L’ applicabilità del nuovo art. 573, comma 1-bis c.p.p.: la Cassazione fa chiarezza.
Cass. Pen., Sezioni Unite, 21 settembre 2023 n. 38481.
Si era in attesa della sentenza nomofilattica n. 38481/2023, depositata lo scorso 21 settembre 2023, in cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio secondo cui «l'art. 573, comma 1-bis c.p.p., introdotto dall'art. 33 del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione ai sensi dell'art. 99-bis del predetto d. lgs. n. 150 del 2022».
Innanzitutto occorre chiarire che il nuovo comma introdotto dalla cosiddetta "riforma Cartabia" prevede che nel caso in cui la sentenza sia impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, sono tenuti a rinviare per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".
Il problema circa l'applicabilità di questa norma, che ha reso necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite, è sorto perché si sono contrapposti due distinti orientamenti.
Il primo orientamento[1], formatosi nell' immediatezza dell'entrata in vigore del d.lgs. 150 del 2023, sosteneva che l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. sarebbe immediatamente applicabile a tutte le impugnazioni pendenti al 30 dicembre 2022.
Pertanto, in applicazione del principio tempus regit actum, il giudizio di impugnazione deve essere svolto secondo le nuove regole, non derivando alla parte civile alcun concreto pregiudizio dalla circostanza che il ricorso venga deciso dal giudice civile, piuttosto che dal giudice penale.
I sostenitori di questa tesi hanno inoltre evidenziato come, dovendo la parte civile impugnante riassumere il giudizio in sede civile, le sarebbe consentito, con l'atto di citazione in riassunzione, emendare o comunque conformare la propria domanda al nuovo ambito processuale, così come alla controparte sarebbe dato modo di contraddire e di replicare a tali nuove deduzioni.
Diversamente,
secondo un diverso orientamento[2], la nuova norma
sarebbe potenzialmente pregiudizievole per la posizione di chi abbia già
proposto appello o ricorso per Cassazione, per cui sarebbe dovuta essere
applicabile solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse a
partire dal 30 dicembre 2022.
Difatti,
la novella legislativa prevede espressamente che il giudice penale, valutata l'ammissibilità del gravame, rinvii gli atti "per la prosecuzione" "al giudice o alla
sezione civile competente", senza, dunque, prevedere alcuna riassunzione del
giudizio: ne discende che l'impugnante
ai soli effetti civili deve affrontare un giudizio retto da regole diverse da
quelle alla stregua delle quali aveva costruito il proprio gravame, tra tutte
quelle in tema di nesso eziologico tra la condotta e l'evento
di danno, che il giudice civile ricostruisce non in base al criterio dell'alto grado di probabilità logica, ma in base al criterio
causale del "più probabile che
non".
Dunque,
questo secondo orientamento, nell'applicare
il principio tempus regit actum, ricavabile dall'art.
11 preleggi, all'istituto delle
impugnazioni, ha stabilito che l'actus
a cui riferirsi è la sentenza impugnata: è rispetto ad essa che vanno valutati
la facoltà di impugnazione, la sua estensione, nonché i
modi ed i termini per esercitarla.
L'ordinanza di rimessione alle S.U. precisava che, ove si
fosse preferito questo secondo orientamento, avrebbe dovuto farsi più
correttamente riferimento non alla data di emissione della sentenza, pur se è a
partire da questo momento che sorge il diritto di impugnare, ma a quella di
deposito della stessa: "il riferimento
alla data di deposito della sentenza, pur non rappresentando necessariamente
(…) il momento a partire dal quale il diritto all'impugnazione
può essere esercitato, coincide con esso o lo precede e quindi, per un verso,
soddisfa l'esigenza di tutela dell'affidamento, per altro verso, evita una prolungata
applicazione di norme processuali che non troverebbe più alcuna giustificazione
e, per altro verso ancora, soddisfa l'esigenza di
individuare un termine unitario di applicazione dell'innovazione
processuale che resti insensibile alle date eventualmente diverse di
proposizione degli atti di impugnazione nei processi soggettivamente complessi,
nei quali siano presenti più parti civili o una parte civile e un responsabile
civile".
La pronuncia dei giudici di legittimità, nella disamina delle due diverse tesi giurisprudenziali, ha evidenziato come il processo non sia un fenomeno isolato ed istantaneo, ma si compone di una serie concatenata di atti che si sviluppano nel tempo, posti in essere da soggetti distinti, oltre che dalla compresenza di norme regolatrici aventi contenuto e finalità molto diverse tra di loro.
Il principio
regolatore del processo deve essere modulato in relazione alla diversa
tipologia degli atti processuali ed alla differente situazione sulla quale essi
incidono e che occorre di volta in volta governare.
