L’incidente di Seveso, la Chernobyl Italiana: dal delitto di “disastro colposo” al “disastro ambientale”
Dieci luglio 1976, in Italia si verifica uno dei peggiori disastri ambientali della storia, noto anche come Disastro di Seveso, dovuto alla fuoriuscita e alla dispersione di una sostanza (tetracloro-dibenzo-diossina) talmente pericolosa e tossica da arrecare gravi danni alla popolazione e all'ambiente circostante.
Alle ore 12.00 circa, nella già malvista industria chimica ICMESA, il sistema di controllo di un reattore chimico, destinato alla produzione di triclorofenolo, va in avaria comportando un aumento vertiginoso della temperatura. L'esplosione del reattore viene evitata grazie all'apertura del dispositivo di sicurezza, tuttavia la temperatura raggiunta è talmente elevata da determinare un cambiamento nella reazione stessa, provocando una produzione significativa di diossina TCDD.
I dirigenti – pur consapevoli della gravità dell'evento - decidono di tenere all'oscuro dell'incidente le autorità e i cittadini che continuano a vivere totalmente ignari del veleno inalato e della tossicità del cibo proveniente dagli orti, anch'essi gravemente contaminati.
Solo dopo alcune settimane dall'incidente, appaiono sui quotidiani più importanti svariati articoli sulle inchieste in corso e sulle responsabilità civili e penali, nonché sui ritardi e sulle omissioni delle amministrazioni pubbliche deputate al controllo. Nel 1983, in sede processuale, viene riconosciuta la penale responsabilità dei dirigenti e tecnici per omissione di cautele e lesioni, nonché per disastro colposo.
Nel 1986, con giudizio definitivo in Cassazione, viene confermata la sentenza di secondo grado che condanna la multinazionale svizzera a pagare anche i danni materiali. Tali rimborsi economici vengono impiegati per le operazioni di bonifica dei territori, talmente contaminati da aver richiesto l'abbattimento di tutte le strutture presenti.
Nel 2006 viene riconosciuto a circa ottanta abitanti di Seveso l'esistenza di un danno morale, per cui l'azienda è tenuta a versare 5000 euro di danni ciascuno.
Ma cosa si intende per delitto di disastro colposo?
L'articolo 449 c.p. rubricato "Delitti colposi di pericolo" punisce chiunque cagioni per colpa un incendio ovvero "un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo" (Titolo VI), con la più mite pena della reclusione da uno a cinque anni, che è tuttavia raddoppiata, ai sensi del secondo comma, "se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone".
La norma in questione, dunque, reprime la causazione colposa degli eventi disastrosi preveduti dalle norme incriminatrici contenute nel capo primo (incendio, inondazione, frana o valanga ecc…).
La scelta legislativa di incriminare anche la causazione di disastri colposi sembrerebbe, difatti, trovare giustificazione nell'esigenza di rafforzare la tutela di un bene fondamentale come quello dell'incolumità pubblica.
Secondo la giurisprudenza, ai fini della configurabilità del delitto in esame è necessario che si verifichi un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all'incolumità di un numero collettivamente non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie diverse, in un modo non precisamente definibile o calcolabile e, altresì, che l'eccezionalità della dimensione dell'evento desti un senso di allarme per la effettiva capacità diffusiva del nocumento.[1]
Possono, inoltre, rientrare nella nozione di disastro non solo gli eventi che presentino una palese gravità ed evidenza, che si manifesta in un breve arco di tempo, ma anche le ipotesi in cui l'evento disastroso non sia immediatamente percepibile e si realizzi in un arco di tempo prolungato, presentando tuttavia l'idoneità a compromettere la pubblica incolumità.
La nuova fattispecie di disastro ambientale costituisce senza dubbio un importante passo avanti, atteso per lungo tempo sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Difatti, prima della riforma del 2015 (L.68/2015), che ha introdotto nel codice penale disposizioni in materia di reati ambientali, le più gravi offese all'ambiente venivano giudiziariamente ricondotte, attraverso un approccio ermetico di tipo estensivo-creativo, alla fattispecie dolosa del disastro innominato di cui all'art.434 c.p.
Oltre al triste incidente di Seveso, basti pensare al cementificio del gruppo Eternit, all'acciaieria ThyssenKrupp, alla nota vicenda dell'ex ILVA, la cui storia processuale ha evidenziato tutti i limiti del previgente sistema penalistico di tutela dell'ambiente.
Il nuovo delitto è strutturato quale reato di evento e di danno le cui modalità di produzione del risultato lesivo sono a forma libera garantendo, in tal modo, una tutela molto estesa del bene giuridico protetto ovvero l'ambiente inteso nella sua accezione più ampia, non limitata ad un esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell'intervento umano.
La condotta può essere non solo indiretta ma attingere indirettamente l'ambiente, nonché consistere in comportamenti sia commissivi che omissivi.
Il primo degli eventi previsti in forma alternativa consiste nell'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; il secondo evento è indicato come "l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema, la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali". Infine, il terzo evento è legislativamente descritto quale "offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero il numero di persone offese o esposte a pericolo".
Quanto all'elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico.
Dott.ssa Francesca Saveria Sofia
[1] Cass. pen., Sez IV, sentenza n. 45836 del 5 ottobre 2017.
[1] Cass. pen., Sez IV, sentenza n. 45836 del 5 ottobre 2017.