Il diritto penale tra scelte tragiche dei sanitari e responsabilità medica
L'emergenza sanitaria dovuta all'epidemia di Covid-19 non ha comportato unicamente delle sfide sanitarie, sociali ed economiche, ma ha riportato alla luce le problematicità della disciplina penalistica della responsabilità medica.
Infatti, soprattutto nella prima fase della pandemia, la velocissima diffusione del virus ha fin da subito evidenziato la limitatezza e l'inadeguatezza delle risorse strutturali, organizzative e umane dei nostri ospedali (sia in termini di personale medico specializzato sia in termini di organico, con la conseguenza di turni di lavoro massacranti).
Innanzi a tali deficit, il personale medico si è trovato, spesso, di fronte alla tragica decisione su chi curare e chi escludere dai trattamenti, nell'assoluta mancanza di linee guida e buone pratiche per la cura del Covid-19.
Tale circostanza di assenza di linee guida e buone pratiche si rivelò subito come criticità - anche - giuridica. Nel nostro Ordinamento, infatti, è codificata una specifica causa di esclusione della punibilità mirata a tutelare - in parte - gli operatori sanitari nell'esercizio di una professione notoriamente rischiosa in termini di lesioni colpose e omicidio colposo.
L'art. 590 sexies co. 2 c.p. prevede un esonero di responsabilità per colpa dell'operatore sanitario, subordinato a una serie di requisiti e circostanze, individuate sia dalla lettera della legge sia dall'interpretazione giurisprudenziale in materia (tra tutte, la sentenza Mariotti del 2018). L'esonero è:
a) circoscritto alle fattispecie di omicidio e lesioni colposi;
b) limitato alle sole ipotesi di imperizia non grave, riferibile all'atto esecutivo;
c) ancorato al rispetto di linee guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali consolidate; d) subordinato a un preventivo vaglio di adeguatezza delle raccomandazioni alle specificità del caso concreto.
Ebbene, la ristrettissima area di non punibilità colposa codificata appariva inidonea per fronteggiare le contingenze emergenziali nelle quali il personale sanitario era stato chiamato a operare nel contrasto al Covid-19: non sussistevano linee guida sufficientemente accreditate o pratiche consolidate a cui legare il giudizio di rimproverabilità; i turni massacranti e l'utilizzo di personale non qualificato comportavano la necessità di poter estendere le ipotesi di colpa non punibile anche e soprattutto agli episodi di negligenza o di imprudenza non gravi; soprattutto nella prima fase della pandemia, era evidente la necessità di esonerare dalla colpa gli operatori anche per altri reati, ad esempio l'epidemia colposa causata dalla mancanza di mezzi di protezione individuale.
Pur muovendo da questa consapevolezza, resa nota sia dal personale sanitario sia dagli studiosi del diritto, non si riuscì a giungere a nessun intervento normativo tempestivo sul punto per tutto il primo anno di pandemia. Si cercò, nel contempo, di allentare le maglie di figure scriminanti già esistenti nel nostro Ordinamento, in modo da poterle modellare sulle contingenze pandemiche, ma fin da subito tali tentativi risultarono inadeguati[1].
Il tanto atteso "scudo penale"[2] per i sanitari arrivò solamente con l'introduzione degli artt. 3 (esimente ad hoc per i delitti di omicidio e lesioni personali colposi da somministrazione del vaccino anti covid 19, di cui non si tratterà nel presente articolo) e 3 bis d.l. n. 44 del 2021[3]- introdotto ad opera della legge di conversione n. 76 (maggio 2021) -, il quale recepisce quasi in toto le criticità suddette: la causa di esclusione della punibilità venne estesa alle ipotesi di colpa "non grave" di qualsiasi matrice e quindi dovuta anche a negligenza e imprudenza per i fatti di omicidio e lesioni, purché causalmente riconducibili al contesto emergenziale.
Tale riferimento allo stato di emergenza assume rilevanza su due diversi fronti: uno temporale e uno causale. Da un lato rivela la natura temporanea della norma, che ha trovato applicazione "durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19". Dunque, fino al 31 marzo 2022. Trattandosi di norma di favor rei, essa è stata applicata anche ai fatti commessi, sempre nel periodo emergenziale, prima dell'entrata in vigore del decreto. Tra l'altro, giova sottolineare che in tema di successioni di leggi penali nel tempo, a prescindere dal loro carattere eccezionale o meno, la giurisprudenza ritiene che "a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta"[4].
Il riferimento, invece, alla connessione causale tra gli eventi di cui agli artt. 589 e 590 c.p. e la situazione emergenziale consente di ricomprendere all'interno dei confini dell'art. 3 bis non solo gli eventi relativi a patologie Covid-correlate, ma anche quelli relativi a patologie non Covid-correlate.
Infine, il Legislatore fornisce al giudice indicazioni e criteri, non esaustivi e quindi integrabili, per la valutazione della colpevolezza e dell'eventuale grado di colpa.
Ebbene, scampato il pericolo di "ingiuste" condanne, con il termine dello stato di emergenza (31 marzo 2022), tale disposizione cesserà di essere applicata per tutte le condotte colpose poste in essere a far data dall'1 aprile 2022.
Dott.ssa Alice Lambicchi
[1] Per esempio, lo stato di necessità ex art. 54 c.p. o l'adempimento di un dovere ex art. 51 c.p.
[2] Espressione, in realtà, impropria poiché evoca l'istituto dell'amnistia preventiva, che nulla ha a che fare, invece, con la ricerca di equilibrio tra il regime di responsabilità penale e le contingenze emergenziali.
[3] "Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell'esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave.
2. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonchè della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza."
[4] Cass., Sez. un., 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40986