con riferimento a quest'ultimi, volendo qui accogliere quella corrente di pensiero che considera tali diritti come diritti sulla cosa è possibile ritenere ammissibile che i diritti edificatori possano essere oggetto di negozi a titolo gratuito, non sussistendo, nemmeno in questo caso, alcun contrasto con quanto previsto ex art. 771 c.c., in tema di donazione di cosa futura, in virtù del fatto nei diritti edificatori non vi sarebbe alcun carattere di futurità.

Dott. Francesco Veraldi

[1] F. Gazzoni, Manuale di diritto Privato, XVIII, Napoli, 2017, 73 e 74.

[2] G. Ceccherini, Il c.d. trasferimento di cubatura, Milano, 1985, 12 ss.

[3] T.a.r. Veneto 10 settembre 2004, n. 3263; Cons. Stato 28 giugno 2000, n. 3637.

[4] Y. Z. Alfano, La cessione di cubatura tra profili civilistici e plusvalenze discusse, in Innovazione e diritto, 2012, 2.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem; Cass. 12 settembre 1998, n. 9081.

[7] Cons. Stato 29 luglio 2008, n. 3766; Cons. Stato 23 marzo 2004, n. 1525.

[8] Cass. 14 maggio 2007, n. 10979; Cass. 14 dicembre 1988, n. 6807.

[9] Y. Z. Alfano, La cessione di cubatura, cit.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] A. Savattierri, La cessione di cubatura alla luce delle ultime pronunce del Consiglio di Stato e delle recenti norme in materia di trascrizione in Urb. app., IV, Milano, 2013, 380.

[13] B. Mastropietro, Natura e circolazione dei diritti edificatori, Napoli, 2013,150.

[14] P. Urbani, Urbanistica solidale. Alla ricerca della giustizia perequativa tra proprietà̀ e interessi pubblici, Torino, 2011, 202 ss.

[15] F. Gazzoni, La trascrizione degli atti e delle sentenze, I, 2012, Torino, 230.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] C.M. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, Torino, 1993, 580 ss.

[19] F. Bocchini, La vendita di cose mobili, in Il codice civile Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 2004, 293.