L’omicidio aggravato da atti persecutori: un reato complesso

23.03.2022
1. Nascita e sviluppo dei contrasti giurisprudenziali.

La questione rimessa alla Suprema Corte, oggetto di un contrasto giurisprudenziale sorto fra due pronunce pervenute ad opposte conclusioni, ha riguardato la corretta qualificazione di quel fatto di reato caratterizzato da un iter criminoso iniziato con la commissione del delitto di atti persecutori e concluso con quello di omicidio volontario a danno della stessa vittima.

Un primo indirizzo (Cass. pen., Sez. I, sent. 12 aprile 2019 n. 20786) ha ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina del concorso formale di reati, escludendo che si potesse ravvisare la configurabilità di un'ipotesi di reato complesso.

Nella prospettiva adottata dall'opposto orientamento (Cass. pen., Sez. III, sent. 13 ottobre 2020 n. 30931), invece, negandosi la sussistenza nel caso de quo del concorso di reati, si è affermata l'applicabilità della disciplina ex art. 84 cod. pen.: il reato di omicidio volontario - quale fattispecie assorbente - risulterebbe essere un conseguente sviluppo delle condotte persecutorie.

In buona sostanza, l'arduo compito assegnato alle Sezioni Unite è stato quello di stabilire - dirimendo definitivamente i contrasti giurisprudenziali sorti sino a quel momento - se a tale fattispecie astratta e articolata trovi applicazione la disciplina del concorso formale di reati ovvero quella del reato complesso.

2. Due orientamenti opposti: le sentenze n. 20786 del 2019 e n. 30931 del 2020.

Secondo quanto delineato nel percorso argomentativo della pronuncia n. 20786 del 2019, attraverso un'attenta lettura della disposizione ex art. 89 cod. pen., è stata esclusa la configurabilità nel caso in esame del reato complesso, ritenendo sussistente la disciplina del concorso di reati.

L'articolo 89 cod. pen. definisce il reato complesso come un fenomeno giuridico caratterizzato dalla compresenza di due o più fatti - i quali di norma costituirebbero, per sé stessi, reato - considerati dalla legge come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un unico reato.

Ad avviso della Prima Sezione della Corte, conformemente al dato letterale, condizione necessaria ai fini della sussistenza del reato complesso è un'interferenza fra norme incriminatrici rispetto ad un fatto oggettivo. Proprio tale confluenza di fattispecie astratte rispetto ad un fatto oggettivo difetterebbe nel caso di specie.

A sostegno di quanto considerato, secondo i Giudici di piazza Cavour, l'articolazione testuale della disposizione aggravatrice ex art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen., sanzionando con la massima pena dell'ergastolo "l'autore" del delitto di stalking che abbia commesso un omicidio nei confronti "della stessa persona offesa", attribuirebbe preminenza all'identità del reo - quale soggetto autore sia del delitto di atti persecutori che di quello di omicidio - e non alla relazione tra i due fatti di reato commessi.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha negato la configurabilità del reato complesso, affermando conseguentemente la sussistenza, nel caso di specie, dell'istituto del concorso di reati, pur non escludendo che il reato di omicidio sia aggravato dalla commissione della condotta persecutoria in danno della medesima vittima.

Il reato di atti persecutori di cui all'art 612-bis cod. pen., dunque, conserverebbe autonoma rilevanza e sarebbe punibile in concorso con il delitto di omicidio aggravato, quest'ultimo destinato a sanzionare più severamente il delitto di cui all'art. 575 cod. pen. poiché reso più grave «dall'essere l'autore colui che prima, non importa quando, ha oppresso la vittima con atti persecutori».

Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza del 2019, ad avviso del più recente orientamento giurisprudenziale (sentenza n. 30931 del 2020) l'aggravante ex art. 576, co. 1, n. 5.1, cod. pen., contemplando entrambi gli accadimenti criminosi all'interno della previsione normativa, disciplina non solo una relazione di tipo soggettivo - intercorrente tra l'autore e le fattispecie di reato - ma, altresì, quella di tipo oggettivo tra il delitto di atti persecutori e quello di omicidio.

