Il principio del consenso traslativo 

02.05.2022

In ambito contrattuale il consenso espresso dai contraenti può assumere diversa rilevanza a seconda della tipologia di negozio che gli stessi intendano concludere.

Il nostro Codice civile, infatti, sulla scia dell'influenza del Codice Napoleonico distingue tra contratti reali e contratti consensuali a seconda che il momento perfezionativo del negozio si faccia ricondurre alla consegna materiale della res ovvero al momento del consenso espresso dalle parti.

Con riferimento agli effetti prodotti dal contratto nella sfera giuridica dei contraenti, invece, l'art. 1376 c.c., statuisce che nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o la costituzione o il trasferimento di un diritto, il consenso legittimamente manifestato dai contraenti rappresenti il momento a partire dal quale, oltre a perfezionarsi il negozio, se ne trasferiscano anche gli effetti pattuiti.

La regola dell'efficacia reale del contratto consensuale oggi vigente nel nostro panorama normativo è ispirata ad una logica di celerità degli scambi, si differenzia da quanto previamente previsto in epoca romana dove i contratti traslativi erano concepiti come contratti essenzialmente obbligatori, per cui il trasferimento del diritto di proprietà, nonché la costituzione di diritti reali sui beni, non conseguivano all'atto consensuale, ma necessitavano di un ulteriore atto negoziale traslativo.

Questa logica è tuttora presente nell'ordinamento tedesco nel quale esiste uno scorporo tra titulus e modus adquirendi non svolgendo il consenso un effetto traslativo, bensì obbligando solo il venditore a consegnare al compratore la cosa e a fargli acquistare la proprietà attraverso un atto di trasferimento successivo.

Le differenze in punto di diritto sono molteplici rispetto alla vendita come intesa all'art. 1470 del nostro Codice civile.

Se da un lato, infatti, nella vendita obbligatoria tedesca il mero consenso non fa sorgere in capo all'acquirente alcun diritto immediato sulla res, ma solo un'aspettativa giuridicamente tutelata di acquisto futuro, dall'altro lato, invece, il principio del consenso traslativo comporta il trasferimento immediato della proprietà in capo all'acquirente con tutte le relative conseguenze anche svantaggiose che ciò comporta.

Dopo il passaggio della proprietà, infatti, il rischio di un eventuale perimento della cosa grava sull'acquirente che sarà tenuto al pagamento del prezzo anche se il bene non gli venisse consegnato, perchè perito per causa non imputabile all'alienante.

La regola del consenso traslativo subisce un temperamento in tutti quei casi in cui l'oggetto della vendita presenti caratteristiche tali da non consentire un immediato effetto traslativo al momento del consenso; si pensi all'ipotesi della vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c. che prevede che l'acquisto della proprietà in capo al compratore si verifichi non appena la cosa venga ad esistenza o l'art. 1478 c.c. che in caso di vendita di cosa dichiaratamente altrui fa scaturire gli effetti reali dal momento dell'acquisto della cosa dal proprietario da parte del venditore promittente.

Anche in questi casi, però, è ben evidente la differenza rispetto alla vendita obbligatoria tedesca: la capacità traslativa potrà anche essere differita ad un momento successivo, ma rimarrà sempre all'interno dell'atto originale di compravendita non richiedendo un atto successivo per la sua realizzazione.

La codificazione del principio del consenso traslativo all'art. 1376 c.c. ha fatto ritenere, per lungo tempo, incompatibili nel nostro ordinamento tutte quelle pattuizioni con cui le parti intendessero scindere il momento perfezionativo del contratto dal trasferimento della proprietà ricollegando questo ultimo all'adempimento.

Si riteneva, infatti, che il c.d. pagamento traslativo non fosse ammissibile in quanto negozio astratto privo di giustificazione causale e violativo del principio inderogabile di cui all'art. 1376 c.c.

Tale concezione cominciò a mutare all'indomani dell'accoglimento della teoria della causa in concreto che, ponendo l'attenzione sugli interessi individuali concretamente perseguiti dalle parti, riconobbe la possibilità per le stesse di pattuire un adempimento traslativo scindendo l'effetto reale dall'accordo contrattuale originario.

Ne discende come il principio causalistico possa talvolta porsi come deroga alla regola generale del consenso traslativo laddove le parti abbiano interesse a pattuire prestazioni isolate che apparentemente risultino prive di causa, ma in realtà rinvengano la loro giustificazione causale in una fonte esterna.