Invero,
gli Ermellini hanno chiarito che "per actus non può intendersi l'intero processo, che è concatenazione di atti – e di
fasi – tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo dell'accertamento definitivo dei fatti; una tale
concatenazione comporterebbe la conseguenza che il processo 'continuerebbe
ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua
instaurazione, il che contrasterebbe con l'immediata
operatività del novum prescritta dall'art. 11,
comma 1, prel.".
Allo stesso tempo, però, richiamando una considerazione espressa dalla dottrina, si è constatato che se, invece, si seguisse alla lettera il brocardo tempus regit actum e, dunque, si considerasse actus ogni singolo atto via via compiuto, il principio comporterebbe che, in tutti i processi ancora in corso, ai nuovi atti dovrebbero essere applicate immediatamente, sempre e comunque, le nuove norme, con conseguente rischio, tuttavia, di trascurare aspettative consolidatesi in ragione di atti precedenti strettamente collegati a quello atomisticamente considerato.
Questo
ragionamento è stato adottato anche dalla Corte costituzionale[3] alla luce del
principio di "ragionevolezza" e
in considerazione della necessità di tutela dell'
"affidamento" che il singolo dovrebbe poter nutrire nella stabilità di un
determinato quadro normativo, ancor più se "qualificato
dal suo intimo legame con l'effettività
del diritto di difesa, anche principio "costituzionalmente
protetto[4]".
A tal proposito si richiamino anche gli
interventi della Corte Europea dei diritti dell'uomo[5] a tutela della "accessibilità" ed alla "prevedibilità" come connotati essenziali
del diritto penale, in una prospettiva che guarda non soltanto allo ius
scriptum, ma altresì al "diritto vivente"
espresso dalla giurisprudenza.
In
sostanza, per la Corte di legittimità, nella operazione di individuazione di
quale norma, tra quelle succedutesi, vada applicata all'atto
o alla sequenza di atti da disciplinare, possono venire in rilevo diverse
istanze di rilievo costituzionale da contemperare.
Questo orientamento è stato espresso per la prima volta dalla precedente decisione delle Sezioni Unite, n. 27614 del 29/03/2007, quando è stato necessario regolare, in via interpretativa, la applicabilità della norma di cui all'art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46 sempre in materia di impugnazione della parte civile.
Infatti, per la Suprema Corte, il caso di specie è ugualmente connotato dalla intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell'impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa, mutandone imprevedibilmente i connotati in maniera tale da lasciare "indifesa" la parte che tali atti abbia già svolto secondo quanto prescritto dalla normativa pregressa.
Si pensi, ad
esempio, al requisito della "chiarezza e
specificità" della redazione delle ragioni della domanda nell'atto
di citazione ex art. 360 c.p.c. come introdotto dalla L. n. 149 del
2022, cui dovrebbe essere omologato il requisito della causa petendi
nell'atto di costituzione di parte
civile, posto che, per volontà del legislatore, tali caratteristiche sarebbero
richieste, secondo quanto disposto dalla L. n. 197 del 2022, per i soli
procedimenti civili instaurati successivamente alla data del 28 febbraio 2023
continuando, per i procedimenti pendenti a tale data, ad applicarsi le
disposizioni anteriormente vigenti: già la sola necessità sostanziale di
adozione, nell'atto di costituzione
di parte civile, del testo dell'art. 360
c.p.c. nella versione anteriore alle modifiche suddette, non potrebbe non
riverberarsi sulle legittime aspettative della parte civile che abbia
presentato l'impugnazione prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022.
Dunque,
il necessario rispetto delle ragioni di affidamento dell'impugnante nella non
variazione del quadro di sistema coesistente al momento dell'impugnazione,
ragioni ritenute dirimenti nel caso di specie, deve indurre, secondo le Sezioni
Unite, ad individuare nel momento del deposito dell'atto di costituzione di
parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al
regime previgente e impugnazioni assoggettate, invece, alla nuova normativa.
Di
conseguenza, anche l'eliminazione dell'obbligo di citare l'imputato
non appellante quando l'appello è proposto per i soli interessi
civilistici, ex art. 601 comma 1 c.p.p., vale solo per le impugnazioni
proposte dalle parti civili costituite dopo l'entrata in vigore
dell'art.573, c. 1-bis, c.p.p.
[1] cfr. Sez. 4, n. 2854 del 11/01/2023, e Sez. 2, n. 6690 del 02/02/2023.
[2] Sez. 5, n. 3990 del 20/01/2023, e da Sez. 5, n. 4902 del 16/01/2023, omissis, Rv. 284121-01.
[3]Corte Cost., ord. n. 560 del 2000.
[4] Corte Cost., sent. n. 394 del 2002.
[5] Ex plurimis, Corte EDU, 14/04/2015, Contrada c. Italia.