I principi dell’azione amministrativa

20.01.2023

L'azione amministrativa è stata oggetto di un'ampia evoluzione storica che dopo il 700 e l'800 ha trovato approdo ed un'importante conquista nella L. n. 241/90, ove il legislatore, grazie anche all'intervento della dottrina e della giurisprudenza, ne ha rivisitato la sua concezione in chiave garantista ed in una logica aperta.

In questa prospettiva è opportuno sottolineare come l'azione de quo venga in rilievo sia grazie alla presenza di un aspetto soggettivo, identificabile nel fatto che la stessa debba essere esercitata da un soggetto pubblico, ed altresì da uno oggettivo, il quale riguarda l'esistenza di un fine ed un interesse pubblico a cui l'Amministrazione deve tendere; dove l'esercizio di tale azione debba essere contenuto all'interno dei limiti prefissati dalla legge. 

Allora, è proprio qui che il correlato principio di legalità, oltre a rilevare su un piano formale e sostanziale, assume un ruolo di garanzia, investendo una regolamentazione generalizzata. Questa circostanza si è originata successivamente all'unificazione - all'interno della legge sul procedimento amministrativo - delle diverse discipline; consentendo così all'interprete - il quale prima si vedeva costretto all'analisi delle differenti disposizioni - di ricorrere alla sola valutazione della L. n. 241/90.

Ora, possiamo affermare che l'art. 1 della suddetta legge, riportante il titolo "Principi generali dell'azione amministrativa" richiama i criteri che governano il facere amministrativo. Infatti al co. 1 vi è un espresso richiamo sia al rispetto dei principi derivanti dall'ordinamento interno sia di quelli sovranazionale.

Specificamente, all'art. 1 co. 1bis della L. n. 241/90 il legislatore ha suddiviso l'azione amministrativa in autoritativa e non autoritativa, ove la divergenza risiede nel fatto che la P.A. eserciti o meno un potere pubblico (in questa non sono infatti ricompresi gli atti di tipo politico). Ancora, al comma 2 viene introdotta una clausola fondamentale, ossia che la P.A. non potrà aggravare il procedimento se non per ragioni ed esigenze imposte dall'istruttoria.

A tal punto è altresì doveroso richiamare al ruolo centrale che tale normazione assume anche in relazione alle condotte dei soggetti privati. Pacifica è la sua applicabilità a tale categoria di individui e le relative regole si individuano all'art. 1 co. 3ter, il quale statuisce l'attribuzione della normativa de quo ai privati che esercitano funzioni o poteri pubblici e a coloro che siano preposti all'esercizio di un'attività amministrativa. Gli stessi, infatti, saranno tenuti al rispetto dei criteri e dei principi con una garanzia almeno pari - e mai inferiore - a quella che osservano le Pubbliche Amministrazioni.

In questo ambito, posizione fondamentale ricoprono i principi individuati dalla Carta Costituzionale. Infatti è proprio l'art. 97 che nel definire l'organizzazione dei pubblici Uffici menziona il principio di buon andamento e quello di imparzialità, estendibili, ovviamente, all'azione amministrativa valutata nella sua totalità. Inoltre, il perseguimento dei fini determinati dalla legge avviene anche grazie all'ausilio dei criteri di efficacia, economicità, pubblicità, trasparenza ed imparzialità.

Partendo quindi da un'ottica incentrata sull'ordinamento interno preme sottolineare la portata dei criteri sopra elencati. 

L'efficacia è l'elemento ispiratore dell'azione amministrativa e sottende alla necessità che le Pubbliche Amministrazioni agiscano animate dal perseguimento dei propri fini in relazione agli obiettivi da perseguire. L'economicità improntata ad una logica di ottimizzazione implica, invece, che l'Amministrazione nel dare esecuzione alle proprie mansioni debba farlo con il minor dispendio possibile sia di mezzi che di strumenti, intesi non solo a livello economico ma anche a livello strumentale. Dunque, appare evidente che la maggior parte delle volte sarà difficile raggiungere i traguardi prestabiliti impiegando un numero limitato di risorse economiche.

Il principio di pubblicità - che ha avuto come obiettivo negli anni quello di trasformare la P.A. da luogo oscuro a "casa di vetro" - ha avvertito come esigenza primaria quella di consentire un'implementazione della partecipazione all'attività svolta in ambito amministrativo ai singoli cittadini nonché di renderli edotti circa le condotte e le scelte assunte dalla P.A..

Tale criterio si pone, insieme a quello di trasparenza, come garanzia di democraticità; ciò perché attraverso la pubblicità la P.A. renderebbe visibile e controllabile il proprio operato.

Diversamente, il criterio di trasparenza - protagonista del D.lgs. n. 33/13 - ha come scopo quello di rendere conoscibile all'esterno l'azione amministrativa. A tal proposito è proprio il legislatore a fornire gli strumenti mediante i quali ciò possa realizzarsi. Infatti, l'obbligo di trasparenza gravante in capo alle amministrazioni si esplica nel diritto di accesso civico, di accesso documentale nonché nell'obbligo di motivazione e nella partecipazione dei privati al procedimento amministrativo.

Ancora, appare chiaro che il settore amministrativo sia permeato anche dalla presenza di principi che derivano dal diritto comune; infatti è proprio nel Codice Civile che è possibile rinvenire sia quello di buona fede che quello di correttezza - caratterizzante i rapporti tra P.A. ed il cittadino - introdotti all'art. 1 co. 2bis del c.d. Decreto Semplificazioni.

