Considerato lesivo dell’art. 8 della Convezione EDU il nesso di pregiudizialità tra l’azione di disconoscimento e quella di accertamento della paternità.
Causa Scalzo c. Italia -
Corte europea dei diritti dell'uomo, I sezione, 06 Dicembre 2022
La questione: il ricorso riguarda l'impossibilità per la ricorrente di avviare un'azione di riconoscimento della paternità nei confronti del presunto padre biologico, in quanto il diritto italiano subordina il procedimento di riconoscimento di paternità alla condizione che la sentenza di disconoscimento della paternità sia devenuta definitiva (essendo in Italia prerequisito fondamentale per l'esercizio dell'azione di accertamento della paternità). La ricorrente lamenta come la non definizione del procedimento di disconoscimento di paternità l'avesse lasciata in un prolungato stato di incertezza circa la sua identità e le avesse impedito di avviare l'azione di accertamento della paternità.
I fatti.
La vicenda in esame, nella quale la Corte Edu è stata chiamata a pronunciarsi, riguarda un'azione di disconoscimento della paternità promossa dalla ricorrente, nel 2010, unitamente a due suoi fratelli. Sulla questione si pronunciano due gradi di giudizio fino all'approdo in Cassazione[1]. Nel 2016, mentre il procedimento per il disconoscimento dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro era ancora pendente, la ricorrente propone azione di riconoscimento della paternità nei confronti del presunto padre biologico dinanzi la tribunale di Roma. Con sentenza depositata il 17.07.2018 il Tribunale di Roma dichiara irricevibile la domanda in quanto la decisione con cui il giudice aveva accolto il ricorso per il disconoscimento della paternità non era ancora definitivo, presupposto di diritto interno per l'esercizio del riconoscimento della paternità.
La questione giuridica.
La peculiarità di questo istituto consiste proprio nella circostanza che tra l'accertamento della paternità naturale e il disconoscimento della paternità, sussiste un nesso di pregiudizialità di natura tecnico-giuridico. Nello specifico, la causa concernente l'accertamento della genitorialità, con il quale viene rimosso o mantenuto lo status di figlio legittimo, risulta pregiudizievole rispetto al procedimento ove viene rivendicata un'altra paternità. La scelta operata dal legislatore italiano prevede che prima di poter accertare la genitorialità è necessario che vi sia un disconoscimento antecedente. La paternità non può essere dichiarata giudizialmente quando il riconoscimento del figlio naturale risulti in contrasto con lo stato di figlio legittimo in cui lo stesso si trova.
Gli argomenti delle parti:
La parte ricorrente.
La ricorrente, che al momento della proposizione del ricorso aveva sessantotto anni, sosteneva che la legge interna italiana l'avesse per dodici anni lasciata nell'incertezza circa la sua identità personale e familiare in assenza di un mezzo di ricorso effettivo che le consentisse di accelerare il procedimento e di un rimedio disponibile atto a dimostrare la sua filiazione paterna; in quanto la sentenza pronunciata nel procedimento di disconoscimento della paternità non era ancora divenuta definitiva. La sig.ra Scalzo afferma, nel proprio ricorso, che finché la ricerca di origine biologiche sarà soggetta alla previa abolizione del vecchio status, ciò sarà contrario alla Convenzione Europea dei Diritto dell'Uomo. L'accusa è rivolta ai tribunali italiani che l'avrebbero lasciata in uno stato di incertezza circa la sua identità personale per più di dodici anni e, sempre secondo la ricorrente, non sarebbero riusciti a garantire il rispetto della sua vita privata. La ricorrente conclude affermando che, dal momento in cui viene pronunciata una decisione nell'ambito di un procedimento di disconoscimento della paternità, il figlio perde l'uso del cognome del padre. Questa decisione priva la persona del nome, fino a quando, la decisione emessa, nell'ambito del procedimento di riconoscimento della paternità non diventa definitiva. Questa circostanza può richiedere molti anni. La sig.ra Scalzo ritiene che ciò costituisca una violazione dell'art. 8 della Convenzione[2]. Nel caso esaminato, un altro elemento merita di essere evidenziato. Nelle more del procedimento di riconoscimento, il padre biologico della ricorrente, è deceduto. Tale avvenimento ha indotto la sig.ra Scalzo (quale erede legittima) a ritenere che quando sarà accertato il suo status di figlia naturale, gli eredi del suo padre biologico, avranno già dissipati tutti i beni. Non esiste attualmente alcuna norma che consenta al figlio, durante il procedimento di accertamento della paternità, di ottenere una forma di protezione patrimoniale ed ereditaria.
Il governo.
Il governo, quale parte resistente, a sostegno della propria tesi, ha sottolineato che le dichiarazioni giudiziarie di paternità, come il riconoscimento, non sono consentite quando contraddicono lo stato attuale del minore. In particolare, come già enunciato, è necessario che lo status del minore, risultante dall'atto di nascita, sia preventivamente abolito dall'azione di contestazione della paternità. Nell'ordinamento giuridico italiano, quindi, nessuno può rivendicare lo status di figlio che sarebbe contrario allo status quale appare nell'atto di nascita, se quest'ultimo non sia stato prima soppresso da una sentenza divenuta definitiva che produca effetti ex tunc ed erga omnes. La ratio dell'ordinamento giuridico italiano è quella di impedire la sovrapposizione di status di filiazione contradditori. In caso di preposizione simultanea di due azioni, nello stesso procedimento, o di loro successiva proposizione in un procedimento diverso, l'ordinamento italiano consente al giudice ordinario la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 295 del c.p.c.[3] Il governo italiano sottolinea come l'ordinamento giuridico nazionale sia pienamente compatibile con l'art. 8 della Convenzione, in quanto riconosce come componente essenziale del diritto all'identità personale, il diritto al riconoscimento dello status di fanciullo rispetto alla verità biologica. Secondo la parte resistente la presunta ingerenza subita dalla ricorrente era prescritta dalla legge e necessaria per proteggere diritti e libertà altrui.
