La divisione giudiziale e stragiudiziale di un immobile in comproprietà

09.02.2024

Si può parlare di comproprietà immobiliare ogni qualvolta la proprietà di un immobile è divisa in due o più quote, assegnate ad altrettanti intestatari; pertanto, il diritto di godere dell'immobile e la responsabilità di gestirlo sono ripartiti fra più soggetti. 

Quando si dice che un immobile è in comunione significa che ci sono più proprietari e la proprietà è divisa per quote ideali, ossia in percentuali ed ogni quota si estende sull'intero immobile.

Il diritto reale, dunque, che è in capo a più proprietari, può avere origine da diverse situazioni. Un esempio tipico può essere la comunione ereditaria o la comunione legale tra i coniugi, in forza della quale i beni acquistati durante il matrimonio sono comuni ad entrambi i coniugi. La comproprietà può derivare altresì da un accordo tra più soggetti che decidono di acquistare insieme lo stesso bene. In tal caso la comunione si costituisce mediante un contratto stipulato tra i diversi partecipanti.

Le quote possono avere lo stesso valore percentuale (pensiamo a marito e moglie che hanno scelto di adottare il regime della comunione dei beni, la proprietà viene divisa in parti uguali tra i coniugi), oppure possono anche essere diverse. In caso di eredità, i legittimari avranno quote percentuali diverse sulla base al grado di parentela.

Tranne nel caso di comunione tra marito e moglie, che non può essere sciolta volontariamente se non con la morte di uno dei due o con la separazione e il successivo divorzio, negli altri casi la comunione dura fino a quando l'immobile non viene ceduto o i comproprietari provvedano alla divisione delle rispettive quote.

Cosa succede se viene meno la volontà di rimanere in comunione? Il codice civile all'articolo 1111 stabilisce che "Ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione…". Per sciogliere la comunione la legge ha quindi previsto l'istituto della divisione: può derivare da un accordo (divisione contrattuale o negoziale) o, in mancanza di quest'ultimo, da una decisione del giudice (divisione giudiziale).

La disciplina della divisione è regolata dalle norme sullo scioglimento della comunione dei beni e dalle norme sulla divisione ereditaria di cui agli articoli 713 e seguenti del codice civile. Sotto il profilo processuale, le norme si trovano agli articoli 784 e seguenti del codice di procedura civile.

Nell'ipotesi di divisione negoziale l'intero immobile viene diviso in tante porzioni per quanti sono i comproprietari. È il caso della divisione di un palazzo in più appartamenti. Ciascuno dei comproprietari, non avrà più una quota percentuale sull'intero bene ma il 100% su una specifica parte dell'immobile.

Qualora l'immobile non sia divisibile in natura, si potrà procedere o all'assegnazione dell'intero bene a uno dei comproprietari con liquidazione agli altri delle rispettive quote in denaro oppure alla vendita dell'intero immobile a terzi e divisione del ricavato tra i comproprietari.

Nella divisione contrattuale i comproprietari concludono, dunque, un vero e proprio contratto che individuerà il bene da dividere, le quote dei partecipanti alla divisione e le modalità con cui assegnare ai condividenti le rispettive porzioni e gli eventuali conguagli in denaro.

Nel caso in cui tutti i contitolari non si accordino bonariamente per una divisione contrattuale c.d. "amichevole", ciascun condividente, quando lo ritenga opportuno, anche contro la volontà degli altri, può adire il Tribunale del luogo dove sono collocati i beni oggetto di divisione (ai sensi dell'art. 21 comma 1 c.p.c.) e chiedere la divisione giudiziale del bene. La domanda di uno solo di essi muove l'inizio della divisione.

L'articolo 1111 c.c., al secondo comma, sancisce però la validità del patto con cui i condividenti si sono accordati per non sciogliere la comunione prima del raggiungimento di un certo termine. Tale termine in ogni caso non può superare i dieci anni. In caso contrario, infatti, la norma afferma che il termine si riduce automaticamente a dieci anni. Il giudice può comunque ordinare, su richiesta di uno dei condividenti, che la comunione venga sciolta prima del termine pattuito se gravi circostanze lo richiedono.

Secondo la giurisprudenza, una comunione immobiliare non è comodamente divisibile quando il frazionamento della stessa non è oggettivamente possibile oppure determinerebbe un notevole deprezzamento economico delle porzioni. Una comunione non è comodamente divisibile anche quando, tenuto conto dell'usuale destinazione dell'immobile e della sua pregressa utilizzazione, sia impossibile formare in concreto porzioni suscettibili autonomo e libero godimento (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14577 del 21 agosto 2012).

Ai sensi dell'art. 784 del c.p.c., la domanda di divisione deve essere proposta nei confronti di tutti i condividenti e dei creditori opponenti, se vi sono, con atto di citazione. Si intende che tutti i condividenti devono partecipare al giudizio come attori o convenuti, nel rispetto del principio del litisconsorzio necessario che dev'essere applicato anche per eventuali domande accessorie a quella di divisione.

Preventivamente alla domanda di divisione in giudizio, tuttavia, è importante ricordare che, a pena di improcedibilità della domanda, ai sensi dell'articolo 5, comma 3 del D. lgs. n. 28 del 2010, bisogna esperire obbligatoriamente il procedimento di mediazione. In questa sede i comproprietari vengono convocati davanti a un mediatore, il quale tenta di far addivenire le parti ad un accordo. È necessario il consenso unanime per l'accettazione del progetto di divisione che verrà redatto all'esito della mediazione. Se le parti non raggiungono un accordo, diviene necessario rivolgersi al Tribunale competente per la divisione giudiziale del bene.

