Earth Day e diritti umani: il diritto alla salvaguardia dell’ambiente
22 Aprile: Giornata mondiale della Terra.
Si tratta di una ricorrenza istituita nel 1970 dalle Nazioni Unite con l'intento di portare all'attenzione dell'opinione pubblica l'importanza della conservazione delle risorse e la salvaguardia dell'ambiente.
Causa scatenante di questo evento fu il disastro ambientale avvenuto a Santa Barbara nel 1969. Il 29 Gennaio infatti, a 200 chilometri dalle coste di Los Angeles, la piattaforma petrolifera della Union Oil esplose a causa dell'eccessiva pressione dovuta al trivellamento del fondale marino. Si riversarono in mare più di 10 milioni di litri di petrolio e il bilancio che ne seguì fu drammatico: rimasero uccisi più di diecimila gabbiani, delfini, foche e leoni marini. I movimenti nati in America successivamente, hanno portato il senatore americano Gaylord Nelson a spingere fortemente per dar vita a questa Giornata l'anno successivo.
Parlando in generale di tutela ambientale, per dare un'idea della complessità e della vastità di ciò di cui qui stiamo trattando, è possibile dire che tale tutela è così rilevante che non solo è tutelata fonti del diritto, ma rientra a pieno titolo nella grande categoria dei diritti umani.
Questa affermazione, seppur possa sembrare scontata, è frutto di numerosi dibattiti sviluppatisi nel diritto internazionale data la totale assenza di un riferimento esplicito e diretto all'ambiente. Non è dunque possibile parlare di una tutela dell'ambiente azionabile autonomamente se non per qualche eccezione (che vedremo più avanti).
Il primo vero riconoscimento di un collegamento tra ambiente e diritti umani si ha solo nel 1972, anno di adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'ambiente umano che all'art. 1 afferma:
"L'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all'uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l'ambiente a favore delle generazioni presenti e future (...)".
La nascita di questa Dichiarazione si pone come punto iniziale e principale della nascita effettiva di una tutela legislativa dell'ambiente, oltre che come punto di collegamento con il mondo dei diritti umani. Si tratta di elementi che dunque pongono in capo agli Stati un obbligo di tutela, poiché vige il principio secondo il quale questi devono adoperarsi per far rispettare, proteggere e realizzare ciascun diritto.
Si può parlare del 1972 quindi come dell'anno 0 della tutela ambientale. Nel corso degli anni successivi infatti sono diversi i trattati adottati che fanno esplicito riferimento all'ambiente come un elemento da tutelare per la salvaguardia dell'essere umano. Ad esempio l'art. 24, co. 2, lett. c) della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'Infanziastabilisce l'impegno degli Stati al fine di "Lottare contro la malattia e la malnutrizione, anche nell'ambito delle cure sanitarie primarie, in particolare mediante l'utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamento dell'ambiente naturale".
Nonostante quanto scritto finora, è opportuno dire che la tutela ambientale non è composta unicamente da una serie di trattati. Esistono infatti tre diverse fonti di quello che chiameremo diritto internazionale ambientale:
- Diritto consuetudinario: che consiste in quella serie di comportamenti reiterati che gli Stati reputano obbligatorio adottare. Tra le norme consuetudinarie rientrano i principi generali applicabili alla tutela internazionale dell'ambiente quali:
- la regola sic utere tuo ut alienum non laedas (puoi farne uso finché non danneggi gli altri) da cui ne discende il divieto di uno Stato di poter usare o permettere l'uso del territorio, che per emissioni di fumi causi danni al territorio (o a beni e persone) di un altro Stato;
- obblighi di due diligence (uso diligente di risorse);
- obbligo di cooperazione tra gli Stati;
- principio di prevenzione, per cui lo Stato deve regolare, ridurre, proibire attività che provocano un danno ambientale, adottando regole e misure appropriate, vigilando e controllando;
- principio di precauzione, da rispettare in presenza di minacce di gravi danni ambientali.
- Diritto pattizio: ovvero i trattati e le norme pattizie che vincolano i soli Stati ratificanti e indirettamente i soggetti privati subordinati alla loro giurisdizione. Oltre ai due trattati citati in precedenza è opportuno ricordarne altri, quali:
- la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (1992);
- la Convenzione sulla biodiversità che pone l'accento sui concetti di conservazione della diversità biologica, prevenzione dei danni, uso sostenibile delle risorse, condivisione di informazioni ed innovazioni tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo (1992);
- la Convenzione Quadro (CQCC) delle Nazioni Unite (1992) e il Protocollo di Kyoto (1997) per una riduzione del 5% dei gas ad effetto serra rispetto all'anno 1990;
- L'accordo di Parigi che può essere definito come il primo accordo universale vincolante. L'art. 2 prevede infatti che l'accordo "mira a rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a eliminare la povertà (...)".
- Soft law: consistente nell'insieme di strumenti giuridici non vincolanti che pongono rimedio all'assenza di una disciplina ambientale vincolante e autonoma. La soft law si muove dunque su base volontaristica, in particolare di quei soggetti maggiormente coinvolti anche a livello economico (vedasi le imprese e le multinazionali in primis). Questo risponde all'esigenza di dar vita ad una tutela di carattere internazionale che non vada però a compromettere la concorrenza economica tramite diversi strumenti, quali:
- il Global Compact delle Nazioni Unite, che con i suoi dieci principi impegna le imprese aderenti (quasi dodicimila) a rispettare i diritti umani e dei lavoratori, adottare un approccio preventivo rispetto alle problematiche ambientali, promuovere iniziative per una maggiore responsabilità ambientale, sviluppare tecnologie non dannose per l'ambiente;
- le Norme delle Nazioni Unite sulla Responsabilità delle Imprese Multinazionali rispetto ai diritti umani e all'ambiente secondo le quali le imprese transnazionali devono adempiere agli obblighi di protezione dell'ambiente secondo le normative interne al loro Stato e gli standard internazionali;
- le Linee guida dell'OCSE per la Responsabilità Sociale d'Impresa per le quali le imprese sono tenute ad adottare differenti piani al fine di evitare (tra le altre) disastri ambientali.
In conclusione è quindi
possibile affermare che, seppur non automatica e probabilmente con una
importante necessità di sviluppo e miglioramento, ad oggi esiste un'effettiva
tutela dell'ambiente. Ma questa da sola non basta. Il rispetto per l'ambiente
infatti deve diventare parte del nostro bagaglio sociale e culturale. Non deve
essere concepito come uno sforza, bensì come un comportamento naturale, figlio
di un'educazione trasmessa fin dalla più giovane età. È importante parlare ed
educare al rispetto dell'ambiente poiché non solo parliamo di tutto ciò che ci
circonda (dell'elemento che non semplicemente influenza ma è il nostro vivere
quotidiano), ma anche perché il nostro benessere presente e futuro, le
generazioni presenti e soprattutto quelle future, dipendono (già da adesso) e
dipenderanno in buona parte dalla salvaguardia
dell'ambiente.
Dott. Pierluigi Malazzini