Disastro ambientale e protezione umanitaria: una conseguenza necessaria

18.06.2022

Cass. Civ., Sez. II, 24 febbraio 2021, n. 5022

La Sentenza in questione riporta il caso di un soggetto al quale è stato rigettato il ricorso avverso al provvedimento con il quale il Tribunale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda volta all'ottenimento della protezione, di carattere internazionale o umanitario.

In tutta risposta il soggetto propone ricorso presentando due differenti motivi:

  • l'omesso esame da parte del Tribunale di fatto decisivo ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. che non avrebbe preso in considerazione la situazione di disastro ambientale esistente nel delta del Niger;
  • la violazione dell'art. 5 del D. lgs. n. 286/1998 poiché il giudice di merito non avrebbe riconosciuto la protezione umanitaria sulla base dell'esistenza del grave disastro ambientale di cui al primo motivo.

Le due censure, esaminate congiuntamente per la loro profonda connessione, sono ritenute fondate dalla Corte.

La Seconda sezione civile, pronunciandosi in tema di protezione umanitaria, ha affermato che l'accertamento effettuato dal giudice di merito in ordine al presupposto del "nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale", investe, non solo, l'esistenza di una situazione di conflitto armato, ma anche qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all'autodeterminazione dell'individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima, ivi inclusi i casi del disastro ambientale, definito dall'art. 452-quater c.p., del cambiamento climatico e dell'insostenibile sfruttamento delle risorse climatiche.

Il Tribunale, con ampia motivazione, ha dato atto dell'esistenza, nella zona del delta del Niger, di una grave situazione di dissesto ambientale, dovuta allo sfruttamento indiscriminato dell'area da parte delle compagnie petrolifere ed ai conflitti etnico-politici che l'hanno interessata a partire dagli anni novanta del secolo scorso.

Questa situazione, caratterizzata da un lato dalla notevole povertà della popolazione locale, che non beneficia affatto dei proventi della principale risorsa naturale dell'area, e dall'altro dell'insicurezza legata a sabotaggi, danneggiamenti, rapimenti di personalità pubbliche e aggressioni anche contro le forze di polizia, non è stata tuttavia ritenuta sufficiente dal Tribunale ai fini della configurazione di una condizione di violenza generalizzata rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell'art. 14, lett. c), del D.lgs. n. 251/2007, sulla base della considerazione che il livello di violenza generalizzata non sia tale da integrare un conflitto armato o una situazione equivalente. Inoltre, il giudice di merito non ha in alcun modo considerato il contesto di dissesto ambientale e insicurezza diffusa ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Il Comitato ONU ha ritenuto che il principio generale del non refoulement, che vieta il rimpatrio di un richiedente asilo in un contesto territoriale in cui ci siano sostanziali rischi di danno irreparabile alla sua incolumità personale o a quella dei suoi familiari, si applica a tutte le condizioni di pericolo, poiché il diritto individuale alla vita comprende anche quello ad una esistenza dignitosa e alla libertà da ogni atto od omissione che possa causare una innaturale o prematura scomparsa della persona umana.

"Ai fini del riconoscimento, o del diniego, della protezione umanitaria (...) il concetto di "nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale" (...) costituisce il limite minimo essenziale al di sotto del quale non è rispettato il diritto individuale alla vita e all'esistenza dignitosa. Detto limite va apprezzato dal giudice di merito non soltanto con specifico riferimento all'esistenza di una situazione di conflitto armato, ma con riguardo a qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo a esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all'autodeterminazione dell'individuo al rischio di azzeramento o di riduzione al di sotto della predetta soglia minima, ivi espressamente inclusi (...) i casi del disastro ambientale (...) del cambiamento climatico e dell'insostenibile sfruttamento delle risorse naturali".

La Corte ritiene dunque che il degrado ambientale possa effettivamente compromettere l'effettivo godimento dei diritti umani individuali, al pari del cambiamento climatico e degli effetti causati, in generale, dallo sviluppo insostenibile; ciò si verifica quando il governo locale non può, o non vuole, assicurare le condizioni necessarie a garantire a tutti l'accesso alle risorse naturali essenziali, quali la terra coltivabile e l'acqua potabile, con conseguente compromissione del diritto individuale alla vita.

È quindi per tali motivi che la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato, rinviando la causa anche per le spese del giudizio di legittimità.

Dott. Pierluigi Malazzini