Il reato e le sue teorie, con riferimenti al principio di offensività e di frammentarietà

26.04.2023

Il diritto penale è una branca del diritto connotata da una molteplicità di principi che consentono di porre basi solide alla materia, nonché un'evoluzione improntata al rispetto dei valori fondanti.

Innanzitutto, tale settore presenta il carattere della sussidiarietà perché le regolamentazioni e le sanzioni che porta con sé costituiscono un'extrema ratio, applicabili quindi nel caso in cui le fattispecie già disciplinate non siano idonee nè sufficienti a contrastare determinati fatti. 

La materia penalistica ha subito, in costanza anche dell'evoluzione sociale e del sentire dei consociati, innumerevoli interventi e modificazioni sia nella percezione del reato che nella regolamentazione di ciò che effettivamente possa essere valutato come tale. 

Epicentro delle considerazioni fin qui portate avanti è, senza dubbio, il concetto di fatto-reato nonché dei valori, caratterizzanti la materia, che vi ruotano attorno ed il connubio delle diverse teorie, dottrinali e giurisprudenziali, che hanno portato ad elaborazioni riguardanti, soprattutto, il concetto di bene giuridico meritevole di tutela che la norma penale intende proteggere.

In particolare, è proprio sulla connotazione di tale bene che si è visto l'alternarsi di quattro distinte fasi: una giusnaturalistica, in cui la definizione di bene veniva in rilievo in un momento antecedente alla sua concettualizzazione da parte del legislatore; una connotazione di tipo liberale ed ancora una assolutistica, in cui veniva protetto e classificato come bene giuridico suscettibile di lesione quello che il regime avvertiva come tale. Infine, si è giunti ad un approdo formalistico dove il legislatore, in osservanza soprattutto dei beni che hanno valenza costituzionale, identifica - grazie alla costruzione di una norma incriminatrice - ciò che costituisce un bene da tutelare. 

Diverse sono state le osservazioni che si sono susseguite in merito al ruolo che la Costituzione dovesse assumere nella definizione di bene giuridico; tra queste vi era chi sosteneva che il bene dovesse discendere esclusivamente da una protezione costituzionalmente imposta e chi, invece, affermava la necessità di contemperare la presenza del dettato costituzionale al "sentire sociale". 

Quest'ultima, come poc'anzi esposto, ha rappresentato la teoria che si è diffusa nel nostro ordinamento. Infatti, le valutazioni del fatto-reato e conseguentemente di bene giuridico sono in costante divenire, grazie anche all'apporto che sia il principio di frammentarietà che di offensività danno alla materia de quo. Tali principi risentendo dei mutamenti sociali permettono di ampliare o restringere la categoria dei reati (si pensi alle depenalizzazioni) o di offesa a beni giuridici. Ed è proprio questo che caratterizza il principio di frammentarietà come pluralità di fatti-reati a cui corrisponde una pluralità di sanzioni, che non vengono trattate genericamente.

Tuttavia, nonostante nel nostro ordinamento sia stata preferita una concezione formalistica è chiaro che nella valutazione delle condotte, soprattutto a livello sovranazionale, sarà necessario interfacciarsi con concezioni di tipo sostanzialistico.

Venendo ora alla disamina del principio di frammentarietà, si afferma come questo rilevi sotto l'aspetto della molteplicità di fatti che possono essere considerati come reato ed a cui sono associate delle sanzioni. Il nostro sistema non è infatti caratterizzato da una serie unitaria e generalizzata di condotte punibili bensì da una molteplicità di fatti effettivamente o potenzialmente lesivi che il legislatore – tramite la previsione di una norma incriminatrice - valuta come contrari ai valori che l'ordinamento protegge, inglobandoli e circoscrivendoli nella fattispecie dei reati. 

Invero, la valutazione dell'accadimento come offensivo avviene grazie anche al sistema sanzionatorio che prevede la pena da comminare.

