Il c.d. ergastolo ostativo: genesi e tramonto di un istituto incostituzionale

01.06.2022

"Perché ogni pena non sia la violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, deve essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi."

(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764)

Nel nostro ordinamento penitenziario esiste una norma nata negli anni più bui della storia  italiana, quando il Paese era attraversato da una lotta alla criminalità organizzata ed eversiva particolarmente violenta.

Nel 1991, infatti, viene introdotto l'art. 4 bis ord. penit., il c.d. ergastolo ostativo, con l'obiettivo di riuscire a spronare gli autori di determinati delitti a collaborare con la giustizia.

Un istituto che ha fatto molto discutere e che tutt'ora è al centro di un importante tentativo di riforma, poiché si presenta come manifestazione più afflittiva dell'ergastolo "normale", ex art. 22 c.p..

Infatti, quest'ultimo si caratterizza per essere, sì, una pena perpetua, ma con la possibilità per il condannato di ottenere benefici penitenziari rispondenti al principio cardine di rieducazione ex art. art. 27 co. 3 Cost.

Il condannato all'ergastolo, infatti, trascorsi 26 anni di pena, potrà fare richiesta di ammissione al lavoro all'esterno, di permessi premio e della liberazione anticipata.

Proprio sull'impossibilità di concedere tali benefici, invece, si incardina l'ergastolo ostativo: l'art. 4 bis ord. penit. prevede, infatti, che essi non possano essere concessi in tutti quei casi in cui il condannato, non collaborante, si sia reso responsabile di delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di associazione mafiosa, delitti concernenti le disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, etc.

Si parla di "presunzione legale assoluta di pericolosità sociale", fondata esclusivamente sul titolo di reato commesso, tale da rendere il detenuto o internato incompatibile con qualsiasi modalità di risocializzazione extramuraria, salvo, come abbiamo visto, il caso in cui egli collabori con la giustizia.

A tale regola generale, fanno eccezione le due ipotesi di collaborazione irrilevante, di matrice normativa, e di collaborazione impossibile, di matrice giurisprudenziale.

Qualora la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante oppure l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, renda comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, i benefici potranno essere concessi, purché siano stati "acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva".

Di fronte a tale previsione, numerosi sono stati gli interventi giurisprudenziali e dottrinali in punto di legittimità costituzionale.

L'ergastolo ostativo, infatti, frustrando la finalità rieducativa della pena, sin da subito ha contrastato con quel valore supercostituzionale e giuridicamente sempre più rilevante a livello nazionale, europeo e internazionale, che è costituito dalla dignità della persona, presupposto e fonte di inderogabilità sia dell'art. 27, co. 3, Cost., sia dell'art. 3 della CEDU.

Il collegamento tra dignità e finalità rieducativa della pena è rafforzato dal principio di uguaglianza sostanziale, che obbliga lo Stato a prevedere strumenti idonei ad assicurare a tutti i consociati pari opportunità di realizzazione personale.

Da qui prende avvio il lunghissimo percorso che si sta per concludere in Parlamento con la riforma dell'ergastolo ostativo.

In particolare, la Corte Costituzionale, con l'ordinanza 97/2021, all'esito di un giudizio incidentale circa la disciplina dell'art. 4 bis ord. penit. con particolare riferimento alla liberazione condizionale, ha rilevato nuovamente i profili di incostituzionalità nella normativa censurata e - secondo uno schema ormai collaudato in tema di suicidio assistito (ord. 207/2018) e diffamazione a mezzo stampa (ord. 132/2020) - ha rinviato la trattazione delle questioni per concedere al Parlamento "un congruo tempo per affrontare la materia", riservandosi il compito "di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte".

L'udienza per la nuova discussione davanti alla Corte costituzionale è fissata per il prossimo 8 novembre (concedendo, così, una proroga rispetto al termine previamente fissato al 22 maggio).

La proposta di legge

Alla stregua delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e nel tentativo di aderire ai principi costituzionali e sovranazionali, il Parlamento ha, dunque, iniziato questo iter legislativo.

Le modifiche più rilevanti riguardano il comma 1 bis dell'art. 4 bis ord. penit., il quale verrebbe interamente sostituito da una disciplina maggiormente conforme al dettato costituzionale.

Specificatamente, si dispone che i benefici contemplati dal comma 1 della norma, e cioè l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (così come la concessione delle attenuanti di cui all'art. 323 bis c.p.) potranno essere concessi anche ai detenuti e agli internati che non collaborino con la giustizia, a condizione che:

  • tengano una condotta carceraria regolare;
  • partecipino al percorso rieducativo;
  • dimostrino di avere adempiuto alle obbligazioni civili e alle riparazioni di tipo pecuniario conseguenti al reato (o l'impossibilità di provvedervi);
  • sia dimostrata la dissociazione rispetto all'organizzazione criminale di appartenenza tale da escludere la persistenza di collegamenti con l'attività criminale, eversiva o terroristica di provenienza così come con il contesto in cui il reato è stato commesso o il pericolo di riprendere collegamenti anche indiretti e con terzi, in considerazione delle condizioni personali e ambientali del detenuto

Al comma 2 del medesimo articolo, si propone di inserire nuove disposizioni in cui si specifica che il giudice, prima di decidere sull'istanza per la concessione dei benefici, deve chiedere il parere del PM presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, in caso di condanna per i reati di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p del PM presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Si chiede, inoltre, che il giudice, nell'assumere la decisione circa la concessione dei benefici, acquisisca informazioni circa il detenuto o internato dalla direzione dell'istituto in cui egli si trova e che siano disposti, nei suoi confronti, nei confronti degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti di vario tipo.

Nell'ipotesi in cui da suddetti accertamenti emergano però collegamenti del soggetto con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, o sussiste il pericolo del ripristino di tali collegamenti, il condannato è onerato dal fornire prove contrarie al riguardo.

Infine, la proposta di riforma contempla la possibilità per i condannati per i delitti indicati nella norma di accedere anche alla liberazione condizionale qualora ricorrano i presupposti ex art. art. 4-bis co. 2, 2 bis e ter ord. Penit.

A che punto siamo dell'iter legislativo?

Dopo varie proposte, il 31 marzo scorso la Camera ha approvato il testo, risultante dall'unificazione dei d.d.l. 1951, 3106, 3184 e 3315.

Il testo è stato quindi trasmesso per l'approvazione definitiva al Senato e il 6 aprile scorso è stato assegnato alla Commissione giustizia.

A fronte di tali tempistiche ed essendo stata fissata al 22 maggio 2022 l'udienza di discussione del testo innanzi alla Corte costituzionale, la Presidenza del Consiglio ha avanzato istanza di rinvio della trattazione delle questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul c.d. regime ostativo ex art. 4-bis ord. Penit., per poter completare i lavori.

La Corte Costituzionale, ribadendo la necessità dell'intervento normativo sul punto, ha rinviato tale udienza all'8 novembre 2022.

Dott.ssa Alice Lambicchi