Il giudice, in primo luogo, prova a cercare un accordo tra le parti per la divisione contrattuale. In caso di esito negativo, il giudice valuta se l'immobile è divisibile in natura e nomina un perito per procedere alla separazione delle quote in singole proprietà tra loro indipendenti. Il progetto di divisione, redatto dal CTU, verrà poi eseguito tramite sentenza costitutiva, senza necessità di consenso dei comproprietari, che saranno vincolati e assoggettati alla sentenza del Tribunale emessa in base al progetto redatto.

Qualora la divisione in natura non sia possibile, il giudice verifica se uno dei comproprietari è disponibile ad acquistare l'intero immobile liquidando, in denaro, le quote degli altri comproprietari. Se nessuno dei comproprietari si offre disponibile all'acquisto, il tribunale procede alla vendita coattiva dell'immobile a terzi, procedendo poi alla ripartizione del ricavato tra i comproprietari secondo le rispettive quote.

I creditori o gli aventi causa dei condividenti possono opporsi alla divisione giudiziale a patto che la divisione si debba ancora eseguire. È fatto salvo il caso in cui abbiano notificato un'opposizione anteriormente alla divisione stessa. L'impugnazione della divisione avente ad oggetto beni immobili ha effetto soltanto se viene trascritta prima della trascrizione della domanda al giudice di divisione della cosa comune.

Infine, occorre fare un cenno alla divisione giudiziale dei beni ereditari dal momento che ai sensi dell'art. 1116 c.c., alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell'eredità. La disciplina impone il litisconsorzio necessario per tutti gli eredi (quindi coloro che hanno già accettato l'eredità) ma non per i chiamati all'eredità, i quali non hanno acquisito lo status di eredi, non avendo ancora accettato l'eredità stessa.

Il procedimento di divisione prevede la stima del valore dei beni oggetto del patrimonio ereditario. Il calcolo consiste nell'effettuare la differenza tra attivo e passivo lasciati dal de cuius per ottenere una somma netta che costituirà la massa ereditaria da dividere. Per attività si intendono tutti i crediti del de cuius e il valore dei beni da questo lasciati. Le passività corrispondono invece ai debiti ereditari. Nella divisione ereditaria è necessario prestare attenzione alla circostanza che, di alcuni diritti ereditari, abbiano goduto esclusivamente uno o più coeredi. La divisione può essere domandata al giudice ugualmente salvo sia intervenuta l'usucapione. L'art. 714 c.c. infatti recita che "Può domandarsi la divisione anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l'usucapione per effetto di possesso esclusivo". In sostanza viene meno la comunione ereditaria dei beni quando un coerede esercita il possesso esclusivo su un bene comune usucapendolo. In tal caso non sarà possibile procedere alla domanda di divisione.

Interessante, quanto alla natura giuridica della divisione ereditaria, argomento lungamente dibattuto, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, è la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 25021 del 7 ottobre 2019, sono intervenute sull'annoso tema della divisione ereditaria avente ad oggetto immobili abusivi e, attraverso un articolato iter argomentativo, hanno chiarito definitivamente la natura giuridica del contratto di divisione affermando, in maniera perentoria, la necessaria applicazione della disciplina in materia urbanistica agli atti di scioglimento della comunione, tanto ordinaria quanto ereditaria, aventi ad oggetto edifici o loro parti, indipendentemente dalla data di edificazione degli stessi.

La giurisprudenza di legittimità, più volte ha affermato che la divisione ereditaria ha natura di atto mortis causa e, dunque, è sottratto all'applicazione della disciplina in materia urbanistica riferita ai soli atti tra vivi. Secondo la dottrina tradizionale invece, la divisione ereditaria è un atto inter vivos avente carattere meramente dichiarativo. Tale opinione si basa principalmente sulla lettera dell'art 757 c.c., a norma del quale ciascun condividente, una volta perfezionata la divisione, è considerato come se avesse avuto sin dall'origine la proprietà dei singoli beni che gli sono stati assegnati, anziché la comproprietà "pro quota" dei beni facenti parte della comunione ereditaria. Di conseguenza, l'atto divisionale non comporterebbe alcun trasferimento, né reciprocamente tra i condividenti, né tra la comunione che si scioglie e i singoli compartecipi: gli effetti dell'atto si limitano ad eliminare ogni incertezza soggettiva ed oggettiva sulla sorte dei beni comuni, rendendo chiari i soggetti che divengono titolari esclusivi dei beni sino a quel momento in comunione.

La Suprema Corte, procedendo ad un'analisi sistematica degli istituti rilevanti ai fini della decisione e risolvendo dunque il contrasto suddetto, ha pronunciato i seguenti ed interessanti principi di diritto: "a) lo scioglimento di una comunione ereditaria è un atto tra vivi e non a causa di morte e, pertanto, ad esso si applica la medesima normativa dettata per gli atti tra vivi traslativi di beni immobili; b) alle divisioni di immobili (sia nella comunione ereditaria che nella comunione ordinaria) si applicano in ogni caso le norme sulla regolarità edilizia dei fabbricati oggetto del contratto, a prescindere dalla data della loro costruzione; c) la divisione ha efficacia retroattiva, ma non ha natura dichiarativa, bensì traslativa e, quindi, lo scioglimento della comunione ereditaria, ove abbia ad oggetto immobili abusivi, sottostà al medesimo trattamento giuridico della comunione ordinaria; d) il provvedimento giudiziale che dispone la divisione non può essere validamente adottato se non vi è il rispetto della normativa prescritta, a pena di nullità, per gli atti traslativi di beni immobili in tema di regolarità edilizia".

Dott.ssa Benedetta Miccioni