La caparra confirmatoria e l’applicazione del meccanismo di riduzione ad equità prevista per le clausole penali ex 1384 c.c.

11.04.2022

Nell'ambito dei rapporti contrattuali riveste particolare rilevanza la disciplina dettata in materia di inadempimento, in virtù della quale il creditore, in caso di inadempimento del debitore, ha diritto al risarcimento dei danni subiti che potrà far valere, per le vie giudiziarie, dimostrando l'entità del danno.

Seppur vero che un simile rimedio permette al creditore di vedersi riconoscere il proprio diritto al risarcimento del danno subito, è altrettanto vero che una simile soluzione si scontra all'evidenza con il rischio insito in qualsiasi controversia, nonché contro i lunghissimi tempi processuali e le esose spese di giustizia.

Per sopperire a ciò, il legislatore ha previsto una serie di rimedi alternativi a quello prettamente giudiziario, quali ad esempio l'inserimento di clausole ad hoc che regolamentino, in caso di inadempimento, una liquidazione anticipata del danno a favore della parte non inadempiente.

Una tra queste è la clausola di caparra confirmatoria, che consiste nella consegna, da una parte all'altra di una somma di denaro o di cose fungibili. Il rapporto si perfeziona con la consegna della res, perciò deve essere considerato come un vero e proprio contratto reale.

Tale istituto corrisponde alla prassi antichissima di avvalorare la serietà con la quale il contratto veniva stipulato, provvedendo a consegnare all'altra parte una somma di denaro o una quantità di cose fungibili al momento del perfezionamento dell'accordo. Suddetta somma, una volta eseguito il contratto, doveva essere restituita, oppure imputata al prezzo a titolo di acconto.

Il legislatore del '42 ha disciplinato la caparra confirmatoria all'art. 1385 c.c., concedendo sia a chi ha ricevuto in consegna la caparra, sia a chi l'ha consegnata, il diritto di recedere nel caso in cui l'altra parte si dimostri inadempiente.

In altri termini, nel caso in cui sia inadempiente la parte che consegna la caparra, l'altra parte avrà il diritto di recedere ex lege dal contratto detenendo l'intera caparra a titolo di indennizzo a causa del mancato adempimento contrattuale. Al contrario, se è la parte che ha ricevuto in consegna la caparra a risultare inadempiente, l'altra parte avrà il diritto di recedere ex lege dal contratto richiedendo il doppio del valore della res consegnata a titolo di caparra confirmatoria.

È evidente,quindi, che la ratio sottesa: liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente che intenda esercitare il diritto di recesso conferitole ex lege[1], evitando l'instaurazione di un apposito giudizio.

Nella prassi negoziale, l'istituto della caparra confirmatoria è visto piuttosto come un acconto - da sottrarsi dunque al prezzo complessivo e/o a saldo - nei confronti del venditore, che la ricevere al momento della firma del contratto preliminare. Pertanto, il quantum della caparra confirmatoria sarà circa tra il 20% - 30% del prezzo d'acquisto del bene.

Talvolta può accadere che l'acquirente depositi una somma superiore a quanto la prassi ci insegna, pari o superiore alla metà del prezzo finale di acquisto, comportando un aggravio superiore rispetto alla normale prassi verso il venditore, che nel caso in cui non adempi sarà costretto, ex art. 1385 c.c., a versare il doppio del valore della caparra consegnata. Detto ciò, sia il venditore che l'acquirente soggiaceranno ad un ingente somma riconosciuta come liquidazione anticipata per il danno da inadempimento sproporzionata rispetto agli interessi economici delle parti e la mancanza di un correttivo nel caso di inadempimento parziale, come nel caso delle clausole penali, che possono essere soggette ad una riduzione ad equità da parte del giudice ordinario ex art. 1384 c.c.

La clausola penale è un accordo negoziale sull'accertamento ex ante della liquidazione convenzionale del danno per inadempimento.

Con ciò, nel caso in cui una parte sia inadempiente, la controparte potrà richiedere la risoluzione per inadempimento e il risarcimento per la somma accordata nella clausola penale, senza l'onere di provare l'entità del danno.

Perciò, il vantaggio di stipulare tale clausola è quello di agevolare la parte non inadempiente, esonerandola dal dimostrare l'entità del danno, che si intenda accertare in giudizio ai fini del risarcimento. Tuttavia, il meccanismo di accertamento extragiudiziale del danno, tramite l'autonomia negoziale, è limitato dall'art. 1384 c.c. che consente sia alle parti che al Giudice ex officio di eccepire la riduzione ad equità, e quindi di accertare la sussistenza un danno inferiore rispetto a quanto indicato nella clausola penale, in presenza di determinate condizioni, ovvero (i) qualora la clausola penale risulti manifestamente eccessiva, tenendo riguardo all'interesse del creditore aveva sia all'adempimento[2], oppure (ii) qualora il debitore abbia adempiuto parzialmente alla prestazione dovuta.

La ratio di tale norma persegue il fine di tutelare il debitore inadempiente nel caso in cui la clausola penale pattuita sia manifestamente sfavorevole oppure sproporzionata rispetto al reale danno subito dal creditore. È utile sottolineare che, in alcuni casi, l'ammontare di tale clausola è il risultato di una lunga fase di contrattazione tra le parti dove la forza contrattuale di una delle parte può, nella prassi, dominare l'altra, imponendo l'accettazione di alcune clausole particolarmente sfavorevoli come la clausola qui in esame.

