“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”

18.11.2022

Molto spesso, a fronte di notizie di reati anche particolarmente gravi (per esempio mafia, terrorismo, omicidio), sentiamo dire che "l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere" e ci chiediamo per quale motivo il nostro Stato consenta una facoltà del genere ai (presunti) "criminali".

Per i non addetti ai lavori non sempre è facile capire il funzionamento e lo scopo di alcune norme previste dalla legge italiana, specie se il fine è quello di garantire a tutti un equo processo.

Il nostro codice di procedura penale, all'articolo 64 comma 3, stabilisce che "Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:

a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;

b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;

c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197 bis".

Cosa significa tutto ciò?

La facoltà di non rispondere, prevista per i soggetti che si trovano in stato di fermo o arrestati in flagranza di reato e per i quali è necessario decidere quali misure cautelari applicare, corrisponde alla possibilità di rimanere in silenzio durante l'interrogatorio di garanzia e trova il suo fondamento nell'esigenza di evitare che un indagato sia sempre obbligato a rispondere alle domande del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria.

Dal punto di vista strategico, è opportuno avvalersi della facoltà in esame per tre ordini di ragioni:

  • Gli atti di indagine sono sconosciuti: in questa fase, infatti, la Procura gioca a "carte coperte" pertanto potrebbe essere molto pericoloso per l'indagato raccontare la sua versione dei fatti. Sarà necessario attendere la chiusura delle indagini per far sì che il difensore possa avere in mano tutte le carte necessarie per articolare la difesa.
  • Le parole dell'indagato potrebbero essere interpretate in modo sbagliato: l'imputato, infatti, potrebbe fornire dettagli particolari o informazioni che potrebbero rovinare la propria posizione.
  • L'indagato non può rettificare le dichiarazioni rese durante l'interrogatorio di garanzia: tutte le dichiarazioni che vengono fatte vengono messe a verbale e potranno essere utilizzate contro il soggetto, dimostrandone la sua inattendibilità.

Non scontato, però, è il fatto che il silenzio dell'indagato non deve in alcun modo valere come elemento di prova: a questo proposito, la stessa Cassazione, con la sentenza n. 6348/2015, afferma che "Il silenzio serbato dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia non può essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può trarre argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze "aliunde" acquisite".

Tuttavia, questa facoltà non è accettata nel caso in cui l'imputato sia interpellato sulle sue generalità o su qualsiasi altro dettaglio che aiuti alla sua identificazione, in particolare:

  • se ha beni patrimoniali;
  • quali sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale;
  • se è sottoposto ad altri processi penali;
  • se ha riportato delle condanne in Italia o all'estero;
  • se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessità;
  • se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche.

Per quanto concerne il contenuto di garanzia dell'interrogatorio, il giudice deve valutare la permanenza delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari richiesta ai sensi degli articoli 273, 274 e 275, il che significa che il giudice deve procedere ad una nuova valutazione del fatto concreto, soprattutto in seguito ai nuovi elementi emersi dall'interrogatorio stesso. 

Se l'imputato, però, sceglie di non rispondere alle domande, rimane la misura cautelare inflitta in quanto il Gip non dispone dei citati nuovi elementi per favorire il rilascio del soggetto: a questo punto, l'indagato potrà rivolgersi al Tribunale del riesame (ex art. 309 c.p.p.).

Il diritto alla facoltà di non rispondere è un diritto esclusivo dell'imputato.

Vi è una figura che non può avvalersi di questa possibilità ossia il testimone. 

Infatti, come previsto dall'art. 198 c.p.p., una volta citato, lo stesso "ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte". 

Se decide di tacere, potrà essere denunciato dal Pubblico Ministero e rischia la reclusione da 2 a 6 anni. Gli unici soggetti che, una volta chiamati come testimoni, possono decidere di non rispondere, sono i giornalisti professionisti iscritti all'albo, i pubblici ufficiali oppure gli assistenti sociali i quali possono tacere su fatti conosciuti per ragione del loro ufficio o della loro professione.

Alla luce di quanto detto, è sempre nell'interesse dell'indagato far sì che si possa fare chiarezza il prima possibile sui fatti che lo riguardano; è allo stesso tempo ragionevole attendere la conclusione delle indagini in quanto, come previsto dall'art. 415bis c.p.p., entro 20 giorni si potranno presentare memorie, produrre documenti nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

Perché come si suol dire "la parola è d'argento ma il silenzio è d'oro". 

Dott.ssa Melissa Cereda