Infine, l'imparzialità intesa non soltanto quale criterio a cui attenersi per l'organizzazione dei pubblici uffici ma che, grazie alla L. n. 69/2009, è stata anche inclusa tra i principi evocati dall'art. 1 della legge qui in esame. Allora, questo criterio deve essere valutato come equidistanza tra più soggetti pubblici o privati che si relazionano con la Pubblica Amministrazione. Inoltre, il principio de quo spiega la sua primarietà anche in relazione al contraddittorio procedimentale, alla pubblicità nonché ad altro criterio cardine quale l'obbligo di motivazione ex art. 3 L. n. 241/90. 

Dunque, l'imparzialità oltre ad avere un'accezione negativa, quale divieto di discriminazione - in stretta correlazione con l'uguaglianza ex art. 3 Cost. - ne assume altresì una positiva, ossia come obbligo per la P.A. di valutare tutti gli interessi coinvolti.

Ora, la questione che appare più rilevante è quella di identificare i principi del diritto comunitario; infatti è a tali assunti che l'art. 1 della L. n. 241/90 richiama ed è lo stesso a recare un espresso riferimento ai principi generali dell'ordinamento sovranazionale, funzionali a regolare l'azione delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, è proprio grazie alle elaborazioni della Corte di Giustizia che è stato possibile delineare la suddivisione dei principi a carattere generale ed i meri principi, ove i primi sono l'equivalente dei principi costituzionali fondamentali delle esperienze nazionali e sono comuni a tutti gli Stati membri mentre i secondi sono definiti come principi generali amministrativi e solo alcuni di essi sono comuni agli Stati dell'UE.

Tra i più influenti principi generali vi è quello di proporzionalità e di legittimo affidamento.

Il primo riguarda il fatto che l'esercizio dell'azione amministrativa deve attuarsi nella giusta misura ed ha in sé la necessità che i mezzi utilizzati siano sia idonei allo scopo perseguito sia efficaci, attenendo quindi al rapporto tra mezzo e fine. Recentemente, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che - proprio alla luce di tale criterio - la Pubblica Amministrazione debba adottare l'azione che comporti un minor gravame per gli interessi coinvolti. Diversamente, il secondo principio ha il preminente obiettivo di salvaguardare la posizione di vantaggio del privato, la quale nel momento in cui abbia ingenerato un'aspettativa non potrebbe, se non per preminenti interessi pubblici ed in presenza di un idoneo indennizzo, essere rimossa. Ciò che qui rileva è che la P.A. tenga in debita considerazione l'utilità che, in costanza di un provvedimento, il privato avrebbe in buona fede conseguito nonché la circostanza secondo cui questa, in correlazione al legittimo affidamento, si porrebbe da limite all'eliminazione dell'atto pubblico attributivo del vantaggio. 

L'affidamento si raggiunge grazie alla presenza di tre elementi: uno oggettivo, uno soggettivo ed uno temporale o cronologico. Il criterio oggettivo, dovendo sempre derivare da un comportamento attivo, trova la sua ragione nella concezione secondo cui il provvedimento attributivo debba essere univoco, chiaro e preciso mentre quello soggettivo attiene al fatto che il soggetto che vanta l'utilità debba averne la titolarità. Da qui deriva la non rilevanza della situazione originata in assenza di buona fede e quindi con dolo o colpa. In merito al fattore temporale, invece, si può affermare che il vantaggio concesso dalla P.A. diventa significativo e dunque suscettibile di produrre un legittimo affidamento solo nel caso in cui sia divenuto - a livello temporale - stabile e certo.

Inoltre, sempre in ambito sovranazionale ed in riferimento al rapporto tra diritti del cittadino ed amministrazione (ove questa a livello extra ordinamentale si pone come strumentale rispetto agli interessi del singolo) è possibile estrapolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE dei principi che trovano riscontro e regolamentazione anche nel nostro ordinamento.

In particolare, all'art. 41 - disciplinante il diritto ad una buona amministrazione - si rinviene il principio di imparzialità e di conclusione del procedimento in tempi ragionevoli. Tuttavia, elemento che qui acquista una posizione cardine è quello di equità che, oltre a rivestire appunto una posizione centrale, diventa un'autentica regola giuridica, acquisendo altresì rilevanza ai fini della violazione di legge. Il paragrafo 2 del suddetto articolo menziona, invece, il diritto all'ascolto che trova il suo corrispettivo nel principio del contraddittorio, previsto nel nostro ordinamento.

Ancora, l'art. 42 delinea il diritto di accesso ai documenti, evidenziando, di fatto, una distinzione tra il concetto che si rinviene all'art. 41 e quello che, al contrario, emerge dall'articolo de quo. Infatti mentre il primo ha ad oggetto l'accesso ad un fascicolo relativo alla figura del soggetto richiedente, il secondo contempla un diritto di accesso inteso in senso più aperto, concernente l'accesso ai documenti delle istituzioni non necessariamente collegati all'interessato.

In conclusione è possibile affermare che l'azione amministrativa sia il fulcro del diritto amministrativo e che in essa converga una molteplicità di principi - derivanti sia dalla normativa interna che sovranazionale - che si pongono da un lato come limite all'agire della P.A. e, dall'altro, invece, si prestano a garanzia dei singoli cittadini.

Dott.ssa Lucrezia Menotti