Anche in questi casi, però, ad assumere rilievo determinante è il consenso legittimamente manifestato dalle parti all'intera operazione negoziale, essendo il contratto un incontro di reciproche manifestazioni di volontà in grado di produrre effetti nella sfera giuridica dei contraenti.

Questa considerazione impone di verificare se sia possibile per i contraenti concludere contratti i cui effetti reali si producano nella sfera giuridica di un terzo estraneo alla pattuizione.

Come sancito dall'art. 1372 co 2 c.c., nel nostro ordinamento vige il principio di relatività secondo il quale il contratto non può produrre effetti erga omnes, ma solo nei confronti dei soggetti che hanno preso parte alla pattuizione, salvo i casi previsti dalla legge.

Da tale principio ne consegue quello logicamente conseguente di intangibilità della sfera giuridica altrui, secondo il quale, in virtù della garanzia di libertà di autodeterminazione contrattuale, nessun soggetto può subire incisioni nella sua sfera giuridica senza che abbia preventivamente dato il proprio consenso.

A conferma di tale principio il Codice civile prevede due norme volte ad escludere espressamente che il contratto possa produrre effetti nei confronti dei terzi, ossia l'art. 1379 e l'art. 1381 c.c.

In particolare, la prima norma limita alle sole parti gli effetti di un divieto di alienare stabilito contrattualmente, mentre la seconda disciplina la promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo, regolata prevedendo che colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto del terzo sia tenuto ad indennizzare l'altro contraente nel caso in cui il terzo rifiuti di obbligarsi o non compia il fatto promesso.

Lo stesso art. 1372 c.c., però, riconosce la possibilità per il legislatore di derogare espressamente al principio di relatività degli effetti contrattuali.

Il codice, infatti, prevede alcuni negozi, tra cui in primis l'art. 1411 rubricato contratto a favore di terzo, che consentono alle parti di accordarsi al fine di far ricadere gli effetti giuridici diretti e immediati del contratto nella sfera giuridica di un terzo che non abbia preso parte alla pattuizione né in senso formale né in senso sostanziale.

Tutti questi contratti hanno in comune il fatto di essere diretti a realizzare solo modifiche favorevoli nella sfera giuridica del terzo, dando comunque allo stesso la possibilità di rifiutarli in un secondo momento.

Solo in questo caso, infatti, si ammette la possibilità di incidere sulla sfera giuridica di un terzo in deroga al principio di relatività.

Giova precisare che secondo un primo orientamento il contratto a favore di terzo sarebbe possibile solo laddove volto a produrre effetti obbligatori e non reali nella sfera giuridica del soggetto estraneo alla contrattazione.

Proprio facendo leva sul principio ex 1376 c.c. si ritiene che la richiesta del legislatore di un consenso legittimamente manifestato al fine del prodursi degli effetti reali escluda l'efficacia traslativa del contratto a favore di un soggetto che non manifesti il proprio consenso all'acquisto.

Si sostiene, inoltre, che l'acquisto di un diritto reale possa comportare effetti indirettamente sfavorevoli in capo al terzo, quali il pagamento di oneri di custodia o di gestione, che non renderebbero possibile la deroga al principio di relatività.

Secondo l'opinione maggioritaria in giurisprudenza, però, può affermarsi in generale la possibilità di un contratto a favore di terzo anche ad effetti reali sebbene produttivi di effetti indirettamente sfavorevoli, in quanto l'esistenza di eventuali oneri in capo al terzo non escluderebbe comunque il vantaggio diretto della pattuizione, salvo eventualmente la possibilità del terzo di rifiutare di profittare del negozio laddove non lo ritenga complessivamente conveniente.

A porsi in modo incompatibile con il principio del consenso traslativo, invece, sarebbe il contratto dal quale scaturiscano effetti direttamente negativi in capo al terzo, in quanto in tale ipotesi verrebbe in rilievo una nullità per causa o motivo illecito ovvero per contrarietà all'ordine pubblico.

Siffatta tipologia di contratti vengono definiti dalla dottrina come contratti in frode o in danno dei terzi e ritenuti illeciti e produttivi di danni risarcibili ex 2043 c.c.

Contratti di questo tipo non possono giustificare una deroga al principio di relatività ex 1376 c.c. né a fronte di un contratto ad effetti obbligatori né, tantomeno, ad effetti reali.

Avv. Giulia Solenni