Ad avviso della Terza Sezione della Corte, il delitto di stalking non troverebbe autonoma applicazione nel caso in cui l'omicidio della vittima avvenga "al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente nei confronti della medesima persona offesa" in quanto il disvalore delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere risulterebbe assorbito integralmente nel reato di omicidio aggravato.

La stessa formulazione della norma ex art. 576, co. 1, n. 5.1, cod. pen. non potrebbe giustificare un'interpretazione soggettivistica, incentrata sul tipo di autore, in quanto «la pena si giustifica non per ciò che l'agente è, ma per ciò che ha fatto. In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate, appunto, con la soppressione della vita della persona offesa».

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, ad avviso della Suprema Corte si delineerebbe nel caso de quo la figura del reato complesso e non l'istituto del concorso di reati.

Secondo quanto delineato in tale percorso argomentativo, pervenire alla conclusione opposta - affermando la configurabilità di un concorso di reati negando al contempo la sussistenza di un reato complesso - si tradurrebbe necessariamente in una sostanziale abrogazione della disciplina ex art. 84 cod. pen. con conseguente violazione del principio del ne bis in idem sostanziale e processuale. Invero, se si applicasse la disciplina del concorso di reati il reo risulterebbe al contempo responsabile del delitto di omicidio volontario, pur sempre aggravato ex art. 576, e di quello di atti persecutori di cui all'art 612-bis cod. pen.

3. Il punto fermo delle Sezioni Unite.

A seguito delle opposte conclusioni alle quali sono pervenute le summenzionate pronunce, il controverso caso giuridico è stato definitivamente sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite.

Per il corretto inquadramento della questione in esame, le Sezioni Unite hanno primariamente escluso la rilevanza della normativa sul concorso apparente di norme ex art. 15 cod. pen. e della clausola di riserva, contenuta nell'art. 612-bis cod. pen., «salvo che il fatto costituisca più grave reato», e successivamente asserito la configurabilità dell'istituto ex art. 84, co. 1, cod. pen.

Quanto all'esclusione del conflitto apparente di norme - istituto che si configura nel caso in cui più norme incriminatrici risultino apparentemente sussumibili in uno o più fatti concreti, nonostante una sola di esse sia realmente applicabile - si è precisato come, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la disciplina ex art. 15 cod. pen. richiede l'esclusiva applicabilità di una sola delle norme incriminatrici rilevate, essendo necessario che "all'esito del confronto strutturale fra le fattispecie astratte configurate e della comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle, sia da escludere il presupposto della convergenza di norme" (Cass. Pen., SS.UU., sent. 28 ottobre 2010, n. 1963).

Nel caso in esame, invero, all'esito del confronto, rileva proprio la sussunzione nella fattispecie concreta di entrambe le norme incriminatrici.

Relativamente alla clausola di riserva «salvo che il fatto costituisca più grave reato», contenuta nell'art. 612-bis cod. pen., attraverso un raffronto tra le formulazioni strutturali degli artt. 575, 576 co. 1 n. 5.1, e 612-bis cod. pen., la Corte è giunta ad escludere la sua importanza per il corretto inquadramento della questione, stante la radicale ed oggettiva difformità strutturale delle fattispecie incriminatrici in ragione della quale tale clausola non può trovare applicazione.

La Suprema Corte ha proseguito il proprio iter argomentativo circoscrivendo la soluzione del sollevato caso giuridico alla particolare struttura normativa del reato complesso, nella sua variante di reato complesso "circostanziato" per la quale il reato-base di omicidio volontario è aggravato dalla commissione del diverso reato di atti persecutori.

