
Ieri, 26 giugno: riflessioni dalla Giornata internazionale delle vittime di tortura
A cura di Avv. Giulia Solenni
Ieri, 26 giugno, si è celebrata la Giornata internazionale delle vittime di tortura. Ho partecipato con grande interesse a un convegno organizzato dalla Commissione diritti umani del CDO di Verona, incentrato su una tematica tanto complessa quanto, a volte purtroppo, poco trattata: il rapporto tra malattia psichica, giustizia penale e diritti umani.
L'incontro si è aperto con una distinzione che ha fatto da chiave di lettura per tutta la discussione successiva: quella tra i cosiddetti "folli rei" e i "rei folli". I primi sono coloro che, pur non essendo imputabili a causa di un vizio totale di mente, vengono sottoposti a una misura di sicurezza non a seguito di condanna, ma per la loro accertata pericolosità sociale.
I secondi, invece, sono soggetti che hanno ricevuto una condanna penale e che hanno manifestato disturbi psichici prima o dopo la sentenza. Una distinzione fondamentale per comprendere la diversità dei percorsi giudiziari, terapeutici e di tutela dei diritti coinvolti.
Da questo spunto iniziale, il confronto si è poi allargato, toccando una serie di questioni urgenti e attuali che riguardano la gestione della salute mentale in ambito penale, le garanzie processuali, il ruolo delle strutture sanitarie e le responsabilità dello Stato.
Si è parlato, ad esempio, delle REMS, le Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza, nate con la Legge 81 del 2014 e attuate a partire dal 2015, con l'obiettivo di superare definitivamente gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, strutture queste ultime che erano state più volte, negli anni, oggetto di condanna per trattamenti degradanti e inumani.
L'introduzione delle REMS avrebbe dovuto rappresentare un cambiamento radicale: piccoli nuclei residenziali con pochi posti letto, gestiti dai Dipartimenti di Salute Mentale, improntati alla cura e non alla punizione.
Eppure, a quasi dieci anni dalla loro introduzione, il sistema mostra segni di grande sofferenza. I posti letto sono insufficienti, le liste d'attesa sono lunghe – parliamo anche di 10 mesi per l'ingresso – e nel frattempo le persone restano in una sorta di limbo giuridico, talvolta perfino in carcere in attesa di una collocazione. Manca personale adeguatamente formato, mancano percorsi terapeutici strutturati, manca una regia unitaria a livello nazionale.
Le REMS rischiano di diventare, se non lo sono già in parte, contenitori emergenziali, e non veri luoghi di cura e riabilitazione.
Un altro tema centrale è stato il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e la recente sentenza 76/2025 della Corte costituzionale, che ha stabilito alcune garanzie fondamentali: la persona deve essere sentita prima della convalida del tso, il provvedimento deve essere notificato tempestivamente e deve esserci un'effettiva possibilità di ricorso. È stato ribadito come il TSO non possa trasformarsi in una sospensione del diritto alla difesa, e come la contenzione fisica – se presente – debba essere l'extrema ratio, sempre giustificata da una stretta necessità e proporzionalità.
In questo contesto si è parlato anche del caso Lavorgna v. Italia, deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2024 e seguito con straordinaria competenza e dedizione dagli avvocati Antonella Mascia e Antonella Calcaterra, entrambe presenti al convegno. È stato uno dei momenti più toccanti dell'incontro.
Le due professioniste hanno raccontato il percorso giudiziario che le ha portate a Strasburgo con grande rigore tecnico, ma anche con un'intensità emotiva che ha reso evidente quanto quel caso non fosse solo un fascicolo da difendere, ma una storia umana da sostenere con il peso della responsabilità e della coscienza.
Il caso riguardava un giovane ragazzo sottoposto a contenzione meccanica ininterrotta per quasi otto giorni, senza valutazioni cliniche aggiornate, senza una reale sorveglianza medica e in condizioni che la Corte ha definito come contrarie alla dignità umana.
La sentenza ha riconosciuto la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea – il divieto assoluto di trattamenti inumani o degradanti – e ha rappresentato una condanna forte nei confronti dello Stato italiano, ma soprattutto un segnale inequivocabile per il sistema sanitario e giudiziario.
Nel ripercorrere le tappe del ricorso, Mascia e Calcaterra hanno saputo trasmettere non solo la complessità giuridica del contenzioso, ma anche il peso emotivo di un lavoro fatto spesso in solitudine, tra ostacoli istituzionali, ritardi, silenzi. Hanno parlato con la lucidità, ma anche con la partecipazione profonda di chi ha scelto di esporsi per dare voce a chi non può parlare per sé.
È stato un racconto che ritengo abbia toccato tutti i presenti nel profondo, perché mostrava quanto una battaglia per i diritti possa segnare anche noi avvocati, lasciando ferite che non si vedono, ma che danno senso al lavoro che si fa.