"Squid Game" e la crisi della genitorialità

17.04.2022

"Squid Game" è la prima serie ad essere stata pubblicata sulla piattaforma Netflix in contemporanea in tutto il mondo.

Un evento unico e raro che ha portato incassi per 900 milioni di dollari. La serie, infatti, è stata nella top di Netflix per diverse settimane.

Come riferisce il sito Bloomberg, al lancio più di un terzo degli abbonati ha guardato nella stessa sera più di un episodio, per un totale di 142 milioni di visualizzazioni.

La trama è semplice, ma tragica dal punto di vista umano; un misterioso uomo ricco coinvolge delle persone comuni in una situazione di esposizione debitoria che li rende disperati. Perseguitati dai creditori, decidono di partecipare a un gioco in cui viene messa in palio una ingente somma di denaro.

Durante le diverse manches vengono riprodotti alcuni famosi giochi per bambini che, in caso di sconfitta, portano all'eliminazione fisica del concorrente.

Ad oggi mancano meno di 900 firme per raggiungere le 10.000 che la Fondazione Onlus Carolina aveva posto come obiettivo per fermare "Squid Game" davanti ad AgCom.

La Fondazione denuncia l'inappropriatezza dei sistemi di parental control, ma allo stesso tempo richiama la crisi "della genitorialità", sulla piattaforma change.org dove si leggono diverse dichiarazioni di genitori: "mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game"; "a mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell'aula perché ha perso a Squid Game, non vuole più uscire di casa; "i miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game".

Verrebbe davvero da chiedersi: è davvero il sistema di parental control ad aver fallito?
In generale la censura non è ammessa nei moderni Stati occidentali, perché è un atto che realizza un controllo preventivo a livello ideologico delle opere da diffondere o rappresentare in pubblico.

Si tratta, in pratica, di un sistema che veicola verso la popolazione solo le idee approvate a livello politico-governativo, un sistema in forte stridore con il liberismo affermatosi nella seconda metà del '900 e per noi probabilmente ormai inaccettabile.

Si deve, inoltre, tenere in considerazione anche l'efficacia dei sistemi di censura e chiedersi se effettivamente siano utili ad ottenere il risultato sperato, ovvero impedire l'accesso a un determinato messaggio veicolato da un'opera cinematografica, soprattutto in un mondo dove si trovano contenuti dei generi più disparati, offerti da diverse piattaforme di streaming, social media, etc.

Nel recente passato si è preferito definire il sistema come "moderazione dei contenuti".

Ci si potrebbe chiedere: quindi la censura esiste?

A tale domanda si potrebbe rispondere di No. Tutto ciò è solo "moderazione".

Il contenuto non viene vietato, si apportano tagli ad hoc per limitare la portata violenta di alcune scene o si procede a eliminare scene esplicite (in particolare fra persone dello stesso sesso).

Se fino a poco tempo fa i canali televisivi quei pochi disponibili su licenza statale era controllabili a livello di contenuti, l'avvento delle piattaforme di streaming diffuse a livello globale ha complicato di molto la situazione.

Si tratta di migliaia e migliaia di contenuti pubblicati ogni giorno sulle piattaforme dedicate.
In Italia la normativa di riferimento è la L. 220 del 14/11/2016 (cd. L. Cinema) insieme ai decreti attuativi (D.M. del Ministro della cultura), l'ultimo dei quali elenca i criteri per la classificazione delle opere cinematografiche, identificando le fasce d'età che possono accedere ad alcune visioni (6, 14, 18 anni o adatti a tutti).

Sono i produttori ad autoregolamentarsi e a proporre la classificazione che ritengono più adatta, una Commissione formata da esperti di vari settori può al massimo proporre una classificazione diversa entro tre mesi dal rilascio dell'opera al pubblico.

Nessuna "moderazione" viene applicata, tutti i contenuti possono essere pubblicati, purché consigliati al pubblico adatto.

Si potrebbe al massimo discutere se "Squid Game" avesse dovuto essere vietato ai minori di 18 anni, più che soltanto ai minori di 14.

Dovremmo, allora, tornare indietro? Chiedere che alcuni contenuti cinematografici non vengano proprio pubblicati o addirittura siano rimossi dopo la pubblicazione?

Un sistema di moderazione più forte risolverebbe il problema di tenere lontani gli adolescenti da messaggi che trasmettono concetti come la violenza gratuita e lo sfruttamento della disperazione e della condizione di "inferiorità" umana?

Non è solo "Squid Game" a veicolare questi messaggi, dovremmo allora vietarli tutti. Quanti horror, quanti thriller, quanti film psicologici si basano sulla violenza gratuita? "Arancia Meccanica", "Hunger games", "Saw" e la lista non possiamo certo pensare di concluderla qui, la storia del cinema è lunghissima e varia.

Spesso ci portano facili spiegazioni per cui la violenza gratuita è posta in atto solo da soggetti disturbati, ma sappiamo che non è sempre così.

Non possiamo negare che Netflix metta a disposizione servizi di parental control e di profili individualizzati per i bambini e gli adolescenti.

Sarebbe sufficiente, forse, impostare delle restrizioni sulla piattaforma per impedire la visione di alcuni contenuti.

Non è, forse, che da genitori non sappiamo più dire di no? O che è troppo facile mascherarsi dietro il "tanto lo guarderebbe con un amico"? O che non abbiamo voglia di affrontare con i nostri figli discussioni che gli spieghino con senso critico quanto hanno visto?
Immediatamente il problema da tecnico giuridico assume le forme di un problema educativo, come ha ben scritto la Onlus Carolina parlando di crisi della genitorialità nel suo appello per fermare Squid Game.

È lo Stato secondo loro, allora, a dover sopperire all'incapacità o alla svogliatezza o alla semplice mancanza di tempo dei genitori moderni. Sembrerebbe che mai come in questa occasione prevenire sia meglio che curare o, meglio, sia l'unica cura.


La rete è piena di insidie, non solo di contenuti pericolosi, e proprio i più giovani ne sono spesso le vittime inconsapevoli.

Abbiamo già dimenticato il fenomeno "blue whale" proveniente da Tik Tok?

Non possiamo essere genitori in crisi perenne; è una vita vorticosa, lo sappiamo, ma dobbiamo essere presenti e vicini al percorso di crescita dei nostri figli.

Non è costruendo muri che metteremo in salvo i nostri figli, ma è avviando un percorso di crescita consapevole, critica e trasparente e soprattutto insegnandogli il confine tra la vita reale e la vita virtuale, fra la rappresentazione e le conseguenze delle stesse azioni nella vita reale.

Come sappiamo anche un contratto concluso su un palcoscenico per il diritto non è giuridicamente vincolante, ma se fin dai tempi dell'antica Grecia la rappresentazione e la finzione erano utilizzate per consentire tutto, la realtà non deve essere così; la società è dominata dal diritto e dalle regole che la fanno funzionare e che tutti dobbiamo imparare a rispettare.

Dott.ssa Camilla Ragazzi