Secondo quanto osservato dagli Ermellini, ai fini della configurabilità dell'istituto ex art 84 cod. pen., così come delineato dal legislatore, è necessaria la coesistenza di talune condizioni: occorre che la circostanza aggravante del reato complesso abbia ad oggetto "un fatto oggettivamente identificabile come tale", che questo sia previsto quale reato da altra norma incriminatrice ed inserito nella struttura del reato complesso "nella completa configurazione tipica" e, infine, che esso sia previsto dalla norma incriminatrice configurante il reato complesso "quale componente necessaria della relativa fattispecie astratta, non essendone rilevante l'eventuale ricorrenza nel caso concreto quale occasionale modalità esecutiva della condotta" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402).

Inoltre, così come asserito dalle Sezioni Unite, il reato complesso è caratterizzato, oltre che dagli elementi strutturali precedentemente indicati, anche da un elemento ulteriore, l'unitarietà del fatto. Il fatto è unitario quando "si presenta come articolato non solo nella contestualità dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche nella loro collocazione in una comune prospettiva finalistica" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402). Il fondamento del reato di cui all'art. 84 cod. pen., pertanto, si riscontra nella confluenza dei fatti che lo costituiscono, diretta verso un risultato finale unico.

A seguito delle precedenti osservazioni, la Corte ha appurato la sussistenza dei requisiti precedentemente descritti, necessari per la ravvisabilità del reato complesso, nella fattispecie aggravata del reato di omicidio di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen., rispetto al reato di atti persecutori.

È stato osservato - in coerenza con quanto rilevato nella pronuncia del 2020 - che la formulazione normativa ex art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen., non include unicamente il riferimento all'identità del soggetto che ha commesso i reati di omicidio volontario e di atti persecutori contro la medesima vittima ma ricomprende anche la relazione intercorrente tra i due fatti di reato commessi.

Difatti, la fattispecie ex art. 612-bis cod. pen., poiché contenuta nella circostanza aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen. con riferimento al titolo di reato, all'autore e alla vittima della condotta criminosa, "risulta inequivocabilmente riportata all'interno della fattispecie aggravatrice nella sua integrale tipicità" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402).

Ne consegue, pertanto, che il delitto di omicidio volontario risulta aggravato proprio per il fatto persecutorio antecedentemente commesso dal soggetto agente - e non anche per le caratteristiche personali del reo, quali l'essere un persecutore.

Il fatto persecutorio - conclude la Suprema Corte - è "in quanto tale, e non solo per il suo significato in termini di capacità criminale del soggetto agente, (...) costitutivo della fattispecie astratta di un reato a questo punto complesso nella forma circostanziata" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402).

Ad avviso degli Ermellini tale interpretazione trova conferma anche nel contenuto dei lavori preparatori al d.l. 11/2009, introduttivo della circostanza aggravante in esame. L'intenzione del legislatore era quella di perseguire con maggiore severità un fatto complessivamente inteso - l'omicidio costituente sviluppo della condotta persecutoria - ritenuto meritevole di un aggravamento "per la sua oggettiva valenza criminale, ossia lo sviluppo omicidiario di una condotta persecutoria" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402).

In tale prospettiva, lo stesso aggravio di pena, previsto dall'art. 576, co. 1, n. 5.1, cod. pen., sarebbe giustificato in ragione del fatto che l'omicidio della vittima rappresenta l'esito finale di un iter criminoso sorto proprio attraverso le modalità persecutorie.

Alla luce delle suesposte considerazioni le Sezioni Unite, in sede di composizione del sollevato contrasto giurisprudenziale, hanno concluso affermando che "la fattispecie in esame presenta (...) le caratteristiche strutturali del reato complesso circostanziato, che include il reato di atti persecutori in una specifica forma aggravata del reato di omicidio" in cui gli atti persecutori e l'omicidio "presentano non solo contestualità spazio-temporale, ma si pongono altresì in una prospettiva finalistica unitaria" (Cass. pen., SS.UU., sent. 26 ottobre 2021 n. 38402).

Dott.ssa Angela Merlini