Giudizio della Corte.
La Corte rileva che i fatti in causa, relativi ai procedimenti di riconoscimento della paternità, rientrano incontestabilmente nell'ambito di applicazione dell'art. 8 della Convenzione e dunque sono materia interessante alla stessa Corte EDU. La Corte ricorda che la vita privata, ai sensi dell'art. 8 della Convenzione, può includere aspetti dell'identità non solo fisica ma anche sociale dell'individuo. Ciò comprende la filiazione, avendo già ricordato in altre sentenze, che il riconoscimento della filiazione, come anche l'annullamento di un rapporto di filiazione, incide direttamente sull'identità dell'uomo, o della donna, la cui relazione è in questione. Nella pronuncia dei giudici di Strasburgo viene ribadito che lo scopo principale dell'art. 8 della Convenzione è quello di proteggere l'individuo contro l'ingerenza arbitraria delle autorità pubbliche e questo potrebbe comportare l'adozione di obblighi positivi da parte delle autorità nazionali. Nel determinare se esiste un obbligo positivo, occorre tener conto del giusto equilibrio tra l'interesse pubblico e l'interesse del singolo. La Corte ricorda, inoltre, che non è compito suo sostituirsi alle autorità nazionali competenti a risolvere le controversie nazionali di paternità; il suo ruolo consiste nell'esaminare dal punto di vista della Convenzione e le decisioni che tali autorità hanno adottato nell'esercizio del loro potere discrezionale. Il tribunale deve esaminare se nello Stato convenuto sia stato raggiunto un equilibrio nel bilanciamento di interessi concorrenti, vale a dire, da un lato il diritto della ricorrente a dimostrare la propria filiazione nei confronti del padre naturale, e dall'altra, la necessità di rispettare l'interesse generale alla tutela della certezza del diritto. A tale riguardo la Corte sottolinea che la ricorrente si trova da più di dodici anni nell'incertezza della sua identità personale, in quanto le è impossibile proporre un'azione di riconoscimento della paternità, poiché la sentenza nel procedimento di disconoscimento della paternità non è ancora definitiva. Viene evidenziato nella pronuncia in esame che un sistema come quello italiano, che prevede che i procedimenti di disconoscimento siano pronunce pregiudiziali per l'accertamento della paternità può, in linea di principio, essere considerato compatibile con gli obblighi derivanti dall'art. 8 della Convenzione. La Corte EDU ritiene, tuttavia, che nell'ambito di siffatto sistema debbano essere difesi gli interessi della persona che intende determinare la propria filiazione, il che non si verifica quando il procedimento dura diversi anni e impedisce la proposizione di una azione di paternità. Messo in luce, inoltre, l'assenza di misure, da parte dell'ordinamento italiano, volte ad accelerare il procedimento. La Corte argomenta che, un processo che si svolge come nel caso di specie, costituisce un pesante onere per la persona che desidera che la sua identità biologica sia accertata e può comportare non solo una violazione del principio di ragionevole durata del processo, ma anche un ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione italiana, inoltre in relazione ad azioni volte alla tutela dei diritti fondamentali relativi allo status biologico e all'identità.
Conclusioni.
La Prima Sezione della Corte EDU ha dunque ritenuto sussistente la violazione dell'art. 8 della Convezione dato che la ricorrente si ritrova in uno stato di prolungata incertezza quanto alla sua identità personale. Lo svolgimento del procedimento interferisce in modo sproporzionato con il diritto al rispetto della propria vita privata, dunque in palese violazione della Convenzione EDU. Nella circostanza del caso di specie, i giudici di Strasburgo, hanno ritenuto che le autorità italiane siano venute meno al loro obbligo positivo di garantire alla ricorrente il diritto al rispetto della sua vita privata cui ha diritto in forza della Convenzione. Il ricorso ritenuto ricevibile ha condannato lo Stato Italiano ad un risarcimento in favore della ricorrente.
Dott.ssa Irene Bendinelli
[1] La decisione concernente il disconoscimento della paternità risulta, ad oggi, ancora pendente dinanzi alla Corte di Cassazione.
[2] Art. 8 CEDU: 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della proprio corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
[3] Nel caso di sussistenza di questi due procedimenti, si legge nell'ordinanza, si determina la sospensione del giudizio di accertamento fino all'esito del giudizio di disconoscimento. Nella fattispecie in esame una figlia aveva promosso azione di accertamento di paternità nei confronti degli eredi del presunto padre biologico, nel frattempo defunto. In seguito aveva instaurato il giudizio volto al disconoscimento della paternità legittima. La Corte di Cassazione si era espressa in tali termini circa la necessità di sospendere il primo procedimento al fine di definire il disconoscimento, "la sentenza che accoglie l'azione di disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, avendo natura di pronuncia di accertamento, travolge, con effetti ex tunc ed erga omnes, lo stato di figlio legittimo del disconosciuto riverberandosi, dunque, sul giudizio di accertamento della filiazione naturale pendente".
La Corte ha concluso che solo il vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento della paternità fa venir meno la condizione di figlio legittimo ostativa all'accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale.