Imputabilità e infermità mentale. C.Cost. 73/2020

07.07.2021

Nel precedente articolo "Reato doloso o reato colposo?" abbiamo analizzato l'importanza che nell'ordinamento penale assumono i correlati principi di colpevolezza, personalità e proporzionalità. 

Si è osservato, inoltre, che l'attribuzione di un fatto di reato ad un determinato soggetto richiede, la suitas della condotta, ossia la riferibilità del comportamento alla volontà cosciente di colui che lo ha posto in essere.

Ancor prima di valutare l'esistenza dell'elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al reo occorre capire, quindi, se lo stesso abbia agito in modo consapevole, rendendosi conto del disvalore sociale delle proprie azioni; solo una verifica positiva circa l'imputabilità dell'agente giustifica, infatti, l'applicazione allo stesso della pena stabilita per il fatto commesso.

La nozione di imputabilità è definita dall'art. 85 c.p. secondo il quale "non può essere punito colui che al momento del fatto non aveva la capacità di intendere e di volere".

Il concetto di capacità di intendere e di volere, utilizzato anche in ambito civile, esprime la capacità di un soggetto di autodeterminarsi nel tempo e nello spazio in modo lucido e consapevole, risultando padrone delle proprie azioni.

L'imputabilità deve essere valutata in concreto, nel momento in cui effettivamente l'atto è compiuto, non potendo essere intesa in astratto come attitudine solo potenziale a rendersi conto del valore della propria azione.

Non è capace di intendere e di volere, quindi, colui che al momento del fatto, a causa di un'infermità totale o transitoria ovvero a causa della sua minore età, realizzi un fatto in modo completamente incosciente.

Ai sensi degli artt. 88 e ss. si trovano in situazione di incapacità tale da prevedere la non imputabilità il soggetto totalmente infermo, colui che al momento del fatto si trovava in stato di ubriachezza o tossicodipendenza derivata da caso fortuito o forza maggiore ovvero si trovi in stato di intossicazione cronica da alcool o da stupefacenti, il sordomuto che al momento del fatto non era capace di intendere a causa della sua infermità e il minore degli anni 14.

La scelta in questi casi di escludere l'imputabilità si correla perfettamente con i principi di personalità, colpevolezza e proporzionalità della pena che impongono di attribuire i fatti criminosi solo ai soggetti che siano in grado di comprendere il disvalore delle proprie azioni e le conseguenze ad esse connesse.

Riguardo la responsabilità del soggetto non imputabile, però, è da rilevare che la non applicazione della pena non preclude al giudice nel caso concreto, valutata la personalità del soggetto agente, di applicare una misura di sicurezza.

Il fatto che il soggetto non sia imputabile, infatti, non esclude la possibilità che sia socialmente pericoloso, ossia in grado di commettere in futuro altri fatti criminosi.

La pericolosità sociale rappresenta il presupposto imprescindibile, ai sensi dell'art. 202 c.p., per l'applicazione da parte del giudice, anche in caso di proscioglimento del reo, di una misura di sicurezza.

L'art. 207 c.p. prevede che, una volta applicata, tale misura non potrà essere revocata fino al momento in cui il soggetto non cessi di essere socialmente pericoloso; tale accertamento sarà compito del Magistrato di Sorveglianza che periodicamente ha il compito di valutare la personalità del soggetto al fine di stabilire la necessità di prorogare o meno la misura.

Con specifico riferimento alla misura di sicurezza detentiva, ex 222 c.p., è importante rilevare che la L. 81/2014 ha sostituito agli ospedali psichiatrici giudiziari le REMS ovvero le residenze di esecuzione delle misure di sicurezza allo scopo di accompagnare i soggetti totalmente infermi in percorsi di cura e riabilitazione individuali.L'intervento più importante della riforma ha riguardato l'imposizione di un limite alla proroga di tale misura di sicurezza; misura che deve essere applicata sempre come extrema ratio.

L'art. 1 co 1 quater della Legge 81/2014, infatti, per evitare le proroghe senza fine (cd "ergastoli bianchi") ha stabilito che la durata massima della misura di sicurezza detentiva non può essere superiore a quella della pena per il corrispondente reato, salva la possibilità per il giudice di applicare al soggetto, ancora pericoloso, una misura di sicurezza alternativa, quale ad esempio la libertà vigilata.