Più complesso appare, invece, il principio di offensività, il quale - pur non trovando espressa regolamentazione né all'interno della nostra Carta Costituzionale né all'interno del codice penale – può essere desunto dalla lettura degli artt. 2, 25 e 27 della Costituzione nonché dall'art. 49 co. 2 c.p.. Specificamente, quest'ultimo escludendo la punibilità del fatto inidoneo a provocare l'evento dannoso o pericoloso rimarca ancor più il punto focale del concetto di offensività, che è dunque strettamente correlato a quello di punibilità.

L'elaborazione del principio de quo – profondamente collegato sia a quello di tassatività che di legalità - porta con sé l'esigenza per cui affinché vi sia una fattispecie qualificabile come reato debba necessariamente esservi la lesione di un bene giuridico. 

Qui ruolo centrale assume la concezione di bene, il quale deve essere meritevole di tutela e assurgere, come sopra accennato, ad un bene di rilevanza costituzionale che, a sua volta, può essere soggetto ad evoluzioni od involuzioni sulla base della percezione che ne ha la società. 

È proprio sulla base del sentire esterno che un fatto considerato antecedentemente come reato può subire una degradazione ad illecito civile od amministrativo oppure entrare nel novero dei reati. I beni possono, sulla scorta dei soggetti che ne sono titolari, essere distinti in individuali e collettivi, dove i primi appartengono al singolo (ne è un esempio la libertà sessuale) mentre i secondi (quali l'ordine pubblico e l'incolumità) sono riferibili ad una cerchia indeterminata di soggetti.

La valutazione del bene come giuridicamente protetto consente altresì all'agente di conoscere e comprendere - sulla scorta del principio di prevedibilità - quali conseguenze potrà produrre l'offesa o la possibile lesione apportata ad un determinato bene. Non solo, talvolta il legislatore, proprio sulla base del principio di offensività, sarà chiamato ad operare un bilanciamento tra le azioni che possono condurre ad un nocumento del bene ed i diritti che l'azione lesiva tende a preservare; non a caso il nostro legislatore ha introdotto le c.d. cause di giustificazione, le quali – in virtù del principio di non contraddizione - dovranno essere previste anche dalle altre branche del diritto, esterne a quello penale.

A questo punto, appare doveroso valutare in che termini i reati lesivi dei beni giuridici possano qualificarsi.

Il codice penale prevede ipotesi di reati complessi, quale ad esempio la rapina ex art. 628 c.p.; plurioffensivi come la calunnia ex art. 368 c.p. ed infine monoffensivi, quali le lesioni all'art. 582 c.p. e l'omicidio all'art. 575 c.p.. Peraltro, il momento in cui si verifica l'offesa determina un'ulteriore distinzione tra reati di danno, in cui il reo viene punito solo in relazione all'effettiva produzione dell'offesa e quindi alla reale produzione della lesione ed i reati di pericolo che, invece, si caratterizzano per un'anticipazione della tutela, a cui consegue la relativa punizione. In riferimento a quest'ultimi, infatti, ciò che assume rilevanza è il fatto che il bene non viene leso ma semplicemente messo in pericolo. Le fattispecie delittuose di cui trattasi a loro volta si differenziano in reati di pericolo concreto ed astratto. La prima categoria – a cui appartengono, ad esempio, il reato di strage ex art. 422 c.p. ed il reato di incendio ex art. 423 c.p. - è caratterizzata da un alto grado di probabilità circa il verificarsi del fatto dannoso. Il giudice sarà allora chiamato – caso per caso - ad effettuare un accertamento in merito al prodursi dell'evento. Al contrario, nei reati di pericolo astratto, di cui ne è esempio quello di omissione di soccorso, la considerazione della pericolosità è già insita nella norma, non rappresentando il pericolo elemento costitutivo del fatto.

