Il caso Djokovic

06.03.2022

Il caso Djokovic, non è solo una questione sportiva. Nonostante abbia lasciato con il fiato sospeso il mondo dello sport da un lato e quello del diritto dall'altro, alla fine ha avuto un epilogo elucubrato.

La grottesca vicenda del numero 1 nel mondo del Tennis, ha permesso nella sua vicenda esecranda di evidenziare uno Stato di diritto, che sul punto di decidere in merito all'applicazione della rule of the law, si è pavimentato alquanto tignoso.

Fattispecie senza precedenti, il silenzio dell'attesa del verdetto presentava i tratti tipici di un rumore assordante.

Le regole ed i dinieghi posti in essere in rapporto all'avvento pandemico, e pertanto, risultati speciosi anche nella sua comprensione e tollerabilità, hanno fatto presto ad indietreggiare a lasciare il posto alla Legge.

Alla fine hanno prevalso le regole dello Stato (più rigide) rispetto a quelle dello sport.

Forse non tutti ricordiamo che l'acquisizione della eguaglianza di fronte alla legge è recente rispetto alla storia umana. Fino alla Rivoluzione francese la società era divisa in classi e la legge era eguale soltanto all'interno della classe. Cioè esistevano leggi diverse per i nobili, gli ecclesiastici, i militari e poi c'era la legge per tutti gli altri.

È vero che già Aristotele aveva parlato di isonomia, cioè di eguaglianza della legge per natura, ma soltanto all'interno di una classe.

Ecco il punto giuridico.

Il segnale che proviene dalla Corte dello Stato di Victoria è molto chiaro: l'emergenza pandemica non cancella le garanzie minime cui ogni individuo ha diritto a godere.

Onere della prova a carico dell'accusa e diritto di difesa sono i principi racchiusi nell'Habeas corpus act, la prima costituzione garantista del 1700, patrimonio delle società democratiche da circa trecento anni.

Nonostante il campione avesse rabbecciato, aggirando le Leggi astraliane con un potenziale contatto il Covdi19 nei mesi precedenti, che le avrebbero garantito l'esenzione vaccinale; emerge uno dei primi punti giuridici richiamati.

Sotto l'aspetto processuale, merita di essere attenzionato la revoca del visto a Djokovic ipso iure e la possibilità concessa incipit dal giudice di Melbourne di rimanere nel territorio australiano.

Accade che l'autorità consolare ha ritenuto che Djokovic possedesse i requisiti necessari per competere gli Australian open, tuttavia il potere discrezionale esercitato dal Ministro dell'immigrazione Sez 133 C, ha revocato il visto "per motivi di salute sulla base dell'interesse pubblico".

Un ulteriore aspetto giuridico è legato allo Stato di diritto ed al suo ruolo.

Nei rapporti con gli altri Stati, ogni Stato nella sua singolarità gode del potere giuridico esclusivo di decidere quali leggi lo costituiscono e l'applicabilità delle stesse; tra queste anche quella, appunto, di decidere l'accesso o l'espulsione di un cittadino straniero dal proprio territorio.

L'ultimo punto che il caso Djokovic mette in risalto è quello che riguarda la sfera dei diritti umani, ovvero il trattamento dello straniero e del suo quanto mai potenziale per Communis opinio "trattamento paritario.

La detenzione era cautelare pertanto le sue condizioni detentive sarebbero dovute essere egualitarie a quelle del cittadino nazionale o comunque dello stato ospitante.

La violazione della dignità emersa, tuttavia, non si è palesata come un diniego all'applicazione della normativa Covid, né quella soprattutto stabilita dalla normativa australiana.

L'Australia omnia divisa est in partes septem: ci sono i sette Stati e poi c'è lo Stato federale, che ha competenze sia esclusive, sia in concorrenza con i componenti la federazione. In via esclusiva, controlla gli ingressi nel Paese

Alla fine, dopo che politici locali, statali, e pure il primo ministro del Commonwealth Scott Morrison hanno sentito il bisogno di pronunciarsi sul caso Djokovic, ribadendo il fatto che nessuno è al di sopra della legge né può ottenere privilegi rispetto a qualunque altro individuo

Novak ha potuto scegliere: vaccinarsi o no. E ha scelto. Ma pure l'Australia, come il resto del mondo, ha scelto. Perché un conto è sostenere di non aver potuto fare l'ultima dose; altro è non essersi mai vaccinati - come nel suo caso - perché si è contrari alla pratica. E se si è contrari a una profilassi che lo Stato ospite ritiene fondamentale per la protezione pubblica, tocca affrontarne le conseguenze.

Letta in controluce questa vicenda ci dimostra anche che la legge deve essere eguale per tutti, in un mondo in cui abbiamo sempre più diseguaglianze e privilegi.

Avv. Francesca Polimeni