Anche il minore di anni 14 che si è reso autore di un delitto, seppure non imputabile, potrà essere soggetto all'applicazione di una misura di sicurezza, nella specie il ricovero in riformatorio ex art. 224 c.p., qualora il giudice lo ritenga opportuno per la sua rieducazione, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia.

All'interno del Capo I Titolo IV del Codice penale relativo all'imputabilità ci sono poi dei casi in cui l'agente non si trovi al momento del fatto in condizioni tali da escludere totalmente la propria capacità di intendere e di volere, bensì solo in uno stato di mente tale da scemarla gravemente con la conseguenza che la pena non sarà esclusa, ma solamente diminuita. Si pensi al caso di vizio parziale di mente o alle ipotesi in cui lo stato di ubriachezza, l'alterazione da sostanza stupefacente ovvero la condizione del sordomuto, non erano tali da escludere totalmente la capacità di autodeterminarsi in modo consapevole.

Recentemente la Corte costituzionale è stata investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 c.4 nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen..

Andiamo con ordine: l'art. 69 c.p. è la norma che prevede il c.d. giudizio di bilanciamento attraverso il quale il giudice, in presenza di più circostanze aggravanti e attenuanti, deve pronunciarsi per l'equivalenza o per la prevalenza delle une sulle altre.

Secondo il co 4 della medesima norma "Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato"

Per circostanze inerenti alla persona del colpevole di intendono, secondo l'art. 70 c.p., quelle riguardanti l'imputabilità e la recidiva.

Dalla formulazione della norma, quindi, si ricava che, nel caso in cui ad un determinato soggetto affetto da vizio parziale di mente al momento del fatto il giudice ritenga di dover applicare contestualmente anche la recidiva reiterata, la circostanza attenuante a effetto comune e di natura soggettiva del vizio parziale di mente non possa mai prevalere su quest'ultima.

Questa previsione ha suscitato perplessità in riferimento alla compatibilità con i principi di ragionevolezza, personalità della responsabilità penale e proporzionalità della pena, di cui agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.

A parere del giudice remittente "le «circostanze inerenti la persona del colpevole», tra le quali si iscrive il vizio parziale di mente, hanno sempre goduto di un particolare status nell'impianto del codice penale che - nella sua versione originaria, anteriore alla novella del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale) - le sottraeva in radice al bilanciamento con le circostanze aggravanti.

L'impossibilità, di graduare il trattamento sanzionatorio rispetto ai disturbi della personalità dell'agente si sarebbe tradotto, allora, in una violazione dei principi di ragionevolezza e individualizzazione della pena nonché nel mancato rispetto della finalità rieducativa della pena che implica la necessaria proporzionalità della pena rispetto alla «concreta gravità del fatto, nonché alla personalità e colpevolezza dell'autore, tale da poter costituire il punto di partenza di un legittimo - ed auspicabilmente proficuo - percorso rieducativo»."

Inoltre, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto anche con l'art. 32 Cost., in quanto il soggetto semi-imputabile per vizio di mente dovrebbe ricevere dall'ordinamento una «risposta alla commissione di un fatto reato che sia non solo funzionale alla rieducazione ma, anche e soprattutto, improntata alla tutela della [sua] salute».

La C. Cost. con la sentenza n.73 del 2020, ritenendo fondata la questione sottoposta alla sua attenzione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del Codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.

Si è osservato che la circostanza attenuante del vizio parziale di mente è espressiva non tanto di una minore offensività del fatto rispetto agli interessi protetti dalla norma penale, né di una finalità premiale rispetto a condotte post delictum, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilità soggettiva dell'autore che deriva dal suo minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla sua minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono.

Sarebbe irragionevole, quindi, precludere al giudice la possibilità di ritenere prevalente la circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sull'aggravante della recidiva, in quanto il soggetto parzialmente infermo merita, proprio a causa della sua condizione psichica, una punizione meno severa rispetto a quella applicabile nei confronti di chi si sia determinato a compiere una condotta identica, in condizioni di normalità psichica.

Ad imporre una soluzione in tal senso sono proprio i principi sottesi all'art. 27 della Costituzione e soprattutto i principi di proporzionalità e rieducazione che impongono che la pena sia adattata all'autore e al fatto effettivamente commesso.

Avv. Giulia Solenni