L’assegno di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali

23.04.2022

Cass. Civ. Sez. VI -1 , 23 gennaio 2020, n 1562

 Cass. Civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183.

Il diritto dei figli ad essere mantenuti trova ampio riconoscimento sia dal punto di vista costituzionale che codicistico.

L'art. 30 Cost. prevede che sia un dovere e un diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. La legge assicura, quindi, anche ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale.

L'art. 315 bis c. 1 c.c., rubricato "diritti e doveri dei figli" dispone, invece, che il figlio abbia diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

L'assegno di mantenimento adempie, dunque, all'obbligo previsto ex lege, in capo ai genitori.

La finalità del mantenimento consiste nell'assicurare una massima tutela al minore e, per questo motivo, l'assegno si presenta come:

  • indisponibile, non è possibile rinunciarvi;
  • impignorabile, l'importo del mantenimento non può essere pignorato dai creditori;
  • non compensabile;
  • irripetibile, cioè non può essere chiesto indietro;

Il diritto al mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni.

È pacifico il riconoscimento dell'assegno di mantenimento nei confronti dei figli minori, ma la questione che è stata oggetto di valutazione della Corte di Cassazione riguarda, invece, la corresponsione del suddetto assegno nei confronti dei figli che abbiano aggiunto la maggiore età.

L'obbligo ex lege, sarà riconosciuto anche nei confronti dei figli maggiorenni?

Prima di analizzare la pronuncia della Suprema Corte, appare necessario richiamare l'art. 337 septies c.c. il quale sostiene che il giudice può disporre, in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.

Si evince, dunque, che l'obbligo dei genitori di mantenere la prole, non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma sussiste fino a quando i figli non abbiamo raggiunto una propria indipendenza economica.

La giurisprudenza, però, interviene sul punto chiarendo che l'autosufficienza economica non raggiunta dal figlio maggiorenne debba essere avvenuta in assenza di colpa. Il figlio, dunque, dovrà dimostrare di non essere un nullafacente, ma di essersi messo attivamente alla ricerca di un lavoro.

La valutazione, in ordine alla sussistenza del diritto della prole al contributo assistenziale, deve avvenire considerando: l'accertamento della condizione economica dei figli, la loro età, il conseguimento effettivo di un livello di competenza professionale e tecnica, l'impegno profuso nella ricerca di un lavoro, la complessiva condotta da loro tenuta, a partire dal compimento del diciottesimo anno d'età. (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016).

A chiarire meglio la questione in esame è intervenuta la Suprema Corte (Sent. Cass. Civ. Sez. VI -1 Ord., 23 gennaio 2020 n 1562).

Gli Ermellini affermano che in materia di mantenimento della prole, il figlio, anche dopo essere divenuto maggiorenne, ha diritto ad essere mantenuto dai genitori secondo quelle che sono le sue effettive ed attuali esigenze. Il mantenimento dovrà garantirgli, quindi, un tenore di vita quanto più possibile pari a quello goduto prima della separazione personale dei coniugi, fino a quando non avrà raggiunto un adeguato grado di indipendenza economica.

Pertanto, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un lavoro tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità ed un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni.

È orientamento uniforme, inoltre, quello per cui la coltivazione delle aspirazioni del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013).

Di fondamentale importanza è il principio di autoresponsabilità, secondo il quale "non è necessaria una prescrizione legislativa che fissi in modo specifico l'età in cui l'obbligo di mantenimento del figlio viene meno: in quanto, sulla base del sistema positivo, tale limite è già rinvenibile e risiede nel raggiungimento della maggiore età [...]

Il concetto è quello della cd. capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato. Essa si acquista con la maggiore età, quando la legge presuppone raggiunta l'autonomia ed attribuisce piena capacità lavorativa da spendere sul mercato del lavoro, tanto che si gode della capacità di agire (e di voto) [...] l'età maggiore, pertanto, tanto più quando è matura - perché sia raggiunta, secondo l'id quod plerumque accidit, quell'età in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare istruzioni ed indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana, e si diventa uomini e donne - implica l'insussistenza del diritto al mantenimento" (Cass. civ. Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183).

Avv. Daniela Evoluzionista