L’ avvocato può mettersi direttamente in contatto con la controparte che sia assistita da un altro avvocato?
A questa domanda la risposta non può che essere negativa.
Difatti l'avvocato deve mantenere direttamente i rapporti con il Collega di controparte per una evidente ragione: un rapporto diretto con la controparte potrebbe apparire in qualche modo intimidatorio o vessatorio e potrebbe rappresentare, inoltre, una mancanza di rispetto nei confronti del Collega, sottolineando la sua "inutilità".
In casi particolari, la corrispondenza può essere indirizzata direttamente alla controparte: si pensi, ad esempio, alla richiesta di determinati comportamenti o per l'intimazione di messe in mora o, ancora, per evitare prescrizioni o decadenze.
È fondamentale però che la corrispondenza sia sempre inviata per conoscenza al legale avversario (espressa eccezione che viene prevista dall'art. 41 codice deontologico, il cui elenco non è stato ritenuto tassativo dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione).
Se, invece, la controparte non risulta essere assistita da alcun difensore, la situazione cambia: l'avvocato, in questi casi, può invitare direttamente la controparte ad un colloquio nel proprio studio, precisando che la stessa possa essere accompagnata da un legale di fiducia (si veda l'art. 65 comma 2 codice deontologico).