L’ archiviazione di file con contenuto pedopornografico nel cloud storage della chat configura il delitto di cui all’art. 600- quater 1 comma c.p.

03.11.2023

CA Napoli,  III Sez. Pen. n. 36572/2023

La Sentenza n. 36572/2023, III Sez. Pen., della Corte d'Appello di Napoli ha confermato quanto pronunciato nel primo grado di giudizio dal Tribunale che aveva condannato alla pena di otto mesi di reclusione e €3000 di multa l'imputato per aver detenuto all'interno di un cellulare i media condivisi in una chat di gruppo, ai sensi dell'art. 600 quater c.p.

La cartella in questione conteneva più di 150 file di materiale pedopornografico; quindi, si configura l'aggravante di possederne un'ingente quantità. L'articolo in esame è situato all'interno della sezione dedicata ai delitti contro la personalità individuale. Tutti i delitti contenuti all'interno di tale sezione hanno come oggetto la tutela dello status libertatis cioè il complesso delle manifestazioni delle libertà personali la cui violazione si risolve in un annientamento della personalità.

Ritornando al caso di specie, i legali dell'imputato proposero due ricorsi per cassazione.

Con il primo motivo si deduce che il materiale situato all'interno del cellulare non era presente all'interno di quello dell'imputato ma all'interno del cloud abbinato alla chat Telegram denominata" abusi e famiglia", dunque all'interno di uno spazio virtuale costituito dalla cartella dei media condivisi dal gruppo cui l'accesso è consentito a chiunque possiede le credenziali di accesso. Inoltre, l'imputato non aveva mai effettuato il download dei file presenti nella chat ma aveva solamente visualizzato l'immagine attraverso l'accesso alla rete Internet. Secondo i difensori si doveva configurare l'ipotesi delittuosa prevista al terzo comma secondo cui chi accede intenzionalmente senza giustificato motivo a questa tipologia di materiale è punito con la reclusione fino a due anni con la multa non inferiore a €1000.

Il secondo motivo si sofferma sulla violazione dell'articolo 552 c.p.p. secondo cui il fatto oggetto della sentenza è diverso da quello contestato. L'articolo 552 c.p.p., rubricato decreto di citazione a giudizio, disciplina che se manca o è insufficiente la descrizione del fatto e delle circostanze aggravanti il decreto è nullo. Con il terzo motivo si contesta la configurabilità dell'aggravante rilevando che l'ingente quantitativo non può configurarsi con il numero complessivo dei file detenuti da tutti i partecipanti alla chat di Telegram "non consentendo la natura diretta della detenzione da parte dell'imputato del suddetto materiale di far ricadere su un solo soggetto gli effetti di una condotta collettiva".

Il quarto motivo contesta la mancata attuazione delle attenuanti generiche in quanto non è stata considerata la collaborazione prestata alle indagini, il percorso terapeutico dell'imputato e il risarcimento del danno. Il quinto motivo, invece, contesta la mancanza di un'adeguata motivazione in merito alla pena fissata senza considerare la condotta post facto dell'imputato.

L'ulteriore ricorso da parte del secondo difensore dell'imputato si basa su tre motivazioni. La prima contesta la violazione dell'articolo 600 quater c.p. perché l'imputato non aveva effettuato mai nessun download perché non era stato trovato all'interno del cellulare nessun file. La seconda contesta che l'imputato deteneva 150 file a contenuto pedopornografico e pornografico che non erano stati singolarmente verificati. Il materiale pornografico a differenza di quello pedopornografico è penalmente irrilevante e proprio per questo l'aggravante dell'ingente quantitativo di materiale non può trovare applicazione. La terza e ultima motivazione fa riferimento al trattamento sanzionatorio in quanto non è stato preso in considerazione il comportamento positivo ai fini della mitigazione della pena dell'imputato.

In riferimento al primo motivo di entrambi i ricorsi la Suprema afferma che l'imputato condivideva i file di natura pedopornografica ivi contenuti nella chat. Oltre ad avere l'accesso attraverso le proprie credenziali il materiale veniva automaticamente salvato su cloud di Telegram rendendolo perciò visualizzabile in ogni momento da parte di ogni componente del gruppo.

Già in precedenza la Corte con sentenza n. 4212 del 19/1/2023 si era pronunciata in merito estendendo "la detenzione di file di contenuto pedopornografico alla condotta di chi aveva emesso ed archiviato i suddetti file sul cloud storage di un sito associato al suo indirizzo e-mail, cui poteva accedere attraverso credenziali di accesso esclusive". Si ritiene che la disponibilità di materiale pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell'Art 600 quater co.1 c.p. la disponibilità di file di contenuto pedopornografico; pertanto, deve essere rigettato il primo motivo di entrambi i ricorsi dal contenuto fra loro sovrapponibile

Il secondo motivo è infondato perché la violazione tra contestazione e sentenza ricorre quando il fatto ritenuto in sentenza si trova, rispetto a quello contestato, del tutto incompatibile ed eterogeneo stravolgendo i termini d'accusa.

Per quanto riguarda il terzo motivo occorre rilevare la genericità della contestazione in quanto le difese si sono "limitate a rilevare il mancato accertamento del dato numerico dei file presenti sulla chat sul quale si era basato il riconoscimento dell'aggravante".

L'aggravante nel caso di specie risulta configurabile soltanto un in cui si parla di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche, "limite il raggiungimento del quale rende maggiormente percepibile il pericolo di implementazione del mercato illecito, configurante la ratio dell'inasprimento di pena. In nessuno dei due ricorsi il superamento del limite non è contestato. Sono inammissibili anche le motivazioni relative al punto quattro. La corte afferma che "non può assurgere assegno di un autentico ravvedimento la condotta post del dell'imputato, né può considerarsi condotto con successo il percorso terapeutico stante la perdurante e pervicace negazione della natura pedopornografica dei file condivisi nella chat."

Per quanto riguarda il risarcimento all'interno dell'atto d'appello non viene menzionato nulla in merito" il che non consente di ravvisare alcuna omissione valutativa riguardo nella sentenza impugnata, essendone comunque preclusa la deduzione con il ricorso per cassazione."

Alla luce di quanto detto, entrambi i ricorsi sono stati rigettati. 

Dott.ssa Letizia Fratello