Il reato di distruzione e deturpamento di bellezze naturali: art. 734 c.p.
In un periodo storico come quello che stiamo vivendo, estrema importanza sta assumendo la salvaguardia del patrimonio naturale-paesaggistico, dunque, risulta più attuale che mai approfondire gli aspetti legati alla tutela delle bellezze naturali che ci circondano ed esaminare i possibili risvolti giuridici previsti dall'ordinamento nazionale qualora tale tutela non venga garantita bensì ostacolata.
In materia di protezione delle bellezze naturali, di estremo rilievo risulta l'art. 734 c.p. il quale così dispone: "Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'Autorità, è punito con l'ammenda da euro 1.032 a euro 6.197".
La ratio della disposizione in esame consiste nel tutelare l'interesse della collettività al godimento delle bellezze naturali.
Occorre, dunque, partire dalla definizione di "bellezze naturali", cioè dei beni paesaggistici che accanto ai beni culturali costituiscono il patrimonio culturale. Ai sensi dell'art. 136 Codice dei beni culturali, ossia il D.L.vo. 22 gennaio 2004. N. 42, i beni paesaggistici vengono individuati per i «cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica», la loro «non comune bellezza», il loro «valore estetico e tradizionale», secondo il citato Codice dei beni culturali e del paesaggio (Parte III, artt. 131 e ss.), che assorbe e modifica, oltre alla l. n. 1089 del 1939, anche la l. n. 1497 del 1939.
L'elenco preciso di ciò che viene qualificato come bene paesaggistico è espressamente contemplato dall'art. 134 del Codice dei beni culturali[1].
Tornando dunque al contenuto dell'art. 734 c.p. si evince subito che il reato contemplato può essere commesso da "chiunque", dunque da ogni persona che ponga in essere la condotta menzionata dalla norma e tale da determinare le conseguenze previste dall'articolo in esame, rispondendo per tale ragione della contravvenzione.
Si tratta di un reato a condotta libera, che può realizzarsi per via attivo o per via omissiva, cagionando la distruzione o l'alterazione di una bellezza naturale, come nel caso del sindaco che non rispetta le aree comunali sottoposte a vincolo paesaggistico.
La legge richiede la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dell'agente e la realizzazione dell'evento, "sicché, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 734 c.p., distruzione o deturpamento di bellezze naturali, non è sufficiente una qualsiasi alterazione naturalistica del sito in questione, ma è necessario che quella specifica alterazione incida sulla bellezza naturale, così che si realizzi quantomeno una lesione o anche un semplice turbamento del godimento estetico dei visitatori o utenti, anche potenziali, del luogo"[2] , quest'ultimo "costituito dall'armonica fusione di forme e colori assunta dalla natura in particolari località, con la conseguenza che per integrare l'alterazione delle bellezze naturali dei luoghi è richiesta la modifica totale o parziale delle visioni panoramiche ed estetiche offerte dalla natura tanto da turbare sensibilmente il godimento estetico" [3].
La giurisprudenza è concorde nell'affermare che "la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. ha natura di reato di danno ed è configurabile in presenza di un'effettiva compromissione delle bellezze protette, il cui accertamento è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale"[4].
Dunque, l'ipotesi criminosa in esame rappresenta un reato istantaneo con effetti permanenti, e si consuma quindi nel momento e nel compimento della costruzione e nella verificazione del danno; la permanenza termina, "nell'ipotesi di costruzione o demolizione abusiva in luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, all'epoca di ultimazione dell'attività edilizia o del sequestro che la inibisce"[5].
Per concludere, è opportuno tracciare una differenza fra la norma del codice penale poc'anzi analizzata e l'art. 181 del Codice dei beni culturali, rubricato "Opere eseguite in assenza di un'autorizzazione o in difformità di essa", in quanto entrambe le norme disciplinano ipotesi di reati ambientali istituiti al fine di salvaguardare le bellezze naturali, ma si distinguono per forme e differenze[6].
Ai sensi dell'art. 181 del Codice dei beni culturali il reo viene perseguito per il solo fatto di aver eseguito un intervento su luoghi protetti senza il preventivo possesso delle necessarie e richieste autorizzazioni, dunque indipendentemente dal danno paesaggistico da lui direttamente cagionato.
È opportuno anche rilevare che l'art. 181 cit. con l'espressione "chiunque" consente di ritenere assoggettabile a sanzione penale non solo il proprietario o colui che gestisce il territorio, ma qualunque soggetto che venga ad intervenire sul territorio stesso senza i necessari provvedimenti autorizzatori delle competenti autorità regionali e comunali o con autorizzazione successiva alla esecuzione degli interventi[7].
Diversamente da quanto disposto dall'art. 181 cit., l'art. 734 c.p. punisce colui che, anche se in possesso della necessaria autorizzazione, ha provocato tramite la sua condotta omissiva o commissiva un concreto pregiudizio (deturpamento o distruzione) ai beni paesaggistici.
Nello specifico il reato di cui all'art. 181 d. lgs. n. 42/2004 costituisce un'ipotesi di reato di pericolo. Invece, la fattispecie criminosa di cui all'art. 734 c.p. costituisce un'ipotesi di danno concreto e non di pericolo (o di danno presunto), in quanto per la sua punibilità è necessario che in concreto si realizzi realmente l'effetto della distruzione, del deturpamento o dell'occultamento di bellezze naturali. Conseguentemente, ai fini della sussistenza degli estremi di quest'ultimo reato non è sufficiente né l'esecuzione di un'opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo: occorre, invece, che tale alterazione abbia effettivamente prodotto la distruzione, il deturpamento o l'occultamento del bene protetto[8].
Dott.ssa Federica Bontempi
[1] Ai sensi dell'art. 134, comma 1 del Codice dei beni culturali, sono beni paesaggistici "
a) gli immobili e le aree di cui all'articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141;
b) le aree di cui all'articolo 142;
c) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156".
[2] Cassazione penale sez. III, 07/09/2021, n.39166.
[3] Cassazione penale sez. III, 15/12/2020, n.15670. Si precisa che le ipotesi di reato di cui all'art. 734 c.p. non devono necessariamente riguardare attività urbanistiche, edilizie o modifiche del territorio ma possono riguardare anche mutamenti dell'aspetto estetico e biologico degli elementi naturali.
[4] Cit.
[5] Cassazione penale sez. III, 17/03/2016, n.21977.
[6] Cfr. G. DI NARDO - G. DI NARDO, I reati ambientali, ed. Cedam 2002.
[7] Cfr. Cass., Sez. III, 20 febbraio 2004 n. 7248.
[8] cfr. Cass., Sez. III, 14 luglio 1995 n. 9486.