È reato di molestia suonare il clacson sotto casa del vicino
Cass. pen., sez. I, 30 giugno 2022 (dep. 27 dicembre 2022), n. 49268
È inevitabile la condanna per il reato di molestia di chi passa con la propria automobile in prossimità dell'abitazione del vicino e suona ripetutamente il clacson: questa la netta posizione che la Suprema Corte ha assunto con la recente sentenza n. 49268 del 2022.
Il Tribunale di Rieti, con sentenza del 19 novembre 2021, ha condannato una donna alla pena condizionalmente sospesa di euro 400,00 di ammenda, riconoscendola colpevole del reato di cui all'art. 660 c.p. per avere, "per petulanza e altri biasimevoli motivi, recato disturbo al suo vicino di casa, suonando ripetutamente e ingiustificatamente, tanto di giorno che di notte, il clacson della propria autovettura in prossimità della abitazione di quest'ultimo". Comportamento ripetuto per ben 8 mesi e che non l'ha resa esente dall'obbligo di risarcimento in favore della costituita parte civile.
Il reato preso in considerazione è quello della molestia o disturbo alle persone che punisce a querela della persona offesa[1] "chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo" con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino ad euro 516.
Nonostante l'art. 660 c.p. presenti delle affinità con i reati contro la persona, questa è in realtà una contravvenzione posta a tutela della tranquillità pubblica ed in particolare dell'ordine pubblico.
Esaminando la fattispecie si può notare come, per la sua configurabilità, sia sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà della condotta e la consapevolezza che la stessa sia idonea ad arrecare disturbo al soggetto che la subisce. La condotta può manifestarsi in qualsiasi luogo, pubblico o privato, ed anche per mezzo del telefono, e consiste nel molestare terze persone, interferendo nella vita privata altrui.
Il termine "petulanza", così richiamato quale elemento costitutivo del reato di molestie, è stato oggetto di definizione da parte della Corte di Cassazione in molteplici occasioni: l'orientamento prevalente per petulanza intende "un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell'altrui sfera di libertà[2]"
Per mezzo del proprio difensore di fiducia, l'imputata ricorre in Cassazione deducendo cinque motivi: con il primo, gioca la carta della diversa qualificazione giuridica, ritenendo il suo comportamento integrante la violazione dell'art. 156 D. lgs. n. 285 del 1992 del Codice della Strada, quello che punisce l'utilizzo improprio dei dispositivi di segnalazione acustica (soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 42,00 ad euro 173,00).
Il difensore contesta poi la prova su cui è stata fondata la condanna, ritenendo la persona offesa e i suoi genitori testi non indifferenti. Con il terzo motivo, invece, la difesa deduce nuovamente la violazione della qualificazione giuridica, puntando questa volta sull'applicazione dell'art. 659 c.p., reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, che sanziona la condotta in maniera meno grave.
Con il quarto e il quinto motivo, invece, l'imputata contesta la concessione del beneficio della sospensione della pena, che non era stato richiesto (avendo interesse a non intaccare la possibilità di usufruire del beneficio in un ipotetico futuro) e il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rigettando il motivo per cui l'imputata ha tentato di riqualificare la propria condotta sulla base del fatto che "la condotta realizzata della ricorrente, precipuamente finalizzata ad arrecare disturbo o fastidio e a turbare la tranquillità altrui, va sussunta non già nella generica trasgressione di una regole di condotta di guida prevista dal codice della strada, ma integra l'art. 660 c.p. che mira a preservare la quiete e la tranquillità del soggetto passivo".
Né integra l'art. 659 c.p. posto che "in tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, perché sussista il reato non occorre che i rumori o le segnalazioni acustiche siano poste in essere per petulanza, capriccio o altri biasimevoli motivi, in quanto tali requisiti sono estranei allo schema legale in esame e attengono al diverso reato delle molestie o disturbo alle persone, previsto dall'art. 660 c.p."[3]
Gli Ermellini ritengono manifestamente infondato anche il secondo motivo in quanto la piattaforma delle prove poste a base della condanna era decisamente più ampia rispetto alle sole dichiarazioni della persona offesa e dei genitori.
Ancora: la Corte ha escluso che potesse assumere rilevanza giuridica la mera opportunità di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi in quanto "valutazioni di opportunità del tutto soggettive e per giunta eventuali e soprattutto in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale e quindi di ravvedimento imposta dall'art. 164 primo comma c.p. per la concessione del beneficio medesimo".
I motivi non convincono affatto gli Ermellini che ritengono indiscutibile la responsabilità della donna, sottolineando l'importanza della tranquillità personale, intesa come "interesse alla privatezza, alla intangibilità e al rispetto della sfera della vita privata".
[1] Articolo così modificato dalla Riforma Cartabia che ha introdotto la procedibilità a querela della contravvenzione.
[2] Vedi Cass. pen. n. 7993/21.
[3] Sul punto si veda anche Cass. pen. sez. 1 del 20/11/2000 n. 4400, Napolitano, Rv. 217968.