Ora, dopo aver analizzato i principi che hanno contribuito alla caratterizzazione del fatto reato è opportuno soffermarsi sulla trattazione delle differenti teorie – c.d. bipartita, tripartita e quadripartita - che si sono susseguite in ordine alla sua struttura, le quali hanno altresì sollevato non poche criticità.

Discussa e minoritaria è la teoria quadripartita che porta con sé quattro elementi: il fatto, l'antigiuridicità, la colpevolezza ed infine la punibilità.

Il fatto è l'ante portas del reato costituito da una condotta offensiva, commissiva od omissiva, imputabile al soggetto agente, assoggettabile ad una sanzione penale ed un evento effettivamente o potenzialmente lesivo del bene tutelato.

L'antigiuridicità è invece un elemento indefettibile della struttura del reato ed attiene al piano della violazione dei valori protetti dallo Stato, rappresentando una contraddizione tra ciò che l'ordinamento prescrive e la condotta pregiudizievole. 

Dunque, il giudice sarà chiamato ad individuare la condotta assunta dall'agente e l'eventuale presenza di cause di giustificazione, idonee ad escludere l'illiceità del fatto.

La colpevolezza attiene alla riconducibilità di un determinato fatto alla signoria del soggetto che lo ha posto in essere. Infatti, nel diritto penale la responsabilità derivante da reato, ai sensi dell'art. 27 c.p., è personale ed è attribuibile all'agente che agisce con dolo, colpa o preterintenzione. 

Oggi, in seguito al recente intervento della Cassazione, si considerano come fatti riconducibili alla sfera personalistica anche le ipotesi di responsabilità oggettiva. Inoltre, strettamente interconnesso al concetto di colpevolezza è quello di imputabilità, classificabile in imputabilità fisiologica, psicologica e tossica. Invero, non potrà essere ritenuto perseguibile chi nel momento in cui ha posto in essere la lesione non aveva raggiunto la maggiore età o chi si trovasse nelle condizioni previste dagli artt. 88 s.s. che quindi ne scemino o ne escludano la capacità di intendere e di volere.

Infine, secondo alcuni la punibilità rappresenta un fattore esterno alla struttura mentre, secondo i sostenitori della tesi quadripartita sarebbe lo stesso reato a richiedere la punizione dell'agente. Dunque, se la condotta concretamente posta in essere costituisse illecito penale vi sarebbe assoggettamento ad una sanzione e sulla base della sua gravità il nostro codice penale prevede che questa debba essere bipartita in contravvenzioni, che comportano l'applicazione dell'arresto o dell'ammenda ed in delitti che invece prevedono la pena della reclusione e la sanzione pecuniaria della multa. La considerazione della pena in questi termini consentirebbe anche al giudice di valutare le casistiche in cui vi debba essere la determinazione della sanzione ed invece quelle in cui, nonostante la presenza di una condotta necessitante, la sanzione – seppur necessaria - non debba essere applicata.

Altra teoria inerente alla struttura del reato è quella bipartita, di derivazione italiana, secondo cui il reato si compone di due elementi: uno oggettivo, ossia il fatto reato associato sia al un nesso di causalità che all'evento ed uno soggettivo, cioè il dolo o la colpa. Più complessa è invece la teoria tripartita in cui il reato è composto dal fatto, che è costituito dalla condotta eventualmente accompagnata dal nesso di causalità; dall'antigiuridicità che, come elemento indefettibile della struttura riprende i caratteri sopra esposti per la teoria quadripartita e dalla colpevolezza, nell'accezione fornita dall'art. 42 c.p..

Ad oggi l'elaborazione della tesi tripartita risulta quella di maggiore rilievo, mentre l'elaborazione di quella quadripartita è attribuita ad una corrente minoritaria poiché la considerazione della punibilità come fattore imprescindibile è confutata dallo stesso art. 530 c.p.p., in cui si osserva che il legislatore qualifica come reato anche i fatti che non sono punibili, erodendo quelli che sono i temi a sostegno della quadripartizione.

Dott.ssa Lucrezia Menotti