Pertanto, il meccanismo di riduzione disciplinato dall'art. 1384 c.c. tutela il debitore nel caso in cui la penale sia eccessivamente gravosa rispetto agli interessi effettivi del creditore e al danno concretamente realizzato.

Ed infatti, sebbene le suddette clausole siano alquanto differenti per natura, le stesse sono certamente accomunate dalla medesima funzione, ovvero di liquidazione convenzionale anticipata del danno in caso di inadempimento. Perciò, in passato, la dottrina si era posta la questione se fosse possibile applicare tale meccanismo di riduzione anche per l'istituto della caparra confirmatoria.

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha da sempre espresso parere negativo in merito alla possibile applicazione del meccanismo di riduzione ad equità anche alla caparra confirmatoria. Tale orientamento è stato da ultimo confermato da una recente sentenza che ha ribadito la non applicazione dell'art. 1384 c.c. alla caparra confirmatoria[3].

In merito, la Suprema Corte ha distinto i due istituti prima sul piano strutturale e poi su quello funzionale.

La clausola penale viene considerata come un patto accessorio di un contratto, con la duplice funzione di incentivare il debitore all'adempimento e di predeterminare il risarcimento dovuto nel caso di inadempimento.

Diversamente la caparra confirmatoria assolve altre funzioni, ovvero quella di liquidare preventivamente il danno nel caso di inadempimento e di anticipare parzialmente il pagamento della somma complessivamente pattuita. Tale disomogeneità giustifica la scelta del legislatore di riconoscere al giudice il potere di incidere sulle sole clausole penali pattuite dalle parti e, di conseguenza, di escludere una qualsiasi applicazione analogica dell'art. 1384 c.c. alla diversa ipotesi della caparra confirmatoria, trattandosi di norma eccezionale ad hoc prevista.

In passato i giudici di merito hanno sollevato questione di legittimità costituzionale in merito all'interpretazione dell'art. 1385, secondo comma, c.c., che disciplina la caparra confirmatoria, rilevando l'irragionevolezza e l'incoerenza della norma in esame rispetto alla ratio perseguita dal legislatore. In altri termini, i giudici di merito hanno sostenuto come, al pari della clausola penale, risultasse altrettanto logico e coerente applicare il 1385 anche all'istituto della caparra confirmatoria in ipotesi di manifesta sproporzione e/ove sussistano giustificati motivi[4].

Di contro, la Corte Costituzionale[5] ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata confermando la non applicabilità del meccanismo di riduzione ex officio alla caparra confirmatoria. Tuttavia, la stessa Corte non ha escluso l'applicabilità di altri rimedi nei confronti della clausola di caparra confirmatoria manifestamente gravosa e non equa, ossia la rilevabilità ex officio della nullità, totale o parziale, ex art. 1418 c.c., della suddetta clausola per contrasto con l'art. 2 Cost., che disciplina il principio dell'adempimento ai doveri inderogabili di solidarietà tra le parti, e con il principio di buona fede contrattuale, in virtù del quale, nel rapporto obbligatorio, il legislatore richiede a ciascuna parte di tutelare l'interesse del partner negoziale nella misura in cui ciò non collida con l'interesse proprio.[6].

In conclusione, la giurisprudenza è granitica nel dichiara inapplicabile la riduzione ex officio in caso di caparra confirmatoria. Tuttavia, secondo il più recente orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, sarà possibile eccepire il vizio di nullità della caparra per contrasto alle norme imperative, ossia con il principio di solidarietà sancito all'art. 2 Cost.

Riassumendo in tre punti, la giurisprudenza di legittimità e la Corte Costituzionale affermano che:

  • Vista la differenza a livello funzionale e strutturale tra la clausola penale e la caparra confirmatoria non sarà possibile applicare la riduzione ex officio da parte del giudice verso la clausola di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c.;
  • non è applicabile per via analogica l'art. 1384 c.c. alla clausola di caparra confirmatoria dato il carattere eccezionale della suddetta norma;
  • come rimedio in caso di caparra confirmatoria manifestamente gravosa ed iniqua è possibile eccepire il vizio di nullità ex art. 1418 c.c. per contrasto al principio costituzionale della solidarietà tra le parti negoziali ex art. 2 Cost.

Dott. Vito Quaglietta

[1]V. Sent. Cass. Civ. 29 Settembre 2020 n. 20532.

[2] e la valutazione deve essere fatta sia al momento della stipulazione della clausola che al momento dell'esecuzione del contratto V. Sent. Cass. Civ.

[3] V. Sent. Cass. n. 17715 del 2020; conf. Cass. n. 14776 del 2014; Cass. n. 15391 del 2000; Cass. n. 5644 del 1995; Cass. n. 1143 del 1982; Cass. n. 6394 del 1979; Cass. n. 4856 del 1977

[4] V. Tribunale di Tivoli, ordinanza n. 181 del 2013.

[5] V. le ordinanze "gemelle" n. 248 del 13 ottobre 2013 e n. 77 del 26 marzo 2014 della Corte Costituzionale.

[6] V. Cass. Civ. n. 10511 del 1999; ma già n. 3775 del 1994 e, in prosieguo, a Sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009.