Il danno tanatologico

16.01.2023

Una delle categorie che ha risentito maggiormente dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale è, senza dubbio, quella del danno non patrimoniale: una tipologia di danno che non spiega effetti negativi sul patrimonio del soggetto leso, ma la lesione di interessi tutelati dal nostro ordinamento non suscettibili di valutazione economica.

A livello normativo, trova la propria disciplina, seppur scarna, nell'articolo 2059 c.c, il quale dispone che: "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge".

Vista la scarsità di informazioni che la norma propone, non appare impensabile che il danno non patrimoniale sia stato oggetto di numerose interpretazioni, circa la sua risarcibilità, da parte della dottrina e della giurisprudenza ed, infatti, mentre nel codice del 1985 era prevista la possibilità di ottenere un risarcimento per il danno non patrimoniale, nel codice attuale vige in generale un principio di irrisarcibilità fondato sull'assunto tradizionale che il diritto civile sia posto a tutela di interessi economici.

Al contrario, la legge, riconoscerebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da un reato perchè è il diritto penale, che tutela i valori sociali violati da un fatto antigiuridico, e proprio quei valori, tramite la norma penale, devono essere riparati.

Questa concezione, in realtà, è cambiata perchè sono emersi nel tempo molti valori legati alla persona e, ovviamente, ciò ha suscitato la necessità di rendere risarcibile anche il danno non patrimoniale in modo da non lasciare prive di tutela le lesioni dei diritti fondamentali dell' individuo.

La categoria in esame, è comprensiva di numerose ipotesi di danno, ma, storicamente parlando, la più risalente, nonché la più nota è quella del danno biologico (o anche "danno all'integrità psico-fisica") a cui nel tempo è andato ad aggiungersi il danno esistenziale, il danno alla vita di relazione, ed in ultimo, il danno tanatologico.

Il danno tanatologico, ad oggi, assume sempre più rilevanza nel nostro ordinamento soprattutto vista la sua particolarità e le numerose ricostruzioni che la Giurisprudenza ci propone.

Il fondamento di tale danno, si può rinvenire oltre che nel codice civile, nell'art.2059 c.c., anche negli artt. 2 e 32 Cost, nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, nel Patto Internazionale sui diritti civili e politici e nella CEDU.

Le maggiori problematiche che vengono in rilievo circa il danno tanatologico sono relative alla risarcibilità, perchè nel caso in questione, ovviamente, la parte lesa si assume essere proprio il soggetto defunto e per questo motivo dovrebbe essere anche la persona in capo alla quale sorgerebbe il diritto al risarcimento per la perdita del bene supremo riconosciuto dall'art.2 della Costituzione.

Tuttavia, la Suprema Corte in svariate pronunce, nega che in capo ad un soggetto ormai defunto possa instaurarsi un diritto risarcitorio in quanto l'evento morte, farebbe venir meno la capacità giuridica necessaria per acquistare il diritto e trasmetterlo successivamente agli eredi, motivo per cui, i familiari in tali casi potrebbero avere diritto solamente ad un risarcimento per danno da perdita del rapporto parentale.

Proprio relativamente all'evoluzione giurisprudenziale dell'istituto, la sentenza n.1361 del 2014, ha fatto storia, in quanto si afferma in essa che, all'evento morte, debba seguire la lesione del bene supremo della vita e, quindi, questa stessa lesione sarebbe in grado di far sorgere in capo al soggetto, nel momento esatto della morte, il diritto ad ottenere un risarcimento del danno per la perdita della vita.

Lo stesso diritto verrebbe, poi, trasmesso agli eredi iure hereditatis in quanto la perdita della vita rappresenterebbe un diritto assoluto ed inviolabile, pertanto suscettibile ad essere risarcito.

La sentenza appena citata ha avuto ovviamente un effetto dirompente in quanto tutti gli orientamenti giurisprudenziali precedenti erano indirizzati verso l'impossibilità di risarcire agli eredi il danno tanatologico.

Nel 2015, tuttavia, la Suprema Corte, ha modificato orientamento e con la sentenza n.15350[1] del 22 luglio 2015, viene riaffermato il precedente orientamento secondo il quale il danno tanatologico non è suscettibile di maturarsi nella sfera giuridica del defunto per venire poi trasmesso agli eredi.

Nella sentenza de qua, infatti, le Sezioni Unite, utilizzano un celeberrimo passo tratto dal capolavoro di Epicuro "Lettera sulla felicità a Meneceo", per poter far comprendere il motivo per cui il danno tanatologico non può essere suscettibile di risarcimento:

"La morte non è nulla per noi, perchè quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi." (Epicuro)

Ciò posto, quindi, si afferma in essa che il bene vita può essere tutelato solo finchè il soggetto esiste, perciò, pur considerando i diritti che sorgono in capo ai congiunti, nel momento in cui la persona cessa di esistere, il bene vita non potrà più essere oggetto di tutela perchè lo stesso soggetto in capo a cui sorge il diritto non esisterebbe più e, pertanto, verrebbe meno anche la sua capacità giuridica.

In relazione alla liquidazione del danno in oggetto, non appare di facile definizione; esistono infatti dei parametri specifici di cui il Giudice dovrà tenere conto nella quantificazione, primo tra tutti la sofferenza patita dalla vittima anche in relazione alla durata temporale.

Dott.ssa Martina Carosi


[1] la pronuncia in questione riguarda solamente i casi di morte immediata, cioè, quei casi in cui l'evento morte si è verificato nell'immediatezza del fatto lesivo; per i casi, in cui, invece, la morte sopraggiunge dopo diverso tempo, non si potrà parlare di danno tanatologico, ma verrà utilizzato un criterio di quantificazione del danno completamente diverso, che andrà a tenere conto del periodo più o meno breve di agonia del soggetto venendo, pertanto liquidato o come "danno morale" o come "danno biologico terminale" o ancora come "danno catastrofale".